Parliamoci chiaro, direbbe un popolare politico di sinistra partenopeo, a chi non piace la decontribuzione? La questione di queste ore che vede ancora una volta al centro degli attacchi il ministro per il Sud, Raffele Fitto, colpevole di non aver chiesto all’Europa la proroga di una misura a sostegno delle imprese introdotta all’epoca del Covid è impostata male, dal punto di visto della storia dei provvedimenti economici. Dal pacchetto Treu in poi, se vogliamo stare agli ultimi trent’anni, la tutela dei diritti del lavoro e la spinta all’occupazione ha significato soprattutto un aiuto per le imprese – sacrosanto perché sono le imprese che creano lavoro – ma ha innescato anche diabolici meccanismi truffaldini ai quali le stesse imprese hanno fatto ricorso per creare i presupposti necessari a prosciugare gli incentivi (dimissioni coatte, disoccupazioni fittizie per riassunzioni, nuove società).
Il mondo confindustriale oggi si fa sentire, anche il presidente calabrese, Aldo Ferrara, e tutto il pantheon della sinistra meridionalista capitanata dall’ex ministro Provenzano. In effetti il quadro generale per il Mezzogiorno non è per nulla chiaro, a partire dal finanziamento della Zes unica che sembra essere andata in cavalleria mentre è stato adottato dal Governo il regolamento per il finanziamento delle Zone logistiche speciali del Nord (in pratica lo stesso strumento delle Zes concepito per bilanciare il meccanismo favorevole per le regioni meridionali, tanto per non scontentare nessuno). Il decreto coesione di fine aprile dà un’indicazione per l’assunzione di donne e giovani, non basta dicono. Fitto ruggisce su Facebook, con gli esclamativi e i punti rossi corpo 60 per dare forza alle parole “La ricostruzione offerta dalle opposizioni sulla misura Decontribuzione Sud è falsa e pretestuosa. Al riguardo, è necessario pertanto fare chiarezza”.
Ma quello che è più interessante del decreto coesione è la riprogrammazione dei fondi strutturali europei in base a Step (acronimo che sta per Strategic Technolgies for Europe Platform). Nei prossimi anni su questa piattaforma confluiranno 160 miliardi destinati a chi investe in tecnologie strategiche, 5G, elettronica, intelligenza artificiale, cybersecurity, energia rinnovabile, biotecnologia. Allora, per tornare alla premessa, mettiamoci d’accordo. Fateci caso, non c’è intervista a politico o sindacalista di destra o di sinistra che, interrogato sulla spinta per il futuro, non si riempia la bocca di parole come innovazione, digitalìzzazione e transizione ecologica. La maggioranza non sa neppure di cosa parla, parlano per parlare senza avere un quadro chiaro di cosa significhi, dei tempi soprattutto, e dei problemi industriali connessi in settori strategici. Se guardiamo alla start up che ha avuto un’idea geniale su come far parlare i Bronzi di Riace allora forse facciamo bene a continuare a discutere del problema della decontribuzione Sud. Ma se vogliamo concentrarci sulle questioni industriali di sistema non possiamo mettere l’occhio sul minus (chiamiamolo bonus) facendoci sfuggire il macro. Qualche settimana fa uno dei più grandi Medical center internazionali (Synlab) con molti laboratori clinici in Italia ha subito un attacco cibercriminale ai sistemi informatici, non si potevano più fare i prelievi, non si avevano più i referti, i dati sono stati oscurati. Ecco, di questo dovremmo preoccuparci, di “curvare” la formazione professionale non verso il recupero del vecchio mestiere dell’impagliatore che ci fa sentire così a nostro agio nella tenuta dove ti vendono pasta e tradizione. Serve anche questo, ovviamente. Ma nel frattempo il mondo è cambiato, e da parecchio pure, e ne va assecondata la corsa con intelligenza senza struggimenti. Ora, che Fitto agisca perché abbia capito dove va il mondo, non sappiamo. Che tutti attorno a lui sbraitino al primo cedimento delle vecchie garanzie non ci rassicura sul fatto che lo abbiano capito gli altri. (redazione@corrierecal.it)
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