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‘Ndrangheta e l’ascesa dei Tripodi-Piscopisani. Mantella: «Volevamo colpire Maduli perché protetto dai Mancuso»

Nell’inchiesta della Dda le dichiarazioni del collaboratore di giustizia: «Per Barba, dall’espansione nel settore della cartellonistica pubblicitaria avremmo potuto guadagnarci anche noi»

Pubblicato il: 12/05/2024 – 10:00
di Giorgio Curcio
‘Ndrangheta e l’ascesa dei Tripodi-Piscopisani. Mantella: «Volevamo colpire Maduli perché protetto dai Mancuso»

VIBO VALENTIA Un gruppo pronto a tutto, anche alla guerra, pur di riconquistare una egemonia territoriale e accreditarsi sia nel tessuto sociale che produttivo vibonese, con un unico obiettivo: subentrare alla potente cosca dei Mancuso di Limbadi. Era questa la strategia pensata dall’asse dei clan Tripodi e dei Piscopisani, da attuarsi attraverso la «riscossione delle estorsioni» sul territorio. Ne sono convinti gli inquirenti della Distrettuale antimafia di Catanzaro che, con l’ultima inchiesta “Porto Salvo”, hanno cercato di far luce su alcuni dei punti rimasti oscuri in questi ultimi 15 anni di indagini e processi, con il fermo di 14 persone l’iscrizione nel registro degli indagati di altre 23, tutti accusati a vario titolo per i reati di associazione mafiosa, ma anche omicidio e tentato omicidio.

Le estorsioni per colpire i Mancuso

Tra gli elementi riportati dagli inquirenti nella richiesta avanzata al gip del Tribunale di Vibo Valentia ci sono le innumerevoli estorsioni realizzate dal nuovo asse in contrapposizione allo strapotere dei Mancuso. E tra queste c’è anche quella che si sarebbe consumata «ai danni di Domenico Maduli, titolare dell’agenzia pubblicitaria “Pubbliemme s.r.l.” e che sarebbe stato storicamente assoggettato al controllo di Pantaleone Mancuso detto “Scarpuni”», si legge nella richiesta della Procura. A delinearne i contorni sono stati due collaboratori di giustizia eccellenti come Raffale Moscato e Andrea Mantella.
Nel verbale di interrogatorio del 10 maggio 2022, invitato a riferire più nello specifico su questo tema, Andrea Mantella ha descritto con dovizia di particolari «la vicenda estorsiva in esame, dichiarando che l’attività che sarebbe stata realizzata ai danni di Domenico Maduli sarebbe stata, appunto, frutto della strategia volta a dimostrare a tutte le realtà economiche del territorio “delle marinate” soggette ai Mancuso che, da quel momento in poi, dovevano sottomettersi, invece, alle cosche Piscopisani e Tripodi, legate tra loro da un rapporto di alleanza e mutua assistenza».


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Il “nuovo corso” deciso da Tripodi

Per gli inquirenti, dunque, le cose dovevano cambiare e a dare impulso al “nuovo corso” sarebbe stato «proprio Salvatore Tripodi» nella sua qualità di capo locale di Porto Salvo, frazione di Vibo Valentia. Per Mantella sarebbe stato lui il «mandante della pressione estorsiva ai danni di Domenico Maduli, realizzata anche attraverso l’esplosione di alcuni colpi di arma da fuoco contro la saracinesca della sua attività commerciale a Vibo Marina». Nel suo interrogatorio, inoltre, il collaboratore di giustizia ha spiegato che «Nicola Barba, nel 2010, si era recato da lui a Cosenza dove era ai domiciliari» con un obiettivo ben preciso: risolvere una questione legata ad un’iniziativa imprenditoriale «che avrebbe intralciato gli affari della “Pubbliemme” proprio nel settore della cartellonistica pubblicitaria», si legge ancora. «(…) la strategia era quella di rappresentare, per mezzo di questi atti dimostrativi eclatanti, a tutte le realtà economiche del territorio soggette ai Mancuso, la necessità, da quel momento in poi, di sottomettersi a loro (…) posso indicare, a titolo esemplificativo, tra i tanti, oltre al danneggiamento al ristorante “L’Approdo” di Lopreiato anche la vicenda di Domenico Maduli, che allora aveva un’attività di fotografo alle spalle dell’attività di Vacatello». «Ricordo che a questo spararono alla saracinesca per “addomesticarlo”, essendo un imprenditore nelle mani dei Mancuso. Il ruolo specifico svolto da Salvatore Tripodi nell’ambito della vicenda di Maduli è stato quello di mandante dell’attentato, in qualità di capo locale di Posto Salvo. È stato il soggetto più determinato affinché venisse portato a termine il progetto estorsivo, trattandosi della mente del suo gruppo, che diversamente da Battaglia e Fiorillo, che erano più il braccio armato della cosca».  

