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narcotraffico e ‘ndrangheta

Prima il “Reset”, poi il “Recovery”. Ecco come la mala cosentina ha provato a riorganizzarsi

L’operazione congiunta di GdF, Carabinieri e Polizia di Cosenza ha disvelato ruoli e modus operandi del presunto “sistema” Cosenza

Pubblicato il: 14/05/2024 – 17:08
di Fabio Benincasa
Prima il “Reset”, poi il “Recovery”. Ecco come la mala cosentina ha provato a riorganizzarsi

COSENZA «Sono tutti senza…compreso il “sistema”… ieri… sono stato avvisato pure io…». Due indagati vengono intercettati dagli investigatori che hanno portato a termine l’operazione denominata “Recovery“, coordinata dalla Dda di Catanzaro. C’è fibrillazione, perché dopo l’operazione “Reset” condotta contro la presunta confederazione di ‘ndrangheta cosentina, la droga scarseggia, gli equilibri sono saltati e i vertici della galassia criminale bruzia decapitati. The show must go on, il titolo della celebre canzone dei Queen diventa il claim canticchiato dagli indagati, che dopo aver incassato il colpo inferto dalle forze dell’ordine, si riorganizzano per mantenere «una solida filiera di approvvigionamento e distribuzione di sostanze stupefacenti», ognuno con un «ruolo gerarchico ben definito». Ma perché si parla di “sistema”? Da questo interrogativo muove l’azione della Distrettuale antimafia catanzarese decisa, ancora una volta, a dimostrare la solidità della tesi dell’esistenza di un “sindacato di ‘ndrangheta” in grado di mettere insieme i gruppi criminali cosentini. «La contribuzione, da parte di tutti i gruppi che ne fanno parte, la bacinella comune, l’unicità di canali di rifornimento “ufficiali” dello stupefacente, le rigorose punizioni nei confronti di chi contravviene all’obbligo di approvvigionarsi di stupefacente dai fornitori autorizzati, la sussistenza di una regia unitaria che si avvale di numerose articolazioni autonome sottostanti, denominate gruppi, il controllo di tutte le piazze di spaccio attraverso una capillare suddivisione territoriale delle zone tra i vari sottogruppi, la sistematica conoscenza, da parte dei vertici dell’organizzazione, dell’identità di ciascun soggetto incaricato dello spaccio», rappresenterebbero alcuni elementi cardine dell’ordine imposto dai gruppi criminali. A supporto della ipotesi accusatoria, intervengono diverse confessioni di pentiti. Secondo Giuseppe Zaffonte «all’interno del Sistema gli spacciatori possono transitare da un gruppo all’altro perché…è sempre come se fosse la stessa cosa..». «Nel sistema funziona anche che, ad esempio, i Banana (gli Abbruzzese di Cosenza) che trattano da soli l’eroina danno un pensiero, ovvero una parte dei proventi a Roberto Porcaro». Mentre Celestino Abbruzzese definisce il Sistema un «accordo tra clan come se fosse un ‘unica organizzazione dedita allo spaccio di sostanze stupefacenti». Sua moglie, la collaboratrice Anna Palmieri, afferma che «la bacinella dei clan è il Sistema». Infine, le dichiarazioni di Franco Bruzzese sull’approvvigionamento dello stupefacente «avviene con il denaro della bacinella comune. I relativi proventi devono confluire nella cassa ripartita per la percentuale del 40% agli zingari, e per il 60% agli italiani».

