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‘Ndrangheta, l’alleanza strategica coi Piscopisani e la sfida di Turi Tripodi all’egemonia dei Mancuso

Il ruolo di vertice dopo la partenza del fratello Nicola, il “cartello” con Mantella e la pazza idea di battere il clan di Limbadi

Pubblicato il: 09/05/2024 – 6:44
di Giorgio Curcio
‘Ndrangheta, l’alleanza strategica coi Piscopisani e la sfida di Turi Tripodi all’egemonia dei Mancuso

VIBO VALENTIA Un ruolo di vertice sempre più marcato, ottenuto attraverso una “escalation” criminale all’interno della cosca di appartenenza ma, soprattutto, con un nuovo corso dopo l’alleanza con i Piscopisani. L’ascesa del boss Salvatore Tripodi, vibonese classe 1971, è uno degli aspetti evidenziati nell’ultima inchiesta “Porto Salvo” condotta dalla Distrettuale antimafia di Catanzaro che ha iscritto nel registro degli indagati 23 persone, con il fermo di 14 soggetti. L’ascesa criminale di Salvatore Tripodi, peraltro, era già emersa dalle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia Michele Iannello, fino al momento della sua collaborazione stabilmente inserito nella cosca “Prostamo-Pititto-Iannello” subordinata a quella dei Mancuso. «(…) il fatto che i fratelli di Tripodi facessero parte del medesimo gruppo criminale, non solo era notorio, ma è stato da me direttamente constatato in quanto, allorquando Nicola discuteva con Peppe Mancuso di affari illeciti, egli si rivolgeva ai fratelli come a persone direttamente interessate alle cose di cui si stava parlando…». In questa dichiarazione, in particolare, il pentito fa riferimento ad un incontro avvenuto tra il boss, Nicola Tripodi, e Peppe “mbrogghia” Mancuso (cl. ’49) «avente ad oggetto i proventi delle estorsioni realizzate dalla cosca», riporta il gip, sottolineando il ruolo di rilievo già ricoperto da Salvatore Tripodi.

Salvatore “Turi” Tripodi

La partenza per Roma del fratello Nicola

Le capacità criminali di Salvatore Tripodi lo porteranno, dunque, ad assumere la direzione del sodalizio, soprattutto dopo la partenza per Roma del fratello Nicola, ma anche a seguito degli arresti realizzati con l’operazione “Lybra”. «(…) allontanandosi da Porto Salvo Nicola Tripodi, aveva demandato e delegato tutta l’attività criminale in senso stretto, quali usura estorsioni e fatti di sangue al fratello Salvatore, sebbene quest’ultimo fosse tenuto sempre a confrontarsi e prendere direttive dal capo Nicola…», dirà poi il collaboratore Raffaele Moscato nell’interrogatorio del 2015, rimarcate poi nel 2022: «Salvatore Tripodi riveste una posizione di vertice sin da quando io avevo 4-5 anni e veniva a casa nostra a Rieti (…) mio padre lo ha cresciuto e all’epoca colui che stava sopra di lui e comandava tutto era Nicola Tripodi. Dopo il suo trasferimento a Roma, avvenuto verso la fine degli anni ’90, questo ha lasciato tutto il potere nelle mani del fratello più piccolo, appunto Salvatore, in quanto era lui che aveva la testa per comandare. Di certo già nel 2000/2001, per come constatato direttamente da me, il capo delle cosca era già “Turi” Tripodi».


