VIBO VALENTIA Santo Panzarella, Michele Penna, Massimo Stanganello. Tre omicidi dai risvolti simili e accomunati, soprattutto, dall’epilogo più atroce: la scomparsa del corpo. Nomi e storie che si inseriscono nel lungo elenco delle vittime di lupara bianca del Vibonese: oltre 40 dal 1980 ad oggi, tra cui bambini, donne e uomini, innocenti e meno innocenti. L’ultimo dei citati, per ordine cronologico, è proprio quello del 2008 di Massimo Stanganello, uno degli omicidi risolti ieri dall’operazione Porto Salvo condotta dalla Dda di Catanzaro. 14 le misure cautelari per un totale di 25 indagati: tra questi Rosario Battaglia, Rosario Fiorillo, Stefano Battaglia e Angelo David “Giotti”. Tutti accusati di aver concorso all’omicidio di Stanganello su mandato di Rosario Mantino. Alla base del brutale assassinio ci sarebbe, come affermato anche dal comandante provinciale dei Carabinieri Luca Toti, «una relazione intrattenuta con la moglie del boss». Una tragica storia fatta di rapporti “proibiti”, violenza ‘ndranghetista e «l’onta» subìta «da lavare» che si lega a quelle di Santo Panzarella e Michele Penna.
Era l’11 luglio 2002, quando Santo Panzarella veniva visto per l’ultima volta alla guida della sua Alfa Romeo 162 tra le strade di Curinga. Da allora, il 29enne di Filadelfia scompare nel nulla. L’auto viene ritrovata bruciata, ma del giovane nessuna traccia. Secondo gli inquirenti, fu ucciso perché intratteneva un rapporto amoroso con la moglie del boss di Filadelfia, come testimoniato dal collaboratore di giustizia Francesco Michienzi. Ma sull’omicidio non si riuscirà ad arrivare ad una verità giudiziaria: gli accusati sono stati assolti nel 2009, senza che altri dettagli venissero scoperti. Anche quando una clavicola sulla spiaggia del torrente Angitola sembrò riaccendere le speranze per il ritrovamento, quantomeno, del corpo, tutto si interruppe. Di “Santino” Panzarella non si seppe più nulla, neanche di fronte agli appelli della mamma. Solo vaghe lettere anonime e un omicidio ancora irrisolto.
È stata invece ottenuta giustizia per l’omicidio di Michele Penna, risalente al 2007, ma il cui corpo non è mai stato ritrovato. A venire condannato, in via definitiva, è Emilio Antonio Bartalotta, destinatario di una sentenza di 24 anni di carcere. Duplice il movente che ci sarebbe stato alla base dell’omicidio: la volontà di Penna di separarsi dalla ‘ndrina e crearsi un gruppo autonomo (per lo meno, nei timori dei mandanti) e una relazione che sarebbe stata portata avanti «con la donna sbagliata», come ha descritto il collaboratore di giustizia Andrea Mantella, ovvero la moglie di un affiliato alla cosca. Sempre Mantella ricorda come anche Francesco Aloi, scomparso e presumibilmente ucciso nel 1994 sarebbe stato giustiziato per lo stesso motivo. Storie che conducono a quella di Massimo Stanganello: prima l’abbraccio, poi il colpo di pistola e, infine, la sparizione del cadavere proprio per «lavare l’onta subita da Rosario Mantino». (Ma.Ru.)
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