«La GIAS fondata da Antonio Tenuta, nella piccola realtà territoriale di Mongrassano Scalo, ha una storia di mezzo secolo. Ieri è stata la prima tappa della visita del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in Calabria. Una storia imprenditoriale che in quegli anni difficili in cui la Calabria sperimentava una forte emigrazione a causa della mancanza di lavoro e di sviluppo, ha dimostrato quanto siano importanti il coraggio e la visione imprenditoriale, capace di guardare oltre gli orizzonti di anticipare le logiche del mercato di una società agli albori di un sviluppo economico che avrebbe richiesto anche una forte richiesta di cibi surgelati. Sergio Mattarella ha inteso ricordare, alla vigilia del 1° maggio, l’importanza del lavoro che non può mai essere “considerato una merce”. È elemento base della nostra della nostra identità democratica, legato in modo indissolubile alla dignità della persona alla sua dimensione sociale”. La festa di oggi dovrebbe iniziare con il ricordo di coloro che non possono celebrarla: gli oltre 350 i morti sul lavoro nei primi quattro mesi del 2024. In Italia muoiono in media tre lavoratori al giorno, lo scorso anno sono stati 1.500. Questo non è degno di un Paese democratico “fondato sul lavoro” come ci ricorda la nostra Costituzione all’articolo 1. Un concetto altamente profetico rispetto ad una realtà, come quella calabrese, ancora fortemente affamata di lavoro. Ma alla luce degli attuali problemi che il mondo del lavoro sperimenta, oggi forse dovrebbe essere aggiunta una parola all’incipit della nostra Carta Fondamentale: dignitoso. Non può in alcun modo ritenersi democratica una Repubblica dove il lavoro non consenta di raggiungere la terza settimana o, come nel caso anche di tanti immigrati, addirittura schiavizza e non consente di vivere generosamente. Una Repubblica che non combatta con ogni mezzo il precariato, il lavoro nero, sottopagato, che non premi coloro che hanno il coraggio di denunciare le buste paghe false, attraverso le quali si costringono tanti giovani a ricevere paghe che non corrispondono alle ore di lavoro effettivamente svolte, che consente turni insostenibili, un sub appalto ormai strutturato e spesso, alle nostre latitudini, sfruttato dalle ‘ndrine locali. Un lavoro che non solo uccide il futuro ma che inesorabilmente atrofizza il presente. L’articolo 3 della nostra Costituzione ci ricorda che «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese». È compito della Repubblica, dunque di chi innanzitutto ha responsabilità istituzionali: amministrative, politiche, giudiziarie rimuovere tutti questi ostacoli. Ma è compito anche di ciascun cittadino, perché sempre la Costituzione ci ricorda che “la sovranità appartiene al popolo”. Siamo membra vive di una Repubblica che consegna a tutti l’invito ad essere cittadini liberi e responsabili nei confronti di tutti, soprattutto verso coloro che sperimentano sulla propria pelle le problematiche ricordate sopra. In Italia ci sono ben sette milioni di lavoratori in attesa del rinnovo del contratto di lavoro; risulta al quarto posto in Europa come Paese più tassato, è presente un’evasione fiscale che ha raggiunto cifre stratosferiche. Ancora sono in tanti a ritenere che, in fondo, più che essere responsabili bisogna essere furbi. Scaldano il cuore le parole del Presidente Mattarella quando in una delle sue visite nelle fabbriche in occasione del 1° maggio, ha ricordato che “Il lavoro è lo strumento che in passato ha permesso e favorito la mobilità sociale”. È ciò che mette ogni cittadino nella condizione di scegliere il proprio posto nella vita della comunità”. Ripenso ai Padri costituenti ed alla bellezza contenuta in quel principio fondamentale: essere “una Repubblica fondata sul lavoro”, ove quest’ultimo conferisce ad ogni cittadino uguaglianza, dignità e libertà. Ove nessuno può più vantare titoli di merito che non siano fondati sul contributo che egli sceglie di dare, secondo le proprie possibilità, al progresso e al benessere della società».
*Rettore UniRimi
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