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L’agguato, le indagini, i processi: il racconto dell’omicidio dei coniugi Aversa a Lamezia Terme

A “Cose Nostre” su Rai1 il racconto della strage in cui furono uccisi il sovrintendente di Polizia e la moglie Lucia Precenzano

Pubblicato il: 07/05/2024 – 21:31
L’agguato, le indagini, i processi: il racconto dell’omicidio dei coniugi Aversa a Lamezia Terme

LAMEZIA TERME «Ho sempre definito il rapporto dei miei genitori come un amore da missione: mio padre ha sposato la Polizia, così mia madre ha sposato mio padre sapendo il lavoro che faceva e i rischi che correva». Cose Nostre, il programma di Rai1 diretto da Emilia Brandi, racconta la storia dei coniugi Aversa tramite testimonianze, foto e le parole di Walter, il figlio del sovrintendente di Polizia Salvatore Aversa, ucciso dalla ‘ndrangheta insieme alla moglie Lucia Precenzano. Era il 4 gennaio 1992 quando i killer, nel pieno centro di Lamezia Terme, sparano una raffica di 15 colpi contro la loro auto. Una vicenda ancora dai contorni misteriosi. «Un poliziotto onesto e coraggioso che ha scoperchiato le connivenze tra politica e ‘ndrangheta nella piana lametina».

La testimonianza del figlio Walter

Walter ripercorre la vita dei suoi genitori: la nascita di Salvatore a Castrolibero, l’incontro con Lucia e un intenso scambio epistolare. Fino al matrimonio nel 1962 e i tre bimbi nati: oltre a lui Paolo e Giulia. «Mio padre, che lavorava al Nord, ottenne il ricongiungimento familiare e scelsero Lamezia Terme». La dolcezza e l’amore materno di Lucia equilibravano il rigore di Salvatore: «In questo equilibrio noi siamo cresciuti consapevoli dei rischi che correva e che potevamo correre noi». Lamezia, unificata da poco, era in quegli anni in pieno sviluppo sociale ed economico: l’autostrada, l’aeroporto, i grandi investimenti. Tutti elementi che attirarono l’interesse della ‘ndrangheta. «Il commissariato non era ancora attrezzato per uomini e apparecchiature a fronteggiare questa crescita delle famiglie mafiosi. Diventa così un commissariato di frontiera: pochi uomini contro numerose famiglie mafiose».

Lo scioglimento comunale

Nel 1991 arrivano le elezioni comunali, la ‘ndrangheta prova (e riesce) a infiltrarsi nella politica. La svolta arriva con l’omicidio di Pasquale Cristiano e Francesco Tramante, i netturbini uccisi in un agguato. «Un messaggio alla politica lametina: l’appalto è cosa nostra e voi non vi dovete intromettere». Dopo soli 4 mesi dalle elezioni arriva lo scioglimento comunale. «La relazione l’aveva fatta mio padre con il dottore De Felice. Si parlò anche di fotografie di boss davanti ai seggi elettorali». Ma quello scioglimento aumentò il clima di tensione intorno al sovrintendente Aversa. «Sotto il sedile nascondeva una seconda pistola, era il segnale che mio padre temeva per la sua incolumità». La sera del 4 gennaio 1992 le paure si trasformarono in realtà. «Mia madre si accorse dei killer, provò ad uscire dalla auto ma fu uccisa. Poi tornarono a sparare da mio padre per assicurarsi che fosse morto».

Le indagini e le confessioni

Un agguato che sconvolse non solo la città di Lamezia, ma tutta Italia. Al funerale partecipò anche il presidente Cossiga. Iniziano le complesse indagini, che per anni girarono intorno alla misteriosa figura di Rosetta Cerminara. Prima accusa e fa condannare i presunti killer, ottenendo anche una medaglia d’oro dal presidente del Consiglio. Poi diversi pentiti smentiscono la ricostruzione: l’appello ribalta la sentenza e Rosetta Cerminara viene accusata di calunnia. «Lì abbiamo perso completamente la narrazione, quale poteva essere la verità dei fatti». L’attenzione si sposta sulla cosca Giampà-Torcasio. «Uomini dal grilletto facile, molto pericolosi. Mio padre sicuramente cercò di capire come mai loro volevano prendere il potere criminale». La svolta con le dichiarazioni di Salvatore Chirico e Stefano Speciale, due pentiti della Sacra Corona Unita che si autoaccusano del duplice omicidio su mandato di Francesco Giampà e Antonio Giorgi. «Speciale – racconta a Cose Nostre Giancarlo Bianchi, sostituto procuratore della Dda – ci dava dettagli che solo noi potevamo sapere, mi convinsi che diceva la verità. Chirico alla fine confessò». Il killer racconta tutta la scena: Lucia Precenzano non era salita sull’auto, era distesa a terra sull’asfalto quando Chirico si girò da Speciale chiedendo cosa dovesse fare. «Finiscila perché ci ha visto». A fine interrogatorio il killer aggiunse: «Non ho detto subito la verità perché solo gli animali fanno quello che ho fatto io». (redazione@corrierecal.it)

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