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inchiesta “Recovery”

Narcotraffico a Cosenza, una “talpa della Gdf” avrebbe informato un indagato di una imminente operazione

Per l’accusa il militare è «consapevole del fatto che Michele Rende è intraneo al sodalizio mafioso cosentino»

Pubblicato il: 14/05/2024 – 13:00
di Fabio Benincasa
Narcotraffico a Cosenza, una “talpa della Gdf” avrebbe informato un indagato di una imminente operazione

COSENZA Nell’inchiesta denominata “Recovery“, coordinata dalla Dda di Catanzaro e conclusa nella notte con un blitz scattato intorno alle 3, viene coinvolto anche un finanziere, Enrico Dattis. Per lui è stata decisa la sospensione dal pubblico servizio. Da quanto emerso, il focus investigativo scaturisce da alcune intercettazioni che avrebbero consentito di appurare «l’avvenuta cognizione da parte di uno degli odierni indagati, Michele Rende (finito in carcere) di essere tra gli obiettivi di una complessa attività di indagine sull’associazione mafiosa cosentina strutturata in senso piramidale, al cui vertice viene collocato Francesco Patitucci ed in seno alla quale il Rende sarebbe collocato a livello intermedio». E’ una intercettazione a disvelare la notizia. Rende, in un colloquio captato, confessa al suo interlocutore «di aver appreso» la notizia «da un appartenente alla Guardia di Finanza». Queste le parole pronunciate da Rende. «E’ attendibile perché me lo ha detto pure a me un amico che è dentro … nella Finanza». Come sostenuto dall’accusa, le informazioni in possesso di Michele Rende ottengono riscontro «nel giorno stesso della chiusura dell’informativa da parte della Guardia di Finanza». Il 19 ottobre 2020, infatti, la Guardia di Finanza deposita la nota informativa, nei confronti di 59 indagati, per associazione mafiosa riconducibile a Francesco Patitucci. La sera del giorno precedente il deposito dell’informativa, Rende «incontra Francesco Patitucci». Quest’ultimo contatterà Antonio Illuminato, «al quale riferiva dell’avvenuto deposito dell’informativa di polizia giudiziaria corrispondente all’indagine seguita dalla Guardia di Finanza». «Spiertu… spiertu» dice Patitucci perché «la polizia mi dà la caccia». Il boss aggiungerà che l’attività di polizia giudiziaria avrebbe riguardato «sessanta persone».

La “confessione” di Michele Rende

Il 30 novembre 2020, Rende ed Illuminato parlano dell’associazione mafiosa a struttura verticistica ipotizzata dagli investigatori e il primo, quasi sorpreso, annuncia al suo interlocutore di ricoprire un ruolo importante. «Loro dicono che hanno una piramide e in queste piramide io non sono nemmeno terra terra!… Sono a metà». L’indagato intercettato si spinge oltre e addirittura ipotizza il nome in codice della imminente operazione “Coda del Serpente”, in continuazione con una precedente operazione denominata “Testa di serpente“.
In questa stessa conversazione, per chi indaga, «offre una vera e propria confessione in ordine all’identità di colui che gli ha fornito l’informazione riservata». Ad Illuminato, «lo stesso affermava di aver scoperto tutto attraverso un amico del suocero». Di seguito la presunta ammissione. «Combinazione io come ho scoperto tutto quanto… aveva la deviazione di chiamata sul telefonino mio… quando ha chiamato questo amico di mio suocero… ha detto lo sai che è successo? lo sai che è successo?… ci siamo dovuti giustificare quando chiamavamo… perché chiamavamo a tuo genero pregiudicato e lo stiamo seguendo…!! e quindi io perciò sono venuto a scoprire tutto e gli ha detto: stai attento a tuo genero perché a sto giro c’è…». Da qui, gli investigatori hanno stretto il campo sull’individuazione del militare della Guardia di Finanza Enrico Dattis. Secondo l’accusa, quest’ultimo avrebbe intrattenuto rapporti con il suocero di Rende con il quale è «in rapporti di amicizia e stabile frequentazione (…) nei periodi in cui trascorre le ferie a Cosenza, si vede e si frequenta giornalmente, trascorrendo molte ore insieme e colloquiando confidenzialmente anche su questioni lavorative che involgono lo stesso Dattis e la Guardia di Finanza». Per l’accusa, il militare sarebbe «pienamente consapevole del fatto che Michele Rende è intraneo al sodalizio mafioso cosentino».


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La notizia dell’imminente operazione

Mentre le forze dell’ordine coordinano le operazioni in vista del blitz, citato e anticipato da Rende, la notizia degli arresti diventa oggetto di discussioni telefoniche tra la moglie e il suocero dell’indagato. Nel corso della conversazione, la donna appare preoccupata per le sorti del compagno, ma – sottolineano gli investigatori – si dimostra già preparata ad eventuali perquisizioni e assicura il suo interlocutore «non c ‘ho niente a casa». L’uomo si precipita a ricordare alla figlia di «rimuovere lingotti d’oro» e a contattare un avvocato. Il nome di Dattis, secondo quanto sostiene l’accusa, ricompare anche in occasione «del rinvenimento dell’apparato di localizzazione Gps da parte di Rende sulla propria autovettura». In quell’occasione un soggetto «facendo riferimento a Dattis dice che lui ora non se ne sta occupando più di quelle cose…..perché l’hanno mandato al nord”, lasciando intendere di essere costantemente aggiornato sulle attività lavorative condotte da Dattis».

Il quadro accusatorio

Quanto emerso e raccolto è sufficiente per chi indaga a contestare ad Enrico Dattis «gravi indizi di colpevolezza in relazione al delitto di rivelazione di segreto d’ufficio aggravato». Con le presunte confidenze rivelate, avrebbe «scientemente veicolato un’informazione investigativa di siffatta portata ad un partecipe del sodalizio mafioso», il comportamento «si traduce nell’offrire a lui ed a tutta l’associazione l’insostituibile vantaggio di adottare contromisure per celare fonti di prova e/o addurre o simulare anticipatamente prove contrarie, per tenersi indenni da provvedimenti giudiziari pregiudizievoli per l’associazione stessa». (f.benincasa@corrierecal.it)

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