Andrea Mantella
Andrea Mantella

La vicenda della cartellonistica

Nel corso delle sue dichiarazioni, Mantella parla proprio dell’incontro a Cosenza con Barba. «(…) mi venne a trovare mentre ero ai domiciliari a Villa Verde, nel 2008. Nicola Barba era socio di Maduli, il quale mi mise al corrente del fatto che stavano crescendo a livello imprenditoriale, chiedendomi di intercedere con il mio gruppo, in particolare con Salvatore Morelli e Vincenzo Mantella, per farli desistere dal loro proposito imprenditoriale di entrare nel mercato della cartellonistica pubblicitaria per il tramite di alcune teste di legno…». «Nell’occasione, ovviamente, mi prometteva che dalla loro espansione avremmo potuto guadagnarci anche noi. Dopo aver preso accordi con lui, dissi pertanto ai miei di lasciar perdere questa iniziativa imprenditoriale». Come riportato dagli inquirenti, l’iniziativa imprenditoriale che era stata intrapresa dal gruppo di Mantella nel settore della cartellonistica pubblicitaria era quella riconducibile alla “Pubbliservice Sud”, esercente l’attività di agenzia di affari nel settore della pubblicità negli anni 2008-2009, come è già emerso nell’altra inchiesta della Dda “The Goodfellas”. In particolare, Nicola Barba, classe ’52 di Vibo Valentia e considerato «soggetto deputato alla consegna del denaro» da Mantella, è rimasto coinvolto nell’inchiesta “Rimpiazzo” dove, al termine del processo, è stato assolto in appello «per non aver commesso il fatto» (l’accusa aveva chiesto 8 anni) mentre ha rimediato 3 anni nel processo Rinascita-Scott.


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«Il “contentino” versato da Maduli»

Come raccontato ancora dal collaboratore di giustizia «Maduli, dunque, versava un “contentino” ai Piscopisani e ai Tripodi di circa 10mila euro l’anno per il tramite di Nicola Barba, che questo dava direttamente a Salvatore Tripodi il quale, a sua volta, lo ridistribuiva con gli altri (…) per come da me disposto, effettivamente Maduli versò a questi una trance di almeno 10.000 euro». Ed effettivamente negli atti dell’inchiesta “Rimpiazzo” è documentata l’estorsione ai danni della ditta di Domenico Maduli, tant’è vero che sono stati ricostruiti tre episodi realizzati proprio ai danni dell’imprenditore vibonese. Ma – sottolineano gli inquirenti nella richiesta avanzata al gip – ad ulteriore riscontro delle dichiarazioni rese da Mantella si rappresenta che «l’inchiesta ”Rimpiazzo”, oltre a documentare l’attività estorsiva realizzata ai danni di Maduli, ha confermato che tutti gli episodi estorsivi subìti dall’imprenditore vibonese, al pari di altre estorsioni realizzate in quel periodo, sarebbero stati posti in essere in attuazione di quella strategia di contrasto allo strapotere dei Mancuso realizzata dai Piscopisani unitamente agli altri gruppi riuniti nel “cartello” contrapposto ai Mancuso, per riaffermare il proprio predominio sul territorio».


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L’omicidio Palumbo

Una strategia messa in correlazione con un grave fatto di sangue: l’omicidio di Michele Palumbo. Come emerso dalle indagini, e riportato nell’ultima inchiesta “Porto Salvo”, «già al momento della deliberazione dell’esecuzione dell’omicidio di Palumbo, l’obiettivo che avrebbero perseguito gli autori – che i collaboratori individuano nei Tripodi e nei Piscopisani – era quello di liberare il loro territorio dalle ingerenze e strapotere del clan Mancuso». Michele Palumbo era, infatti, un uomo “vicino” a Pantaleone Mancuso e i Piscopisani miravano a ribaltare gli equilibri, mediante la sostituzione della cosca egemone. A sostegno di questa teoria ci sarebbero anche le dichiarazioni di Raffale Moscato secondo il quale «dopo l’esplosione di colpi di arma da fuoco contro la saracinesca dell’agenzia di Maduli ed il rifiuto di quest’ultimo di cambiare gli assegni portatigli da Moscato e Maccarone, erano intervenuti Nicola Barba e Michele Palumbo, uomini di fiducia di Pantaleone “Scarpuni” Mancuso, i quali avevano riferito che quell’attività non andava toccata in quanto già sotto il controllo dei Mancuso».

La voglia di Tripodi di colpire Luni “Scarpuni” Mancuso

In un verbale del 2015, Moscato aveva riferito agli inquirenti che «la scelta delle attività commerciali da “colpire” con le estorsioni sarebbe stato dettato dalla loro “appartenenza” alla cosca rivale dei Mancuso, solo in questo modo avrebbero potuto avere il controllo assoluto sul territorio. Per cui con riguardo alla pressione estorsiva effettuata nei confronti di Maduli, l’intromissione di Michele Palumbo nella sua qualità di referente dei Mancuso, non poteva essere tollerata (…) al momento di proseguire nella condotta estorsiva, si intromettono il suo socio Nicol Barba Nicola e appunto Palumbo, dicendo che l’attività era sotto il controllo di Luni Mancuso “Scarpuni” e che quindi doveva lasciare perdere. Per questa ragione, usata come ulteriore provocazione, Rosario Battaglia, per colpire Luni Mancuso, Salvatore Tripodi con Michele e Rosario Fiorillo, Franco D’Ascola, Salvatore Vita e Antonio Tripodi, decide di eliminare Palumbo». Insomma, secondo il pentito, come racconterà poi nel 2021 in aula nel Tribunale di Vibo Valentia «(…) hanno fatto la cosa per ammazzarlo non proprio solo per Maduli, ma pure per il resto, per prendersi il territorio di Vibo Marina, insieme alla famiglia Tripodi…». (g.curcio@corrierecal.it)

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