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Divari culturali, strada (ancora) in salita per la Calabria

La regione occupa stabilmente gli ultimi posti per numero di biblioteche, musei aperti al pubblico. Ed ha tra le spese pro-capite più basse: 5,8 euro. Giap Parini: «Politica poco attenta»

Pubblicato il: 10/05/2024 – 10:30
di Roberto De Santo
Divari culturali, strada (ancora) in salita per la Calabria

COSENZA Poche biblioteche, ancor meno musei come altri presidi culturali attivi. Ed una spesa pro-capite dedicata alla cultura tra le più basse del Paese. Così la Calabria dimostra poca attenzione per uno dei pilastri fondamentali su cui si basa la costruzione della coscienza di un cittadino. D’altronde assieme alla scuola, lo stimolo intellettuale che deriva dagli spazi dedicati all’approfondimento culturale rappresenta una sorta di palestra. Un luogo non solo fisico dove trarre energie interiori da trasformare in pensiero critico. Così la lettura di un volume come anche la contemplazione di un’opera artistica come un quadro o una scultura diviene stimolo attivo e vivo dove esercitare la mente. Spazi dove acquisire consapevolezza di se stessi e delle cose che ci circondano, ma anche memoria di esperienze passate e conoscenza di futuri possibili.
Uno spazio museale così come una galleria d’arte o una biblioteca in questo senso non sono solo contenitori di opere statiche, ma strumenti di comprensione della realtà o meglio delle tante realtà che hanno da sempre contraddistinto la crescita umana.
In questo rappresentano anche un mezzo di emancipazione della coscienza, di acquisizione della consapevolezza di appartenere ad una specie in continua evoluzione. Uno strumento, per dirla in una sola parola, per far raggiungere la piena libertà dell’individuo. Un diritto che, stando ai numeri, in Calabria resta ancora terreno di conquista. Nonostante abbia dato i natali nel passato lontano, ma non solo, ad illustri personaggi della cultura mondiale. Se pensiamo su tutti a Tommaso Campanella così come a Corrado Alvaro o Bernardino Telesio.

L’accesso alla lettura è fondamentale fin dai primi anni di vita

Un passato glorioso che attraversa secoli in cui la Calabria era territorio incredibilmente fecondo di confronti culturali.  Ed ora è in attesa di quel riscatto che proprio dalla diffusione della cultura potrebbe derivare gli stimoli principali. Nell’anno in cui Taurianova diviene Capitale del Libro e nella settimana che si celebra al Lingotto il Salone internazionale del Libro, la Calabria dovrebbe ritrovare quelle giuste ispirazioni per iniziare a risalire la china.
Un percorso lungo se si considerano i numeri da cui la regione deve ripartire.

I numeri dei divari culturali calabresi

Stando ai dati Istat, la Calabria risulta agli ultimi posti per diversi indicatori che misurano la diffusione della cultura sul territorio. Così emerge che la densità e rilevanza del patrimonio museale, indicatore che tiene conto della dotazione di strutture museali aperte al pubblico, ma anche del numero di visitatori, segnala un evidente svantaggio della regione sia nel contesto nazionale che in quello del Mezzogiorno.
Nel 2021 l’indicatore in Calabria si attesta a meno della metà del corrispettivo valore del Mezzogiorno (0,30 e 0,80 per 100 km2 rispettivamente) a fronte di un valore medio nazionale pari a 1,42 per 100 km2. Le differenze tra le province sono piuttosto contenute. Il valore massimo si osserva nella provincia di Vibo Valentia (0,58 per 100 km2), seguita dalle due province di Reggio di Calabria e Crotone (con indici rispettivamente pari a 0,48 e 0,37 per 100 km2). Nel 2022, ultimo dato censito quell’indicatore è anche peggiorato, posizionandosi a 0,24 per 100 chilometri quadrati.
Significa che sono diminuiti ancor di più gli spazi dedicati alla cultura. Un quadro che colloca la Calabria al quintultimo posto nella classifica del Paese. Non va meglio neppure il dato sulla presenza in Calabria di biblioteche e ancor di più di quelle rivolte ai bambini. Una sorta di desertificazione del sapere che coinvolge anche i centri maggiori come i capoluoghi calabresi.

