COSENZA I Carabinieri lo hanno individuato e arrestato la sera di San Valentino del 2019. Siamo in contrada Petraro, a Rose, nella provincia di Cosenza. È qui che alla 20.45 scatta il blitz dei carabinieri dei Comandi Provinciali di Cosenza e Reggio Calabria. L’obiettivo è Francesco Strangio (cl. ’80) sul quale pende un mandato di cattura in quanto colpito da un ordine di esecuzione per la carcerazione emesso dalla Corte d’Appello di Reggio Calabria. Dovrà scontare 14 anni di reclusione, poiché ritenuto colpevole di traffico di sostanze stupefacenti ed altro.
Una parentesi durante la fase investigativa sull’associazione finalizzata al narcotraffico a Cosenza, coordinata dalla Distrettuale antimafia di Catanzaro, che non è affatto un episodio casuale. Come si legge negli atti dell’inchiesta “Recovery”, infatti, la vicenda emerge in questo contesto poiché «maturata proprio in seno alla tentacolare rete di traffico di sostanze stupefacente», agevolata grazie alla collaudata trama di «mutua assistenza tra i sodali dediti al narcotraffico». In buona sostanza, secondo l’accusa, i clan di ‘ndrangheta operativi nel Cosentino avrebbero in qualche modo «favorito la latitanza di un condannato di un’altra consorteria criminale», collaborando nella fornitura di sostanza stupefacente con l’associazione di narcotraffico cosentina.
Gli inquirenti se ne sono convinti collegando diversi episodi avvenuti sia prima che dopo la cattura di Strangio. A settembre del 2018, ad esempio, è stata sequestrata marijuana a carico di Natale Ruà, nel corso della perquisizione effettuata dai Carabinieri della Stazione di Lattarico. In quella stessa occasione, due persone di sesso maschile «riuscivano ad allontanarsi facendo perdere le loro tracce», mentre all’interno dell’abitazione di Ruà «venivano rinvenuti due telefoni cellulari, due schede telefoniche, due ricevute di ricariche telefoniche, alcuni fogli di carta sui quali erano riportate cifre riconducibili a possibili conteggi di somme di denaro, nonché il passaporto rilasciato a Giuseppe Trimboli, nato a Melito di Porto Salvo e residente a Bianco», tra gli indagati nell’inchiesta. Solo qualche settimana dopo, è il 4 novembre, un altro sequestro di marijuana riguarderà i genitori di Ruà. «Nel corso dei colloqui in carcere di Natale Ruà con la sorella – è scritto negli atti dell’inchiesta – emergono elementi in ordine alla riconducibilità della sostanza stupefacente rinvenuta a Trimboli». Il 19 novembre, quindi solo qualche giorno dopo, ci sarà un altro sequestro di cocaina e marijuana che, questa volta, riguarderà Richelmo Picarelli. «Nella sua abitazione vengono rinvenuti due telefoni cellulari e, anche in questo caso, alcuni fogli di carta sui quali sono annotate cifre. Su uno dei due telefoni rinvenuti, inoltre, viene rilevata la foto ritraente la piantagione di marijuana sequestrata nel corso della perquisizione a carico di Natale Ruà, a dimostrazione che il telefono era verosimilmente in uso anche ai due uomini che erano riusciti a fuggire in quell’occasione.
Tutti episodi, dunque, collegati fra loro. Al punto che, il giorno successivo all’arresto di Strangio, gli agenti della Squadra Mobile di Cosenza, durante alcuni controlli effettuati nella palazzina dove era stato catturato il latitante, trovano un telefono cellulare ma, soprattutto, numerosi involucri contenenti diversi grammi di cocaina.
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Seguendo la logica del “mutuo soccorso” ipotizzata dagli inquirenti, dietro alla latitanza di Strangio ci sarebbe la regia di Michele Di Puppo, classe ’64, anche lui coinvolto nell’inchiesta. Già un paio di settimane prima della cattura, infatti, gli inquirenti intercettano una sua conversazione mentre ad un tale F. M. di San Giovanni in Fiore chiede di trovare «una persona seria» con la quale lo stesso Di Puppo e Roberto Porcaro avrebbero dovuto concordare qualcosa. «(…) eh, quell’amico tuo, là, come si chiamava, Alessandro? (…) una persona seria ci serve Fra. Salvatore si chiama?». Come ricostruito dagli inquirenti, dopo circa sei ore i due si risentono e l’uomo rassicura Di Puppo, dicendogli di avere individuato la persona giusta: si tratta di tale “Antonio”, il cui genitore, di nome Franchino, lavora presso la funivia, riferendosi probabilmente agli impianti sciistici della vicina località di Camigliatello. I due concordano un appuntamento per il giorno successivo «presso una griglieria sita nei pressi dell’abitazione di F. M.» annotano gli inquirenti «dove questi accompagnerà le persone inviate da Di Puppo, tra cui lo stesso “Roberto”», dopo essersi incontrati al bivio nord della SS 107 a San Giovanni in Fiore. «(…) eh, io con Roberto ti dovevamo parlare, ma t’avia mannata a mmasciata mi sembra, ti è arrivata?».
Altri elementi scoperti durante la fase investigativa e relativa al presunto favoreggiamento della latitanza di Strangio, sono quelli emersi dal telefono cellulare LG trovato nel covo. Dall’analisi del terminale, infatti, sono state trovate memorizzate alcune utenze tra cui, in particolare, quella intestata in maniera fittizia a Laily Akter, da cui proprio la sera del 14 febbraio del 2019 alle 20.45, era partito il significativo messaggio “scappa“, destinato al latitante. Altra utenza rilevata dagli inquirenti dal telefono è quella di A. C. alla quale sul telefono era abbinato il nominativo “Marco Bisignani”. Dall’analisi incrociata dei dati acquisiti, è emerso quindi che Francesco Strangio, attraverso l’utenza inserita nel telefono LG sequestrato, abbia comunicato con l’utenza in uso a Michele Di Puppo il quale, previ accordi con l’ex latitante, avrebbe tenuto acceso il dispositivo nel quale la SIM era inserita solo tra le ore 20 e le ore 21 della sera.
A questo si aggiunge la circostanza legata all’utilizzo da parte di Francesco Strangio di un’utenza telefonica intestata a Francesco Marchiotti (cl. ’82) «elemento legato a Marco D’Alessandro per conto del quale gestisce lo “spaccio” della sostanza stupefacente nel comprensorio di Arcavacata di Rende e non solo», annotano gli inquirenti, tra le persone coinvolte nell’inchiesta. E non è un caso che, lo stesso Strangio, in una circostanza si sia recato da un dentista, non molto distante dal luogo in cui si nascondeva, presentandosi proprio con il nome di Marchiotti, accompagnato da un soggetto conosciuto come “Roberto” che, ascoltato dagli investigatori, racconterà di avere accompagnato egli stesso l’uomo che aveva conosciuto come “Antonio”, conosciuto attraverso Marchiotti, ma che in realtà era proprio il latitante Strangio. (g.curcio@corrierecal.it)
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