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«Fate le domande che per le supplenze vi chiamano». Storie calabresi di ordinaria precarietà

Dalla “moda” Tfa fatto senza alcuna convinzione (e ispirazione) ai percorsi abilitanti. La strada sempre in salita degli aspiranti docenti

Pubblicato il: 16/05/2024 – 14:06
di Francesco Veltri
«Fate le domande che per le supplenze vi chiamano». Storie calabresi di ordinaria precarietà

COSENZA «Fate le domande nella scuola, che per le supplenze vi chiamano!».
Era questo che la maggior parte delle persone si sentivano dire appena fresche di laurea. Era questo il sogno di tanti genitori che speravano di vedere i propri figli “sistemati”, al sicuro per quello che sarebbe stato dopo di loro. Ma nessuna mamma poteva immaginare di augurare al proprio figlio di salire su una delle giostre più imprevedibili e mutevoli che ci siano. E già, perché è questo il mondo della scuola, una grande giostra, piena di luci e attrazioni che spesso nascondono labirinti e illusioni.
La vita degli insegnanti oggi è difficilissima, soprattutto di quelli precari e in special modo in Calabria, dove, si sa, i percorsi lineari proprio non esistono.
Le storie si intrecciano tra traguardi sudati, voti altissimi, treni presi e affetti lasciati.
Francesca, ad esempio, archeologa cosentina per passione, laureata all’università della Calabria, dopo anni di fatiche e sfruttamento, ha deciso di provare a cercare un porto più sicuro per ripagare i suoi sforzi. Per entrare nel mondo dell’insegnamento, le leggi di allora le chiedevano di recuperare dei crediti che l’avrebbero resa adatta a insegnare lettere negli istituti superiori. Allora Francesca prende i suoi risparmi e paga un master, recupera i famosi crediti e piena di fiducia per le sue conoscenze nuove di zecca, fa domanda per le supplenze in una provincia del nord. Finalmente ha i requisiti giusti per insegnare e per avere un lavoro dignitoso (come se oltre 40 esami sostenuti negli anni all’università non fossero abbastanza), tant’è che le assegnano la prima supplenza annuale.
Come tanti, fa le valigie e parte, lasciando da parte passioni, interessi e amore. Insegna per due anni in una provincia della Lombardia, fa esperienza, acquisisce sicurezza e altri titoli, sempre a sue spese, per migliorare di più la sua posizione. Nel frattempo capita che la vita vada avanti e che Francesca metta su famiglia. C’è l’aggiornamento delle graduatorie e decide di avvicinarsi, di scendere giù in Calabria, ma non a Cosenza dove pare che le speranze di lavorare, per uno precario, siano vicine allo zero, ma a Reggio Calabria. Intanto diventa mamma e con il suo compagno si trasferisce nel Reggino, dove lavora con un contratto annuale per due anni. Diventa sempre più brava nel suo lavoro, continua a formarsi, ad acquisire titoli, spendere soldi e accumulare punti. Ci siamo quasi, ci sarà un concorso per lei che ormai fa parte dei “precari storici”, prima o poi arriverà qualcuno che penserà di assumerla insieme agli altri.
Intanto scoppia la “moda” del Tfa su cui in tanti si buttano senza esserne minimamente affascinati e soprattutto senza avere neanche un po’ di consapevolezza di ciò che quella tipologia di insegnamento prevede. Francesca, invece, ne è consapevole e il Tfa sceglie di non farlo (o meglio «di non lo comprarlo», ci dice raccontandoci la sua storia) e resta fiduciosa. Ma cambia il governo e arriva la riforma dei corsi abilitanti, pensata dal precedente ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi e messa in atto dall’attuale (con la beffarda aggiunta del “merito” nella dicitura) Giuseppe Valditara. Si tratta di percorsi sempre a carico degli aspiranti docenti che si troveranno a spendere circa 2.000 euro per avere 30, 36 o 60 Cfu (Crediti formativi universitari) che faranno guadagnare agli iscritti l’abilitazione sulla materia di insegnamento e spalancheranno le porte della tanto agognata Prima fascia.
Il problema, di non poco conto, è che l’aggiornamento delle graduatorie è ormai alle porte, ma questi percorsi sono stati attivati solo per una categoria di docenti: quelli che hanno già “comprato” e conseguito, spesso senza un briciolo di coscienza e conoscenza della materia (che vuol dire avere a che fare con esseri umani), il famoso Tfa. Ecco perché in posti come la Calabria in cui lavorare diventa sempre più complicato, le persone come Francesca che hanno già fatto la gavetta investendo soldi e fatica, probabilmente si vedranno tagliate fuori o comunque superate anche da chi non ha mai insegnato un giorno. «È giusto tutto questo?», ci domanda. Probabilmente migliaia di persone come Francesca vedranno sparire le loro piccole certezze e la convinzione di aver costruito qualcosa con tanto sacrificio, di aver messo dei mattoncini al posto giusto. 

La storia di Angela

Angela, anche lei cosentina, si lancia nell’insegnamento precario quasi per forza, perché dopo la laurea presa con il massimo dei voti, non ne voleva proprio sapere di lasciare la sua casa, la sua terra e gli affetti. Ma anche questo è un film visto e rivisto centinaia di volte. Parte per la Lombardia, incarico annuale. Poi arriva il sostegno. È la sua strada, le piace, lo sceglie.
Riesce ad entrare nei percorsi di specializzazione dell’Università di Verona. A sue spese (molte) frequenta il Tfa, mentre continua a lavorare. Trascorre cinque anni in provincia di Mantova ma, finita la specializzazione, c’è da fare l’aggiornamento delle graduatorie. Angela pensa che cinque anni possano bastare, che forse merita di tornare a casa e di colmare le sue mancanze che sono rimaste sempre ingombranti ed enormi da quando è salita sul primo treno nel lontano 2017. Lascia prevalere il lato emotivo su quello razionale. Si mette in treno col rimpianto di aver perso l’occasione di uscire per sempre dal girone del precariato. In Calabria riesce a lavorare ma, al contempo, si vede sorpassata da una moltitudine di caregiver che fanno della 104 dei propri cari uno status quo. Riesce a lavorare, sì, ma avrebbe voluto trovarsi per una volta al posto giusto nel momento giusto e invece così non è stato. Tanti sacrifici buttati al vento? Il rimpianto cresce di pari passo alla consapevolezza che «in Calabria – afferma – le opportunità lavorative non ci sono, neanche dopo la gavetta, neanche dopo aver sborsato tanti soldi. Mai!». Alla fine Angela decide di rifare i bagagli per risalire su quel treno verso Nord che la porterà a prendere ciò che vuole e che merita, un posto da insegnante a tempo indeterminato, lasciando tutto per l’ennesima volta.
Nulla di nuovo in fondo. Di storie così la Calabria è piena: c’è chi parte, c’è chi resta, c’è chi sogna e c’è chi rimane con l’amaro in bocca. (f.veltri@corrierecal.it)

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