A Cosenza, ad esempio, sono presenti 7 biblioteche di cui una sola rivolta a lettori al di sotto dei 18 anni, per un tasso pari a 7,3 ogni diecimila minori residenti. Mentre a Crotone esistono 4 biblioteche con una dedicata agli utenti più piccoli con un tasso di presenza pari a 3,74 ogni diecimila minori residenti. A Vibo Valentia, invece, sono solo 2 ma nessuna ha come vocazione i lettori più piccoli: 3,85 ogni diecimila abitanti minori. A Catanzaro sono presenti 4,42 librerie ogni diecimila minori residenti di cui nessuna però rivolta a loro come utente principale.

Ed infine c’è Reggio Calabria con un tasso di presenza di biblioteche su minori pari a 1,42 ogni diecimila abitanti e anche in questo caso con nessuna struttura a loro dedicata.
E con questi dati, non stupisce che la Calabria è agli ultimi posti per numero di lettori. Secondo l’ultimo report Istat, infatti emerge che nel corso del 2022 (ultimo dato disponibile) è calata la percentuale di calabresi che hanno letto almeno un libro in un anno (non per ragioni di studio o lavoro). Stando ai numeri, la fascia di popolazione dai 6 anni in su che ha letto almeno un volume in un anno è pari al 24,5%. Cioè meno di un quarto del campione. Un dato peggiore della media nazionale che si attesta al 39,4%.
L’unica nota positiva nell’ultima rilevazione è che è cresciuto il numero dei lettori forti, di chi cioè in un anno legge più di 12 libri. La Calabria questa fascia è passata dal 10,3 per cento del 2021 al 12,8 del 2022. Un dato più alto del Mezzogiorno, ma decisamente più basso della media nazionale: 16,3%.

La poca attenzione che politica ed istituzioni riservano su questo terreno, emerge infine dai dati sulla spesa media dedicata e che fa collocare la regione agli ultimi posti. Con una spesa pro-capite di 5,8 euro impiegati dei comuni per la cultura, la Calabria è posizionata al terz’ultimo posto in Italia. Peggio di noi solo il Molise (5,7 euro) e la Campania (appena 2,7 euro). Decisamente distante da altre aree del Paese come Bolzano (57 euro) ed il Trentino (49 euro), a dimostrazione del divario di diritti che anche su questo fronte la Calabria registra.

Parini: «Manca cultura ed intelligenza da parte della politica»

La vera cultura non passa dal nozionismo, ma dalla capacità di stimolare la creatività. Non è cultura della rassegnazione, ma dinamismo. È questo in sintesi il pensiero di Giap Parini, ordinario di Sociologia generale all’Università della Calabria e direttore del Dipartimento di Scienze politiche e sociali dell’ateneo di Arcavacata. Secondo il docente, uno dei nodi da sciogliere per diffondere una strategia vincente in Calabria è legato alla politica. «Per valorizzare la cultura – sottolinea – serve cultura e intelligenza da parte dei decisori locali. Appunto quello che manca».

Giap Parini, ordinario di Sociologia generale all’Università della Calabria

Professore quanto il valore della cultura in senso lato può contribuire ad innalzare il livello di benessere anche nella nostra regione?
«Tanto, purché la cultura non sia semplicemente nozionismo, ma capacità di stimolo della creatività, dell’inventiva, pensiero critico o meglio ancora laterale che ti sa fare vedere le cose in un altro modo. A volte certa cultura diventa summa di stereotipi che uccide sul nascere qualsiasi pulsione di cambiamento, qualsiasi possibilità di pensarsi in modo diverso. È la cultura della rassegnazione che riproduce stancamente le condizioni del proprio languire. La cultura vera è cultura dinamica, non semplicemente sapere, ma sapere imparare, sapere cercare, sapere porsi le domande giuste. Soltanto così si risponde alle esigenze cognitive di una società complessa come quella nella quale ci aggiriamo spesso smarriti».

I presidi culturali potrebbero divenire strumenti di contrasto allo spopolamento delle aree interne

