COSENZA «Se ti vedono i Carabinieri o la Polizia tu che gli dici?» «Che vado da Carletto». Uno scambio di battute solo in apparenza normale. A parlare, però, è un bambino molto piccolo e un genitore. E il «Carletto» di cui discutono altri non è un presunto spacciatore di cocaina. È uno dei tratti più inquietanti emersi dalla corposa inchiesta “Recovery”, coordinata dalla Distrettuale antimafia di Catanzaro in sinergia con la Procura di Cosenza, e che ha portato all’emissione di 142 misure cautelari all’alba di oggi.
Tra quelli finiti in carcere ci sono alcune delle figure chiave delle attività di spaccio di cocaina a Cosenza: Carlo Bruno, in qualità di fornitore, e Manuel Esposito, in qualità di spacciatore. Entrambi, come è scritto negli atti dell’inchiesta, erano «coadiuvati nell’attività di narcotraffico dalle rispettive compagne, Pamela D’Ambrosio e Nadia Lo Polito». Insomma, nella buona e nella cattiva sorte, da intendersi quest’ultima con il blitz condotto all’alba di oggi che li ha condotti in carcere.
C’è un fatto che rende però il quadro accusatorio ancora più grave ed è, cioè, il coinvolgimento dei due figli minori, G. e D. Esposito. Secondo gli inquirenti, infatti, il gruppo formato dalla due coppie «si avvaleva per la consegna del denaro ed il ritiro della sostanza stupefacente dei figli minori di Manuel Esposito, i quali venivano incaricati dal padre di consegnare, notte tempo, il denaro provento quotidiano dell’attività di spaccio al suo fornitore, Carlo Bruno».
La compravendita e la cessione di cocaina avvenivano quotidianamente per soddisfare una “domanda” che non conosce crisi a Cosenza, come già era emerso in tante altre inchieste che hanno fatto luce sul narcotraffico nel capoluogo brutio, quindi serviva una organizzazione precisa.
Uno schema semplice quello ricostruito in fase investigativa dagli inquirenti. In pratica Bruno avrebbe ceduto «sistematicamente» quantitativi variabili di cocaina a Manuel Esposito. Quest’ultimo, poi, rivendeva o a suoi clienti abituali che ne facevano uso personale o ad altri spacciatori incaricati della vendita al dettaglio della sua stessa piazza di spaccio, «controllate dal sodalizio di cui tutti facevano parte», annotano gli inquirenti. Toccava, invece, a Pamela D’Ambrosio occuparsi dell’incasso dei proventi derivanti dalle forniture di stupefacenti e tenere la contabilità. Secondo gli inquirenti, invece, anche Nadia Lo Polito «aiutava il compagno Esposito nell’attività di cessione di cocaina» ma si sarebbe occupata anche dell’istruzione dei due figli minori «sul modo in cui comportarsi in occasione delle consegne del denaro» effettuate presso l’abitazione di Carlo Bruno, nonché nel caso di eventuali controlli da parte delle forze dell’ordine in occasione delle consegne.
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Quella di “sfruttare” i figli minorenni è, secondo l’accusa, «una scelta strategica» per non destare sospetti «in occasione della consegna giornaliera del denaro provento dell’attività di spaccio». Secondo gli inquirenti, e come già sottolineato, Esposito «era solito avvalersi dell’ausilio dei due figli minorenni», rispettivamente classe 2014 e 2016. Due bambini che, di fatto, venivano incaricati dal padre, «nonostante la tenera età – o verosimilmente proprio in ragione di ciò – ad effettuare la consegna del denaro, provento giornaliero dell’attività di spaccio presso l’abitazione di Carlo Bruno», distante pochi metri dall’abitazione degli Esposito, e considerato «il vertice dell’articolazione del sodalizio dedito al traffico di sostanze stupefacenti», operando anche «in qualità di fornitore abituale della cocaina».
A supporto della tesi accusatoria, ci sono una serie di registrazioni video ma anche le intercettazioni ambientali. Come nel caso del 29 dicembre del 2020. Alle ore 00.24 le videoriprese catturano il momento in cui il figlio minore di Manuel Esposito raggiunge l’abitazione di Bruno. Non prima, però, di essere “istruito” dal papà.
«(…) ma se ti vedono i Carabinieri o la Polizia, tu che gli dici? Se ti dicono dove stai andando?» chiede il padre al piccolo che risponde: «Da Carletto». «A che fare?» chiede ancora il genitore. «A prendere altra droga», risposta che evidentemente non va bene. «Noooo! Gli dici che devo andare a prendere il… latte… hai capito? Tu non devi dire mai “devo prendere e portare un sacchetto”, hai capito?». E ancora: «Guarda sto minchione, aaaah… la tieni la luce? dai muoviti dai, si… guardati di qua, dai muoviti! Ti do uno schiaffo che ti butto per terra…» «come è togo però, è sincero… come è bello…».
Stessa circostanza registrata, ancora, il 30 dicembre 2020. Anche in questo caso il piccolo Esposito veniva, nuovamente, «inviato a casa di Carlo Bruni per finalità inerenti alla gestione dello spaccio di sostanze stupefacenti». In questa circostanza, però, ad impartire istruzioni al bambino era la madre Nadia Lo Polito. «Sono stato bravo?» chiede il figlio, «Sì» la riposta della madre.
Il modus operandi, dunque, è sempre lo stesso, senza curarsi dell’orario, sempre a tarda sera o dopo la mezzanotte. Una sorta di “pensiero fisso” per lo stesso minore, come emerso nella conversazione del 4 febbraio 2021 quando è proprio il bambino a chiedere al padre: «(…) papà dove vado!? Da Carletto…!?». Poi, più tardi: «Papà… domani mi porti all’asilo?».
«Ci guadagno… ci guadagno più di Carlo (…) lui, per esempio, la paga a quaranta… poi me la da a cinquanta…» «(…) io invece la vendo a settanta a grammo! Hai capito? Ci guadagno sempre di più! Io su… io su… guarda per esempio sopra mezzo chilo ci prendo diecimila euro!». Questo lo stralcio di una conversazione intercettata dagli inquirenti. A parlare è Manuel Esposito con la cognata, anche lei minorenne, alla quale descrive «dettagliatamente i suoi guadagni» è scritto negli atti dell’inchiesta, facendo un confronto con il giro d’affari di Carlo Bruno. «Lui ne piglia… meno… duemila! Hai capito?». (g.curcio@corrierecal.it)
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