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La voglia di vendetta dei Mancuso

Così come ricostruito dagli inquirenti della Distrettuale antimafia, il ruolo assunto da Salvatore Tripodi all’interno del gruppo si rivela determinante anche in relazione all’alleanza strategica stretta con i “Piscopisani”, fortemente voluta proprio da Salvatore Tripodi per «emanciparsi dall’egemonia dei Mancuso». Difatti, sfruttando la potenza militare dei “Piscopisani”, Salvatore Tripodi «è riuscito a rilanciare l’azione criminale del proprio gruppo, tornando a vantare, sul territorio storicamente assoggettato alla propria influenza, un predominio già in passato indiscusso ma che, per la prima volta, grazie alla sfrontata potenza di fuoco dei “Piscopisani”, veniva esercitato in contrapposizione con i “Mancuso”». Insomma, un tentativo di staccarsi definitivamente dal potente clan di Limbadi, con i rischi connessi e valutati dallo stesso Turi Tripodi, «provando, per tale ragione ma senza riuscirvi sino in fondo, a rimanere nell’ombra, mandando avanti i più sfrontati cugini con i più stretti adepti di questi, primi tra tutti Rosario Battaglia e Rosario Fiorillo». I Mancuso, infatti, erano pienamente consapevoli dell’ascesa criminale di Turi Tripodi e dell’azione di contrasto portata avanti da Pantaleone “Scarpuni” Mancuso. E così, per vendicare l’omicidio di Michele Palumbo, i Mancuso e in primis l’allora reggente “Luni Scarpuni”, avevano decretato la morte degli esponenti di entrambi i gruppi “Tripodi – Piscopisani”, tutti ritenuti responsabili dell’agguato mortale, e soprattutto Salvatore Tripodi, la cui eliminazione era stata «non soltanto decretata ma anche pianificata nei dettagli, al punto che erano già assoldati e convocati i killer, che avevano persino iniziato ad effettuare degli appostamenti», annotano gli inquirenti.

Tripodi «capo militare» del clan

Il ruolo di vertice di Salvatore Tripodi era riconosciuto anche da Andrea Mantella, a capo del “cartello di clan” che aveva sfidato proprio l’egemonia dei Mancuso. È lui ad indicare Turi Tripodi quale «capo militare dell’omonimo clan» confermando l’esistenza di un’alleanza strategica coi “Piscopisani” e la conseguente contrapposizione alla cosca di Limbadi. «Faccio riferimento al periodo a partire dal 2006/2007, quando questi due gruppi, insieme anche al mio, a quello dei Bonavota ed altri, iniziammo la faida con i Mancuso. Specifico anche che in quell’epoca proprio i Mancuso si erano in parte ricompattati, in quanto la fazione di Peppe Mbrogghia, per il tramite di Pantaleone Mancuso alias “l ‘ingegnere”, si era riavvicinato alla fazione di Luigi Mancuso per il tramite di Pantaleone Mancuso alias “Scarpuni”. In questa fase, in cui stavamo mettendo in atto questa strategia di cui ho ampiamente già riferito, il capo militare della famiglia Tripodi era senza dubbio Salvatore Tripodi, sebbene al vertice assoluto del gruppo ho sempre continuato a collocare Nicola Tripodi». Ancora secondo il pentito, «(…) posso anche specificare che a Salvatore Tripodi la carica di padrino venne data formalmente durante il matrimonio di Michele Fiorillo “Zarrillo”, che si svolse presso l’Hotel 501 di Vibo Valentia, conferita direttamente dalla famiglia Pelle…».

Le auto incendiate a Vibo Marina

Bartolomeo Arena, invece, nel verbale del 12 giugno 2020 cita un particolare episodio quando cioè Turi Tripodi avrebbe dato mandato a Paolo Romano di Briatico ad incendiare numerose auto in sosta nella zona di Vibo Marina. «(…) allorquando venivano incendiate tutte quelle autovetture a Vibo Marina, lo stesso giorno in cui io e Pardea ci allontanavamo da Vibo Valentia, il mandante di quelle azioni era Salvatore Tripodi che aveva dato incarico a Paolo Romano di Briatico…». In questo caso il collaboratore fa riferimento a Francesco Antonio Pardea “U Ranisi”, condannato a vent’anni di reclusione dopo la sentenza dell’abbreviato di “Rinascita-Scott”. Come annotano gli inquirenti nella richiesta, effettivamente «nella notte dell’1 maggio 2019 a Vibo Marina venivano incendiate 9 auto, parcheggiate nelle vie attigue all’abitazione di Salvatore Tripodi». (g.curcio@corrierecal.it)

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