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‘Ndrangheta, il narcotrafficante Michele Zito dal carcere ai domiciliari per motivi di salute

La decisione dell’Ufficio di Sorveglianza del tribunale di Santa Maria Capua Vetere. L’uomo è stato condannato a 20 anni di reclusione

Pubblicato il: 14/05/2024 – 10:14
‘Ndrangheta, il narcotrafficante Michele Zito dal carcere ai domiciliari per motivi di salute

CASERTA L’Ufficio di Sorveglianza del tribunale di Santa Maria Capua Vetere (Caserta) ha disposto gli arresti domiciliari per motivi di salute per Michele Zito, esponente della ‘ndrangheta condannato a 20 anni di carcere con sentenza definitiva perché ritenuto un narcotrafficante delle cosche operanti a Gioia Tauro, responsabile dell’importazione in Italia di ingenti quantitativi di droga provenienti dal Sud America. La richiesta dei domiciliari è stata avanzata dal legale di Zito, avvocato Angelo Librace, che ha prodotto all’ufficio di sorveglianza sammaritano – Zito è detenuto al carcere di Santa Maria Capua Vetere – la documentazione relativa a tutta una serie di patologie cliniche cui è affetto, che sono incompatibili con il prosieguo della detenzione in cella. Il legale aveva chiesto di disporre per Zito gli arresti domiciliari in un luogo di ricovero idoneo ad assicurare il trattamento sanitario e le cure del caso anche a seguito delle varie relazioni sanitarie che ritenevano assolutamente indispensabile la collocazione del detenuto in una struttura esterna al circuito penitenziario, facendo presente anche la lesione, causa infermità, del senso di umanità e del principio di tutela della salute, garantiti costituzionalmente. Zito è stato quindi mandato ai domiciliari in una comunità terapeutica situata sul territorio calabrese. L’esponente della ‘ndrangheta era stato arrestato nell’agosto 2016 con altre 17 persone nell’ambito dell’indagine della Dda di Reggio Calabria denominata “Operazione Vulcano”. Dal processo emergeva l’esistenza di un’organizzazione operante tra l’Italia, il Sud America e l’Olanda, di cui Zito era il vertice, e che la droga arrivava anche grazie alla complicità del comandante di una nave porta-container proveniente dal Sudamerica, il quale, al soldo dei narcotrafficanti, una volta giunto in prossimità delle coste italiane, consentiva il trasbordo della sostanza stupefacente verso piccole imbarcazioni, al fine di eludere i controlli doganali al porto di Gioia Tauro.

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