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Ferito da un proiettile si rifiuta di collaborare. Il caso nel blitz contro un clan di ‘ndrangheta a Policoro

A riferirlo, il procuratore distrettuale antimafia di Potenza, Francesco Curcio. «Le questioni venivano risolte a colpi di pistola»

Pubblicato il: 24/04/2024 – 19:28
Ferito da un proiettile si rifiuta di collaborare. Il caso nel blitz contro un clan di ‘ndrangheta a Policoro

POLICORO E’ il solito refrain. Calabria o Basilicata non fa differenza, alcune vittime di intimidazioni e minacce da parte della criminalità organizzata rifiutano di denunciare gli aguzzini. E c’è chi addirittura tiene la bocca chiusa anche a costo della vita. E’ drammatico il quadro tratteggiato nel corso della conferenza stampa, dal procuratore distrettuale antimafia di Potenza, Francesco Curcio, riferendosi all’operazione condotta a Policoro e che ha portato stamani all’esecuzione di 24 misure cautelari personali, di cui 14 arresti. «Le vittime di violenze accertate non hanno inteso sporgere querele, laddove questi atti li hanno anche ammessi, o anche dove non li hanno ammessi pur essendoci evidenze probatorie investigative di spessore», riferisce il procuratore. Che aggiunge: «C’è la volontà di questi soggetti di escludere lo Stato dall’accertamento di questi fatti». E poi, Curcio riferisce i dettagli di un episodio che lascia sgomenti. «Basti dire che in un caso, pur essendo quasi in punto di morte, un ferito che aveva visto perfettamente chi lo avesse sparato si è rifiutato di collaborare per dare indicazioni che poi lo Stato è riuscito comunque a scoprire».

L’attività investigativa

L’intensa attività investigativa ha permesso di annotare «inseguimenti, sparatorie, speronamenti con auto che si collegano all’attività illecita che viene regolata attraverso le regole del crimine e non dallo Stato». Secondo il procuratore, «se sorge una questione di un credito, di un debito, se devo spacciare da una parte piuttosto che da un’altra, è questione che si risolve a colpi di pistola o con metodi violenti e criminali». Il procuratore, sottolinea come «le indagini non sono concluse, anche se a breve le concluderemo». Infine, la chiosa. «E’ un’attività molto pericolosa perché il traffico di stupefacenti è un attacco alla salute pubblica, specie per le fasce più giovani della popolazione, e poi perché il gruppo che ruota attorno alla famiglia Mitidieri è un gruppo armato».

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