Potrebbe rivelarsi importante soprattutto per le aree interne per ridurre il fenomeno dello spopolamento?
«Le cosiddette aree interne sono tali in quanto distanti: distanti dai centri funzionali, distanti dai servizi, ma soprattutto distanti dal pulsare della vita o da quegli stili di vita che pretendono di essere centro. La cultura intesa come enunciazione più ampia è in grado di stimolare quella immaginazione che permette di annullare le distanze: con la creatività, appunto, che può trasformare certe caratteristiche tipiche delle aree interne in opportunità, magari con l’aiuto della tecnologia. Si pensi alla valorizzazione del territorio che può essere immediatamente resa visibile attraverso le connessioni, creando così motivi di attrazione; si immagini la possibilità di creare centri funzionali esclusivi, magari distaccando mansioni lavorative prima centralizzate in contesti meno intasati e oppressi dagli aspetti tipici dei luoghi ove la modernità è concentrata. Ma per immaginare queste cose servono menti allenate, menti capaci di spaziare, menti avide di cambiamento e di immaginazione. Menti che sappiano accogliere nei propri percorsi neurali le vicende del Chisciotte, di Raskolnikov e di Achab; ma anche coscienti di quello che le scienze e la tecnologia dischiudono in termini di possibilità. E per fare queste cose servono luoghi connessi, computer e libri; e soprattutto capacità di mettere queste cose insieme, attraverso opportune stimolazioni che devono partire dalla scuola».

Eppure nonostante questi benefici, almeno stando ai dati dell’Istat, si investe poco nel settore. Siamo regione cenerentola per spesa pro capite nel settore culturale. È motivato dalle poche risorse disponibili o c’è dell’altro nella valutazione dei decisori politici locali?
«Spesso i cosiddetti decisori locali mancano di quella immaginazione che è figlia della cultura; sono essi stessi rassegnati e vivacchiano nel movimento inerziale che è dato dalla loro posizione: i migliori riproducono le condizioni che hanno trovato; i peggiori fanno razzia di quel poco che è rimasto. Ai protagonisti della cultura non vengono lanciate che poche ossa sulla quale non resta loro che gettarsi con rassegnazione, magari pure azzuffandosi. Questa regione, per esempio, ha dato tanto al teatro e le compagnie teatrali che qui si muovono sono di primissimo livello, premiate in tutti i contesti nazionali e internazionali e sono capaci di percorrere strade nuove e sperimentali; eppure i teatri chiudono, i fondi vengono sempre più lesinati e le compagnie vengono colpite nella loro dignità: quelle che resistono lo fanno per resilienza e per amore. Per valorizzare la cultura serve cultura e intelligenza da parte dei decisori locali. Appunto quello che manca. Perché la cultura costa molto meno di quello che rende e costa molto meno di tante cose inutili ove viene investito denaro pubblico».

In Calabria meno di un quarto della popolazione legge almeno un libro all’anno

Ma anche il dato sulla lettura di libri vede la regione relegata agli ultimi posti. Secondo lei da cosa dipende?
«Dalla scarsa importanza che si dà alla cultura, da un lato, e dalla incapacità di immaginare forme nuove di diffusione della stessa dall’altro. Avvicinare i più giovani alla lettura non deve essere inteso come un compito di acculturamento, magari secondo logiche impositive: questo immancabilmente fa fuggire i potenziali novelli lettori, che vivranno questa attività, leggere, come noiosa e inutile. Meglio pensare a percorsi di avvicinamento e di reciproco contagio, dove chi ama i libri venga messo nelle condizioni di trasmettere quel proprio amore, che, allo stesso tempo, deve essere aperto ad accogliere le domande e le ansie dei più giovani, magari anche attraverso uno smartphone o un computer. Vi è poi un altro problema: se gli operatori della cultura vengono continuamente depauperati, colpiti nella loro dignità di professionisti, quella che si trasmette è una immagine negativa della cultura, quindi anche inutile e priva di charme. Lo dico brutalmente: una cosa da falliti».

Unical
Gli studenti all’Università della Calabria

E quale ruolo può svolgere il mondo universitario calabrese per diffondere una diversa e più consolidata consapevolezza dell’importanza della cultura nella società?
«L’università in Calabria, a partire dall’Unical ed estendendosi a tutto il sistema universitario regionale, ha fatto molto, soprattutto dando chances di cultura a chi non le avrebbe potute coltivare dati i costi elevati di trasferimenti in altre zone. Le università calabresi sono state l’investimento più redditizio per questa regione e rappresentano presidi culturali che proiettano il territorio nei contesti internazionali della ricerca. Rappresentano proprio quella immagine di successo della cultura a cui spesso la cultura non è associata. Bisogna quindi investire in università e in diritto allo studio soprattutto, per permettere sempre a più persone di accedervi. Dal conto loro, le università devono sforzarsi ancora di più per operare una integrazione della pluralità dei territori della regione nella complessità di un mondo globalizzato. Cosa che sono in grado di fare ma che non sempre fanno con la giusta convinzione». (r.desanto@corrierecal.it)

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