Oggi, è il giorno di chi, a suo modo, semina libertà. E di chi si sforza di farlo anche per gli altri.
Ammettiamolo, oggi, la libertà, le nostre libertà sono vulnerate, derise, offese.
La sveglia per rincorrere mille cose e farne una.
Le convenzioni e le apparenze.
Senza poter scegliere e autodeterminarsi.
I diritti negati e quelli negletti.
Il diritto allo studio.
Quello alla salute e alla speranza.
Il diritto di avere diritti.
Il diritto di morire, quello di morire pregando il proprio Dio.
Il diritto di Difesa e il legittimo impedimento non riconosciuto.
L’uomo e l’ergastolo.
L’ergastolo ostativo.
I tanti ergastoli del quotidiano.
Le nostre carceri.
Il potere e il denaro.
La Storia che impazza, espropria e retrocede.
La fuga dei cervelli.
I giovani costretti alla resa.
I paesi che muoiono tra pianti strozzati.
Chi emigra e chi divide.
Chi migra e chi muore.
Le capre che nei loro aspromonti non cedono e riescono a decidere ancora il loro da farsi.
I contadini che coltivano speranze e raccolgono povertà.
Oggi, è il giorno della libertà e di suo fratello, il silenzio.
Sì, il silenzio.
Quello che abbiamo smarrito, perché siamo avvinti nella trappola di ciò che fa rumore, scena, notizia.
Lei, invece, è destinata a rimanere nel suo angolo.
Oltre il valico che celebra un dannato girotondo.
Quasi fosse una matrona medievale pronta a dare le direttive.
Quasi fosse una matrioska nel cui ventre si rinnova una stirpe e una speranza.
Quasi fosse un oratore pronto a prendere la parola, come un mormone sullo speakers’ corner di Hyde Park o in un agora di scribi e farisei.
Lei, libertà, tace.
Docile e indifesa.
Tace.
Perché è una cosa.
E le cose, quelle vere, non parlano.
Come il tempo che perdiamo in corse inutili, su auto che brillano ma vagano senza meta, su case che sono labirinti senza un’anima.
Meglio la libertà.
Megghiu nu pagghiaru, diceva mio padre.
Perché nu pagghiaru è libertà.
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