Il “Recovery” dopo il “Reset”

Dopo il “Reset” appare evidente ci sia la necessità per la mala cosentina di un “Recovery“, ovvero di recuperare e riprendersi quello spazio liberato dall’azione delle forze dell’ordine. I blitz hanno segnato i gruppi criminali, lasciato il vuoto di potere e rotto l’equilibrio che consentiva, al netto di singoli episodi, di governare il mercato della droga senza particolari problemi. Nel corso dell’indagine “Recovery” considerata una costola di “Reset”, l’argomento “droga” è stato oggetto delle conversazioni tra il capoclan e gli esponenti di vertice dei rispettivi gruppi facenti parte del “Sistema”, ma anche con esponenti di altri clan della provincia e di altre cosche calabresi. Il dato viene sottolineato da chi indaga, che individua i presunti soggetti collegati e collegabili alla galassia criminale bruzia. Si tratta di Giuseppe Calabria detto Pino, «a capo dell’omonimo clan operante sul tirreno cosentino tra i comuni di Paola e San Lucido», Giuseppe Violi «emissario della potente cosca “Alvaro – Violi – Macrì – di Sinopoli», Benito Palaia «esponente della cosca “Bellocco” di Rosarno», Franco Scorza di Cetraro e Domenico Chimenti di Roggiano Gravina». In questo contesto, viene inserita anche la vicenda relativa all’arresto del latitante Francesco Strangio, avvenuto il 14 febbraio del 2019 all’interno di un appartamento in contrada Petraro di Rose, in provincia di Cosenza. Strangio aveva trovato rifugio «grazie all’intervento della criminalità organizzata locale, per sfuggire alla condanna definitiva a 14 anni di reclusione per traffico di sostanze stupefacenti». Il giorno seguente all’arresto, la Squadra Mobile di Cosenza trova quasi 3 kg di “cocaina” ed un telefono cellulare, che l’ex latitante utilizzava per mantenere i contatti con gli “amici cosentini” e sostenere le spese della fuga».

Le confessioni dei nuovi collaboratori di giustizia

Dopo l’operazione “Reset“, qualche indagato ha deciso di saltare il fosso salvo poi ritornare sui propri passi. E’ stato il caso di Roberto Porcaro e di Danilo Turboli. Coloro che invece hanno deciso di stracciare il curriculum criminale ed iniziare una nuova vita – salvo clamorosi dietrofront – collaborando con la magistratura sono Ivan Barone, Francesco Greco detto “Checco” e Gianluca Maestri. Alcune delle dichiarazioni rese dai neo pentiti sono state utili alle indagini. Barone ha riferito di uno degli indagati nell’ultima operazione della Dda, Gianfranco Sganga detto il “deputato”. «Voglio precisare che lo stesso gestiva le proprie attività illecite in modo autonomo, avendo ricevuto l’autorizzazione ad operare da parte dei maggiorenti del gruppo degli “italiani” e degli “zingari”, in particolare da Francesco Patitucci e da Michele di Puppo. Fa parte dell’associazione ed opera in via autonoma con il suo gruppo di San Vito prevalentemente in attività di spaccio ed estorsioni». Il collaboratore di giustizia dice di essere a conoscenza di questi dettagli «per averne parlato con Maestri, con i “banana”. Preciso, che il gruppo di Sganga nasce come gruppo vicino a Domenico Cicero, dal quale si è progressivamente allontanato». Checco Greco, ha riferito sempre su Sganga. «Si tratta di un soggetto che ho conosciuto tempo addietro, all’incirca nel 2006, come soggetto già ampiamente inserito nel contesto criminale cosentino».

Alcune delle altre figure «emblematiche»

In questo “nuovo” quadro tracciato da chi indaga, emergono le figure di altri indagati nell’operazione “Recovery“. «Emblematico è il ruolo di Marco Lucanto» identificato come «organizzatore dell’associazione, partecipando anche riunioni con importanti esponenti di ‘ndrangheta e (…) progressivamente diviene punto di riferimento di Antonio Illuminato, con il quale organizzerà una serie di danneggiamenti ed atti intimidatori a scopo estorsivo tra Casali del Manco e Cosenza». Una figura ritenuta centrale nel narcotraffico è quella di Carlo Bruno, «fiduciario di Illuminato», dal quale acquisterebbe droga Diego Porco. La “fiducia” sarebbe alla base del rapporto intercorso tra Valentino De Francesco e Francesco Patitucci, «dal quale si reca periodicamente a far visita, per consegnarli denaro provento di attività delittuose, ma anche per ricevere e veicolare messaggi da e verso altri sodali». (f.benincasa@corrierecal.it)

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