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Perché il commissariamento di San Luca è una sconfitta per la Calabria. Breve analisi rileggendo Corrado Alvaro

I grandi partiti non hanno mostrato attenzione verso le sorti della democrazia locale

Pubblicato il: 13/05/2024 – 10:00
di Paride Leporace
Perché il commissariamento di San Luca è una sconfitta per la Calabria. Breve analisi rileggendo Corrado Alvaro

REGGIO CALABRIA A San Luca non si vota. Alla fine non si è presentato nessuno come candidato a sindaco con relativa lista. Si era accesa una speranza con due signori che si erano presentati in municipio nei giorni scorsi per avere i moduli necessari alle norme di legge. Ma forse era solo un’esplorazione, o chissà cos’altro.
Si sperava nel sindaco uscente Bruno Bartolo, infermiere in pensione che fino all’ultimo una possibilità l’aveva lasciata aperta alla partecipazione. «Sono stanco» dice al cronista, il primo cittadino che dopo due commissariamenti aveva deciso di impegnarsi al riscatto civile del paese, «ma non è un addio» tiene subito a precisare. Il prossimo 21 maggio Bruno Bartolo terrà con la sua giunta un rapporto al Paese su quello che è stato fatto negli ultimi anni, in piazza se il meteo lo consente, altrimenti nella sala del consiglio comunale che non ospiterà ancora una volta consiglieri eletti.
La Calabria si è disinteressata dalle sorti di San Luca, una capitale simbolica del nostro riscatto per uscire dallo stereotipo e per continuare a costruire una nuova era, che non riguarda solo queste case arroccate sull’Aspromonte, cuore della Mamma della ‘ndrangheta per le sue cosche storiche ma anche per il ruolo antico che ha svolto nel tempo il santuario della Madonna di Polsi che da punto di riferimento della spiritualità calabrese e siciliana divenne luogo di affiliazione conciliabile.
Nelle settimane scorse si è vista una delegazione di repubblicani salire in Paese, ma nulla di strutturato, forse anche quella solo un’esplorazione. I grandi partiti non hanno mostrato attenzione verso le sorti della democrazia locale. A San Luca, la prima volta che sono andato a scoprirla, mi colpì nel bar della piazza principale il poster del Quarto Stato affisso in bella mostra. Era un legame di pastori e contadini con dei partiti di riferimento che ormai era solo un ricordo sbiadito, quell’appartenenza sulla parete del bar era soltanto la testimonianza di un Novecento modificato.
Quello di adesso non è però come lo scioglimento del 2013, quando il sindaco dell’epoca, Sebastiano Giorgi, dichiarava a Biagio Simonetta del Sole 24 Ore: «Sciolgono il mio Comune e poi, in Calabria, hanno un consiglio regionale pieno di indagati. Se San Luca è mafia allora è tutto mafia. Anche la Regione e la Provincia». Oggi il sindaco Bartolo non si lamenta del governo regionale. «Mi hanno aiutato e ci sono stati vicini. Abbiamo ottenuto dei finanziamenti importanti», saranno i commissari ora a gestire tutto. Il sindaco va fiero di aver «salvato» la dirigenza scolastica grazie anche al sostegno ricevuto dalla vicepresidente regionale Princi. C’erano tutti i presupposti per continuare l’esperienza amministrativa, eppure il risultato non è arrivato. Gli scioglimenti e le difficoltà di essere un amministratore di San Luca hanno rinsecchito la democrazia partecipativa, fattori locali che s’intrecciano con questioni più generali estese dappertutto con la base elettorale astensionista che aumenta ad ogni elezione per disaffezione verso la politica di professione.
Se non ha fatto grande scalpore nazionale lo scioglimento del Comune a Tropea, capitale turistica della Calabria, figurarsi il clamore nazionale per San Luca che non presenta liste per governare il municipio. Resta il problema della ricostruzione della nuova Calabria, che per l’alto numero di scioglimenti vede troppi commissariamenti a causa di uno strumento logoro che deve essere modificato. Vicenda che incrocia la presenza della ‘ndrangheta che cerca di infiltrarsi e l’aumento della diserzione dalla partecipazione di aspiranti amministratori che sempre più come Bartolo, sfiduciati, gettano la spugna.
Parlare di San Luca significa sporcarsi le mani positivamente con il suo cittadino più illustre, lo scrittore Corrado Alvaro. Spesso adoperato come santino da social dalla Calabria odierna con citazioni di successo come quella dei calabresi che vogliono essere parlati o della disperazione di una società sul dubbio che vivere rettamente «è inutile».
Alvaro è stato un intellettuale di portata europea in fuga dal suo paese, ma vi ritornava appena le circostanze lo consentivano, e soprattutto rese le sue amate pietre il teatro principe di molte sue opere. In un reportage giornalistico del secondo dopoguerra Alvaro scrisse a chiare lettere della ‘ndrangheta di San Luca. La definisce con parole chiare in attacco del pezzo (Si può leggere nella raccolta “Un treno del Sud” di Rubettino) ed è Fibbia, ‘ndrina, ‘ndranghita, Onorata società, e Alvaro annota «la conosco da quando ebbi l’età della ragione». Raccontando un episodio. Il giovane Alvaro tornato a casa per le vacanze estive, saluta la mamma che lo informa che dal padre ci sono quelli dell’associazione. Corrado Alvaro s’illumina di civismo per il fatto che sia nata un’associazione che si occupa del paese, ma mamma Alvaro ne fredda l’entusiasmo affermando: «E’ l’associazione a delinquere».
Alvaro non si meraviglia di quella visita perché «nessuno in paese li considerava gente da evitare, e non tanto per timore, quanto perché ormai formavano uno degli aspetti della classe dirigente». Era tanto tempo fa. Quella classe dirigente di autodifesa nel tempo si è trasformato in altro venendo a coincidere con la testa del serpente della nuova mafia imprenditrice. Una contaminazione di antico e moderno. Un ibrido strano che non riguarda solo San Luca, perché la linea del bergamotto, sorella di quella della palma sciasciana, ha risalito tutta la Calabria, poi l’Italia e infine si è diffusa nel mondo. Lasciando al paese d’origine e alla Calabria lo stigma. Non è solo un problema di polizia, scriveva Alvaro, in quell’illuminante articolo aggiungendo «la norma per un’azione seria, potrebbe dettarla l’esame di come si è comportata la classe dirigente da cinquant’anni». Ne sono passati altri 70. Non è mancato in questi decenni chi ha cambiato percezione e ruoli della questione criminale diventata spesso classe dirigente con modalità differente dai tempi di Alvaro. Resta la sfiducia verso il cambiamento. A San Luca il sindaco Bartolo è solito rievocare lo stanziamento dello Stato unitario nel 1863 di 30000 ducati per costruire una strada che potesse collegare il paese con Palmi. Quella strada, che avrebbe modificato l’isolamento della zona, non l’hanno mai costruita. Quella di una democrazia compiuta invece ha fatto passi in avanti in una lenta corsa della tartaruga. Il nuovo commissariamento di San Luca, che da calabresi vorremmo mamma di un nuovo riscatto, ci incupisce per questo nuovo ostacolo alla partecipazione e al cambiamento. Perché se San Luca non rovescia lo stereotipo non lo abbatte neanche il resto della Calabria.
(redazione@corrierecal.it)

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