Lungi dall’essere un giorno di condivisione nazionale il 25 aprile diventa, quando la destra governa, un giorno di polemiche e di rivendicazioni di parte. Aleggia una narrazione di un neofascismo che in realtà non esiste nemmeno nei segmenti più popolari. Grandi studiosi hanno analizzato le ragioni per cui nacque il fascismo, risalenti all’inizio della Grande Guerra e, soprattutto, all’ottobre russo che creò uno spartiacque determinante sulle mutazioni geopolitiche. Ma cosa sarebbe accaduto senza le scissioni che attraversarono il Partito Socialista nell’imminenza della guerra e che portarono Mussolini ed altri ad abbandonare il partito? Il sistema liberale era in forte crisi. La situazione economica non dava prospettive di crescita. Dal 1919 al 22 dopo una guerra vinta solo in apparenza si succedettero tre governi ( Nitti, Giolitti e Bonomi) che erano incapaci di governare una realtà complessa. Prima di Livorno, il Psi aveva, pur dovendo fronteggiare le conseguenze della scissione, una forte ossatura sociale. Le manifestazioni di piazza venivano represse con violenza. Un Partito socialista unito, senza la demarcazione tra interventisti e neutrali, avrebbe affrontato la nascita del PCI in chiave comunque unitaria. È assurdo immaginare che l’Italia avrebbe avuto una dittatura social -comunista? Probabilmente no, poiché è assai noto che la grande industria finanziò l’ascesa dei fasci, anche attraverso le nuove iniziative editoriali, in funzione essenzialmente conservatrice. È possibile che l’Italia avrebbe conosciuto una inversione rivoluzionaria socialista sulla scorta di quando effettivamente accadde in Spagna. La Germania uscii a pezzi da Versailles e sappiamo bene il percorso che conobbe negli anni successivi. Il sistema liberale reggeva unicamente sul Regno Unito, che conservava una primazia economica e nello scambio delle merci e una distribuzione del reddito che era la migliore del continente. Che l’Italia potesse essere il Paese più vocato a seguire la scia della rivoluzione leninista era una preoccupazione viva soprattutto tra gli inglesi. Un governo social comunista, in una ipotesi comunque fantasmagorica, sarebbe stato guidato da Amedeo Bordiga. Era considerato il più realista e il più pragmatico. Avrebbe avuto al suo interno lo stesso Mussolini, Turati, Nenni, non Gramsci, che rappresentava l’eccellenza ideologica. Ma un governo del genere non avrebbe potuto sopportare la coabitazione con la monarchia e sarebbe stato, inevitabilmente, orientato a sostenere integralmente la politica internazionale della Russia e della futura Urss. La storiografia ha analizzato compiutamente le alleanze tra borghesia e fascismo proprio in una funzione anticomunista. E del resto, Churchill ( che diventerà il principale protagonista della sconfitta di Hitler) non nascose le sue simpatie per l’Italia e per la frenata del progetto di socialismo reale, peraltro non facendo mai la stessa cosa per la Germania e non celando mai il suo disprezzo verso il capo di stato tedesco. Immaginare una riforma indolore dello stato liberale in Italia dopo la guerra è impossibile. Per la forte crisi economica, per una divisione nazionale su tutti i temi principali, per una sinistra che si sviluppò su un consenso straordinario, propalatosi fino all’intero Novecento e per una mancata definizione dell’Italia sin dalla nascita del Regno. Probabilmente avremmo avuto un’altra dittatura al posto del fascismo. Ma in una condizione forse più drammatica. Oppure una guerra civile tragica come quella spagnola. Un’ultima annotazione va fatta su Mussolini e il suo epilogo politico a Salò. Le testimonianze storiche, i documenti politici, richiamano a un forte ritorno alle radici socialiste. A conferma che la sua vocazione politica rimase intatta nonostante i vent’anni di governo e una mai vista svolta liberale. L’Italia non aveva ancora un grande partito popolare e cristiano e maturava una maggioranza di sinistra che era prevalente nell’opinione pubblica. Probabilmente eravamo destinati a una dittatura che sarebbe stata ancora più cruenta. E certamente, attraverso una monarchia debole fortunatamente sostituita dalla Repubblica, non avremmo comunque attraversato quel vento di libertà che oggi è patrimonio comune.
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