VIBO VALENTIA «I Piscopisani con i Tripodi, in primis hanno una parentela tra Battaglia e Fiorillo Rosario “Pulcino”, sono parenti e, poi si sono legati a livello ‘ndranghetistico, a livello militare e quindi hanno fatto la fusione, si sono messi tutti insieme e sono diventati una “pigna”». Le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Andrea Mantella hanno offerto agli inquirenti della Distrettuale antimafia di Catanzaro un contributo significativo nella ricostruzione delle dinamiche interne ai clan di ‘ndrangheta attivi nel territorio Vibonese e, soprattutto, quelle relative a quasi un ventennio fa con la “guerra” che ha causato morti e sangue sul territorio per la contesa dell’egemonia sul territorio.
Partendo dalla figura apicale del boss Salvatore “Turi” Tripodi, gli inquirenti sono riusciti a scalare il “legame di sangue” della cosca. L’appartenenza di Salvatore Tripodi all’omonima cosca «emerge già dai vincoli familiari che lo legano agli altri componenti del suo sodalizio ‘ndranghetistico». In particolare, la riconosciuta famiglia di ‘ndrangheta ha, come capostipite, Orlando Tripodi, il quale ha sposato Carmela Mantegna. Dalla loro unione sono nati 12 figli, tra cui proprio Salvatore Tripodi». Del resto, come noto, nell’ambito delle mafie “storiche”, la ‘ndrangheta è quella in cui, più di tutte, «il legame familiare assume un valore preminente nella delineazione dei vertici dell’organigramma delle cosche» scrivono gli inquirenti, influenzati anche dalla «combinazione di matrimoni tra esponenti di diverse ‘ndrine utili a sancire alleanze tra consorterie criminali, ovvero a mettere fine alle faide».
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Come ricostruito dagli inquirenti, Salvatore Tripodi, detto “Boss Hog” nel 1995 ha sposato Mariantonia Monica Mantino, famiglia che avrebbe operato «da “collante” tra le famiglie Tripodi, Russo, Lo Bianco e Vita, in virtù dei matrimoni celebrati tra gli appartenenti alle rispettive famiglie». La famiglia Tripodi è, inoltre, legata da vincoli di sangue alla famiglia D’Ascoli: la madre dei Tripodi, infatti, è sorella di Antonietta Mantegna, quest’ultima coniugata con Domenico D’Ascoli. Infine, Rosaria Caterina Fortuna, moglie di Fortunato Mantino e madre delle tre sorelle che hanno sposato Salvatore Tripodi, Salvatore Vita e Giuseppe Lo Bianco, a sua volta, è la sorella di Rita Fortuna, madre di Rosario Battaglia, di Maria Concetta Immacolata Fortuna, madre di Rosario Fiorillo, di Michele Fortuna, padre di Davide Fortuna – ucciso il 6 luglio 2012 nell’ambito della faida che ha visto contrapposti i “Piscopisani” ai Patania di Stefanaconi – e di Sacha Fortuna. Legami familiari e intrecci strettissimi, dunque, con protagonisti gli esponenti di primissimo piano della cosca dei “Piscopisani”, attiva nel territorio urbano di Vibo Valentia e sulla fascia costiera, con cui proprio Salvatore Tripodi «ha siglato un’alleanza strategica che ha consentito alla sua cosca di riaffermare il proprio predominio sui territori di Vibo Marina e Porto Salvo».
La figura di Salvatore Tripodi, la sua ascesa criminale e il ruolo di spicco all’interno del clan erano già emersi dal procedimento penale nato dall’omicidio di Fortunato Patania, nonché dalle inchieste giudiziarie della Distrettuale antimafia di Catanzaro “Odissea”, “Lybra” e “Rimpiazzo”. In particolare, proprio dall’inchiesta “Odissea” gli inquirenti avevano documentato una sorta di «primordiale riconoscimento della cosca “Tripodi – Mantino” da parte della ‘ndrangheta», si legge con particolare riferimento alla «forza intimidatrice che il sodalizio era in grado di esprimere ed al conseguente assoggettamento delle vittime attraverso i reati di usura ed estorsione aggravati dal metodo mafioso». Dall’inchiesta, in particolare, era emerso che nel 1999 «Salvatore Tripodi e Orazio Mantino si occupavano dei lavori di pulizia spiagge e, che, in aggiunta a quanto da questi percepito per svolgere detta mansione di pulizia dell’arenile, erano soliti pretendere dagli esercenti che vi lavoravano il pagamento di un extra, di importo variabile, malgrado si trattasse di attività già retribuite in quanto eseguite nell’ambito di una ben definita cornice normativa», una cifra che oscillava tra i mille e 4mila euro.
La cosca Tripodi è stata protagonista anche dell’inchiesta “Lybra”, condotta ancora dalla Distrettuale antimafia di Catanzaro. «Negli atti di tale inchiesta sono presenti numerosi riferimenti alla figura di Salvatore Tripodi e al suo coinvolgimento in plurime dinamiche criminose», sebbene la figura al centro dell’inchiesta fosse quella del fratello, Nicola. Inoltre, negli atti dell’inchiesta “Lybra” sono indicate una serie di imprese direttamente o indirettamente riconducibili ai “Tripodi-Mantino”, a loro parenti (di sangue e/o acquisiti), oppure a terzi soggetti in funzione di “prestanome”.
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Come riportato ancora dagli inquirenti nelle carte dell’inchiesta “Porto Salvo”, gli ulteriori elementi sintomatici dell’appartenenza di Salvatore Tripodi all’omonima cosca si rilevano dalla disamina di altri passaggi dell’informativa depositata nell’ambito dell’inchiesta “Lybra”, tra cui la presenza dello stesso Tripodi in occasione dell’abbattimento del chiosco “Thirsty Fish” dell’imprenditore Pasquale Monteleone, vittima di un attentato dinamitardo il 25 gennaio 2010. Sarà lui stesso a riferire che «l’abbattimento del chiostro era stato curato da Angelo Valia e che le operazioni di abbattimento erano state dirette proprio da Salvatore Tripodi. «Del resto, come riferito dal collaboratore di giustizia Andrea Mantella, subito dopo l’esplosione dell’ordigno presso il chiosco, Salvatore Tripodi aveva chiesto conto proprio al Mantella di quell’evento, di fatto confermando che la presenza sul posto per le operazioni di abbattimento era espressione della necessità dei Tripodi di riaffermare il proprio predominio sul territorio soggetto al potere criminale della cosca, occupandosi dei lavori di demolizione della struttura». Il collaboratore di giustizia, nel confermare che a partire dagli anni 2009-2010 aveva avuto rapporti diretti ed assidui proprio con Salvatore Tripodi, ha precisato che «al momento dell’incontro avvenuto presso l’abitazione di Salvatore Tripodi, a cui aveva partecipato anche Salvatore Morelli, Turi Tripodi era già venuto a conoscenza del fatto che la bomba al chiosco del Monteleone era stata piazzata da Antonio Vacatello, su mandato degli Accorinti». «Inoltre, proprio per punire quell’affronto, i Tripodi avevano deciso di attentare alla vita di Vacatello e di Peppone Accorinti, effettuando anche alcuni appostamenti nei pressi del locale di Vacatello, sul lungomare di Vibo Marina» (g.curcio@corrierecal.it)
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