Sono state tante le donne calabresi che hanno avuto un ruolo rilevante nella Resistenza italiana contro il giogo nazi-fascista. Da Teresa Tallotta Gullace, a Giuseppina Russo, da Anna Cinanni ad Anna Condò, e poi ancora Lucia Cosco, Alba e Assunta Lucio, Maria Carpino, Anna Pontoriero, giusto per citarne alcune.
Oggi, 25 aprile, ci occupiamo di un’altra donna speciale che ha fornito un contributo importante alla lotta partigiana nel corso della Seconda guerra mondiale. Stiamo parlando di Carmelina Montanari.
Nata da una famiglia socialista il 17 gennaio 1920 (ma registrata soltanto il 24 gennaio) a Siderno, nel Reggino, ad appena tre anni si trasferisce a Bologna. La morte del padre e la povertà, costringono Carmelina a lasciare la scuola e a iniziare a lavorare già ad 11 anni come cameriera nelle case del capoluogo dell’Emilia-Romagna.
Nel 1937, ad appena 17 anni, viene etichettata come «puttana» dai militanti fascisti che l’avevano convocata nella sede del gruppo rionale di Porta Saragozza, una delle porte della terza cinta muraria della città di Bologna. La sua colpa? Aver sposato con rito civile e non cattolico Bruno Trombetti, più grande di lei di dieci anni, un comunista schedato dal 1931 come “antifascista” e condannato dal Tribunale speciale. Da quell’anno l’uomo usciva ed entrava dal carcere “San Giovanni in Monte” per la sua militanza politica.
La loro storia qualche anno fa l’ha raccontata al giornale rivieraweb.it la figlia Renata. Sua madre e suo padre si erano conosciuti nel 1936, erano vicini di casa. Bruno le faceva la corte scrivendole poesie, si era innamorato, lei era troppo bella. Nel 1938 Carmelina partorisce una bambina, ma dopo appena dieci mesi la piccola muore per una polmonite fulminante. Un dolore atroce per i due sposini.
Carmelina di mestiere ora fa la commessa ma con lo scoppio della guerra e la paura costante dei bombardamenti sulla città, viene sfollata a Bagnarola, una piccola frazione del comune di Budrio. È qui che decide che è arrivato il momento di entrare nella Resistenza. Prende questa decisione soprattutto dopo aver assistito a numerosi interrogatori di suo marito Bruno. Ore e ore di torture inimmaginabili. Da Bagnarola si trasferisce quindi a San Giovanni Persiceto e inizia a collaborare attivamente nella “63esima brigata Bolero Garibaldi”, per poi passare nella “Settima brigata Gap Gianni Garibaldi”. Ha deciso di non piegarsi Carmelina, anche a costo di perdere la vita. Le danno un nome di battaglia, “Adriana”, che si porterà dietro per sempre.
Continua a svolgere il lavoro di commessa, giusto per non destare sospetti, ma ogni volta che viene chiamata in causa dalla sua brigata, si presta a fare la staffetta, a trasportare armi e viveri, a curare i partigiani feriti durante le loro azioni grazie all’aiuto di una coppia di medici. Colma così l’assenza prolungata del marito, il cui nome di battaglia è “Sergio”, in quel periodo sistematicamente in carcere o in montagna con i partigiani.
Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, sembra che le cose in Italia possano cambiare. Ma non è così. Il 27 febbraio del 1945 un contadino che si era sempre detto loro amico, fa la spia e Carmelina, riconosciuta partigiana dal 9 settembre, viene arrestata dai fascisti insieme a Bruno a San Giovanni Persiceto. Prima di consegnarli ai carabinieri, le camicie nere annunciano ai due il loro destino: il giorno successivo Bruno sarà mandato nel campo di concentramento di Mauthausen, mentre Carmelina verrà deportata in Germania. I carabinieri, allora, si mettono una mano sul cuore e decidono di far passare alla coppia l’ultima notte in cella insieme. Ed è lì che concepiranno Renata, nata nove mesi dopo.
In un saggio dal titolo: “Camere di Tortura a Bologna durante la Repubblica di Salò: il caso di Ingegneria”, il professore dell’Università di Bologna Renato Sasdelli scrive che Carmelina Montanari fu portata insieme ad altre partigiane e partigiani all’interno della Facoltà di Ingegneria dell’Ateneo bolognese, in Viale Risorgimento. Non è escluso che insieme a lei in quel luogo di reclusione e tortura, ci fosse anche suo marito. Furono «oltre 70 nomi di patrioti – spiega Sasdelli – che passarono da Ingegneria. Erano operai, contadini, studenti, militari che avevano compiuto una scelta, ciascuno in base a propri motivi. C’era, tra i più “anziani”, chi si era formato politicamente nella lotta antifascista clandestina; c’era chi in famiglia aveva ricevuto un’educazione antifascista e chi invece aveva scelto da solo, rifiutando l’occupazione tedesca e il ritorno dei fascisti che volevano continuare la guerra, o per tenere fede a un giuramento. Almeno cinque furono le partigiane: Gemma Beltrame, Emma Donati, Ines Malossi, Anna Maria Mingardi, Carmelina Montanari. Da varie testimonianze emerge la presenza di molti altri partigiani citati senza nome».
Ma il destino non vuole ancora che Carmelina e Bruno si separino per sempre. Bruno viene messo sul treno che dovrà portarlo in Austria. Passa da Fossoli, poi arriva a Bolzano. Qui la ferrovia viene bombardata e i deportati, compreso Bruno, ammassati nei vagoni come bestie, riescono a fuggire. Il ritorno a Bologna durerà mesi, sarà pericoloso, faticoso, mentre Carmelina, che nel frattempo dal carcere è riuscita a scappare, anche col pancione continua a fare la staffetta per i partigiani. Pensa che suo marito sia lontano, pensa che sia morto. Ma a fine maggio Bruno vede finalmente la sua casa. Suona a fatica il campanello, ha i capelli bianchi, pesa 42 chili, è malato. Viene accolto tra le lacrime da sua moglie, poi crolla. I sei mesi successivi li trascorre in un sanatorio per curare una grave pleurite bilaterale. Ma ce la fa, sopravvive. Alla malattia, alla guerra e alla brutalità del fascismo. Sopravvive fino al 1997, anno in cui dirà addio all’amore della sua vita.
Dalla guerra in poi Carmelina ha continuato a lavorare sodo per mantenere la sua famiglia. Prima ancora come commessa e poi aprendo due attività commerciali: vendita di pasta fresca fino al 1961 e poi un negozio di abbigliamento. Il suo impegno civile e politico non lo ha mai accantonato, è stata infatti segretaria dell’Udi, Unione donne italiane, un’associazione femminista di promozione politica, sociale e culturale. Dalla sua nascita nel 1943, è stata composta da donne antifasciste, con lo scopo di mobilitare le masse femminili contro l’occupazione nazista dell’Italia. Da lì sono nate le partigiane come Carmelina. Negli anni seguenti l’Udi porterà avanti altre battaglie di emancipazione femminile: dalla pensione per le casalinghe, alla legge sul divorzio, e poi ancora l’aborto, la contraccezione, la violenza domestica nei confronti delle donne.
A Renata, sua figlia, la combattente “Adriana” ha trasmesso i suoi valori, il suo pensiero moderno e il suo amore dolce. Le è sempre stata accanto, fino al 2008 quando è morta a causa di un tumore. (f.veltri@corrierecal.it)
Foto tratta da storiaememoriadibologna.it
Fonti: storiaememoriadibologna, riviera, icsaicstoria, anpipianoro, iperbole.bologna.it
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