COSENZA Marketing territoriale al contrario? O operazione di guerrilla marketing a sfondo sociale dalla vaga eco calviniana, anche se di “invisibile” come le città di Italo (1972) c’è solo l’avanzamento dei lavori? Da un paio di giorni, se vi avventurate nel centro storico – oltre alla rinata Casa delle Culture sul corso principale, infatti, svoltato l’angolo ci sono edifici fatiscenti e discariche – troverete dei suggestivi messaggi che da un lato accendono un faro sulle incompiute, dall’altro stimolano una nuova idea di utilizzo degli spazi pubblici: “Le città invivibili” è una campagna ma anche una sorta di osservatorio permanente che gli organizzatori dell’Aghia Sophia Fest hanno ideato per lanciare uno dei talk (con Giorgio De Finis, a fine maggio), «una serie di azioni comunicative – spiegano gli attivisti – che hanno interessato planetario, ex Jolly e piazzetta Toscano. L’intento è quello di accendere una discussione pubblica, che venerdì 24 maggio diventi realmente condivisa, riguardante il destino degli spazi pubblici di questa città».
Le recinzioni che delimitano spazi pubblici “negati” alla comunità diventano dei tazebao con frasi immaginifiche che “cosentinizzano” passi letterari.
Riapparso nella cronaca politica della città nei giorni scorsi (una manifestazione dei consiglieri del centrodestra ha stimolato prima una riflessione dell’ex sindaco Mario Occhiuto poi una discutibile dichiarazione di uno dei consiglieri comunali più vicini al primo cittadino Franz Caruso), il Planetario è attualmente il simbolo più evidente della città sospesa: potenzialità altissime per una struttura unica al sud e tra le poche in Europa, una fase di rodaggio con ottimi incassi eppure attualmente abbandonata e vandalizzata. La prospettiva è ripartire con nuovi impianti di sorveglianza e l’ipotesi di un intervento di privati cui affidare la gestione, magari in coppia con l’Unical che ne ha già meritoriamente curato la parte scientifico-divulgativa. «E quindi ri-uscimmo a riveder le stelle?», ironizzano i ragazzi di Aghia Sophia aggiornando l’ultimo verso dell’Inferno della Divina Commedia di Dante Alighieri.
La statua di Alarico, la stessa che simboleggia Cosenza sui cartelli autostradali, osserva mestamente la confluenza e per sua fortuna dà le spalle al (fu) Hotel Jolly, oggi ridotto a rudere e circondato da una recinzione che – nel tutelare l’area – ne fa un luogo di bivacco oltre che un grande bagno pubblico (in mancanza di quelli effettivi) all’aperto, proprio sotto l’affacciata di corso Plebiscito, una delle più frequentate dagli amanti della fotografia. Di notte, le luci instagrammabili del complesso di San Domenico sono il contraltare al brutto che impera laddove Crati e Busento si incontrano. Il Museo di Alarico per ora resta nei rendering, mentre il libro dei sogni del possibile riutilizzo del parallelepipedo color crema famoso per non avere neanche un balcone si è aggiornato, qualche mese fa, con l’idea del sindaco Caruso di farne una «terrazza sulla confluenza» da restituire ai cosentini e offrire ai turisti. «Che tesoro (di Alarico) che sei…» è la citazione di Antonello Venditti per questo non luogo cristallizzato tanto da essere quasi musealizzato nella sua tetra staticità.
La targa della vecchia toponomastica è scrostata e sembra essere “sfidata” da un beffardo cartello Vendesi che pare messo lì apposta. E dire che questo progetto di rinascita urbanistica negli anni passati fu anche premiato. Siamo nel cuore del centro storico, alle spalle del Duomo, nello slargo sovrastato dalla puntuta copertura di ferro e vetro – una «gabbia» secondo gli attivisti di Aghia Sophia – che, anche in questo caso, nel nascondere tutela: in questo caso, le imponenti mura romane in opus reticulatum della metropoli dei Brettii (seconda metà del IV sec. a. C.). Ma lo sfarzo dei mosaici e le vestigia di una grande domus ubicata nel quartiere commerciale sulla riva sinistra del Crati oggi sono solo un ricordo: il degrado della zona stride tanto più se si pensa che è a un passo da corso Telesio, tra la Biblioteca Nazionale e l’Arcivescovile con il Museo diocesano. «A seguito della scoperta archeologica l’area è stata ricoperta da una struttura architettonica in ferro e vetro, che ha segnato l’inizio del suo degrado, impedendone un’ordinaria manutenzione nonché la fruizione» ha notato il Fai inserendo il sito tra quelli segnalati nei “Luoghi del cuore”. Oggi è al massimo un luogo della bile, uno dei tanti a Cosenza.
Di questi e altri non-luoghi si parlerà alla 4ª edizione di “Aghia Sophia Fest – Abitare Futuri Immaginari” venerdì 24 maggio sul Lungofiume: “Le città invivibili – Il futuro degli spazi urbani” è il titolo del dibattito con Giorgio De Finis, che ne discuterà con Giuseppe Bornino. Antropologo, artista e fotografo, De Finis ha ideato il Maam (Museo dell’Altro e dell’Altrove Metropoliz, Roma) e fondato il diffuso Museo Dif di Formello: a Cosenza parlerà di come cambiano le città e di come l’arte possa migliorarne la vivibilità.
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