LAMEZIA TERME Corruzione elettorale, ma anche contatti con alcuni soggetti vicini e in contatto con alcuni esponenti della criminalità organizzata. Emerge questo e molto altro dall’inchiesta della Procura di Genova che ha portato agli arresti domiciliari il governatore della Liguria, Giovanni Toti.
Un capitolo a parte, infatti, il gip del Tribunale di Genova lo ha dedicato al «un grave quadro indiziario» aggravato dal 416 bis, reati contestati agli indagati Italo Maurizio e Arturo Angelo Testa, oltre a Matteo Cozzani e Venanzio Maurici. Obiettivo: ottenere voti elettorali in cambio di promesse di posti di lavoro, rivolte nei confronti di soggetti «contigui ad ambienti della famiglia di Riesi, consorteria mafiosa radicata a Genova e, segnatamente, nel quartiere di Certosa», annota il gip. L’inchiesta genovese avrebbe, in particolare, fatto luce sulla «operatività della famiglia Maurici, capeggiata da Giacomo Maurici, deceduto a Genova il 9 marzo 2018».
Dietro “Cosa nostra” in Liguria ci sarebbe molto di più. A cominciare dai contatti e i collegamenti anche con esponenti della ‘ndrangheta calabrese attiva in Liguria e a Genova, creando una sorta di “cartello” ormai da diverso tempo. Tutto ruoterebbe attorno al ruolo rivestito dai cugini «Venanzio e Franco Maurici ed una serie di contatti intercorsi nel mese di dicembre 2020 con Luigi Mamone (cl. ’36), deceduto il 28 maggio 2021», annota il gip.
La famiglia Mamone, originaria di Cittanova, nel Reggino, ha da sempre rappresentato una realtà imprenditoriale a Genova, sin dagli anni ’80. La famiglia ha creato una realtà imprenditoriale di rilievo in plurimi settori, tra cui l’edilizia, il movimento terra ed escavazioni, bonifiche industriali e smaltimento dei rifiuti, «nei quali avrebbero acquisito lucrosi appalti pubblici ottenuti anche attraverso il ricorso a pratiche corruttive esercitate nei confronti di funzionari ed amministratori pubblici finalizzate a turbare la libertà degli incanti per ottenere l’indebita aggiudicazione dei lavori», scrive il gip nell’ordinanza. Uno dei figli, è stato oggetto dell’indagine denominata “Pandora”, che ha portato a disvelare un’associazione a delinquere finalizzata alla corruzione e alla turbata libertà degli incanti.
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Secondo la ricostruzione degli inquirenti liguri che citano i rapporti della Dia, dal 2002 i Mamone vengono indicati come «una delle famiglie che avrebbero riciclato i soldi di Carmelo Gullace e legate ai Gullace-Raso-Albanese di Cittanova, città di provenienza della stessa famiglia Mamone». Carmelo Gullace, infatti, trasferitosi nel savonese nel 1973 per sfuggire alla guerra di mafia contro i Facchineri, avrebbe lavorato inizialmente alle dipendenze del defunto Francesco Fazzari, capofamiglia degli stessi Fazzari collegati ad altre famiglie ‘ndranghetiste e attivi nella gestione illecita di cave e rifiuti, «come autotrasportatore per poi sposarne la figlia». Come riporta ancora il gip nell’ordinanza, «Gullace è considerato figura apicale della cosca Raso-Gullace-Albanese, con ruolo direttivo e di comando, in quanto referente dell’articolazione ’ndranghetistica in Liguria e in Piemonte per la risoluzione di controversie, per il mantenimento dei contatti con gli esponenti di spicco di altre articolazioni territoriali della ‘ndrangheta, per la condivisione di interessi imprenditoriali, anche al di fuori del territorio italiano, per il reimpiego di proventi delle attività illecite».
Storia a parte, con riferimento all’ultima inchiesta genovese e ai contatti tra Maurici e Mamone, gli inquirenti sottolineano come «il 30 novembre 2020 Venanzio Maurici, detto “Ezio”, abbia telefonato a Luigi Mamone cl. 36, detto “Gino”, manifestandogli la necessità di incontrarlo personalmente e non per telefono». Un primi incontro avverrà il 2 dicembre 2020 e, in questa circostanza, da un lato si capisce «la considerazione che Mamone riserva ai due cugini, riconoscendone l’attuale appartenenza al sodalizio mafioso riesino, dall’altro è indicativo della personalità criminale di Mamone, il quale nel corso della discussione fa continui riferimenti a vecchi e solidi rapporti di amicizia con vari membri della famiglia siciliana», annota il gip. Nel corso della conversazione Mamone rivela, poi, il profondo grado di conoscenza e di amicizia nonché le comuni esperienze vissute insieme con il padre Giacomo Maurici e, tra l’altro, racconta di alcuni screzi con esponenti del “clan Angiollieri”, famiglia malavitosa di origine campana operante nel ponente genovese. «(…) siamo partiti io e tuo papà e io con quella macchina lì… di qua e abbiamo preso un coltello per tagliare i fili sotto…». Per il gip «si coglie come l’anziano imprenditore calabrese, riportando un vecchio episodio che lo aveva visto protagonista insieme a Giacomo Maurici, intendeva posizionare la sua statura criminale su un livello paritetico a quello dei riesini, al punto da ricordare orgogliosamente la sua partecipazione ad un “regolamento di conti” con un clan rivale operante a Genova, perpetrato attraverso un comune atto di danneggiamento».
Il vero tema dell’incontro, oltre ai convenevoli e ai ricordi di un passato ormai lontano, era la necessità dei due Maurici a perorare un credito vantato da un geometra nei confronti proprio di Mamone. Il professionista, infatti, «aveva chiesto l’intervento dei due per convincere Mamone a corrispondergli una somma di denaro a lui dovuta per alcune prestazioni professionali rese all’imprenditore di Cittanova». Il tema, poi, sarà affrontato dallo stesso Mamone con il suo dipendente. «(…) ha mandato questa mattina… persone… recupero crediti…» ma continuava «le persone che ha mandato… poi… lo vanno a prendere a schiaffi a lui». Con questa espressione l’imprenditore di origine calabrese alludeva al fatto che il geometra «si fosse rivolto a persone pericolose» scrive il gip, «No, questi qua non sono geometri… sono recupero crediti… quelli che… sono mafiosi… ecco… mafiosi… gente del cazzo».
Seguirà, poi, un altro incontro il 9 dicembre 2020. Questa volta, insieme ai cugini Maurici, c’è anche il geometra. Come riporta il gip, «Mamone tuttavia respingeva le richieste di Barbiero, definendole “assurde” e invitando piuttosto il geometra ad iniziare a pagare l’affitto dell’appartamento in cui viveva, e per il quale avrebbe accumulato un cospicuo arretrato». I tono si fanno, poi, più concilianti e familiari e, anche in questo, ci si lascia ai “vecchi” ricordi e alle comuni esperienze. In tale contesto «venivano scambiate alcune informazioni sulle sorti di soggetti legati al mondo della criminalità organizzata calabrese e siciliana» riporta il gip, «introducendo la figura di Pino Macrì (cl. ’64), fratello di Nicodemo, nato a Locri nel ’73 e considerato «promanazione diretta sul territorio di Genova dell’omonima cosca originaria di Mammola, operante nel mandamento ionico». Entrambi i fratelli «sono stati coinvolti nell’inchiesta “Maglio 1” in quanto ritenuti intranei ad un clan di ‘ndrangheta. (g.curcio@corrierecal.it)
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