Con il «colpo della gru», Daniel LaRusso sconfisse Johnny Lawrence in “Per vincere domani-The Karate Kid”, del 1984. Molti ricordano la mossa con cui il protagonista del film vinse un torneo per minorenni e quindi allontanò i bulli che lo disturbavano. Pochi, però, sanno che quel calcio volante era in realtà un ttwieo apchagi, tipico del taekwondo.
La pellicola, che la tv trasmise più volte, lasciò il segno: diffuse i fondamenti e la pratica del karate; a Noriyuki “Pat” Morita valse, nel 1985, una candidatura all’Oscar come migliore attore non protagonista per l’interpretazione del maestro Miyagi, il sapiente preparatore di Daniel; infine, favorì il successo di lungometraggi simili, per esempio “Il ragazzo dal kimono d’oro”, vestito da un allora giovanissimo Kim Rossi Stuart.
Disciplina, allenamento, costanza, capacità di concentrazione, salubrità e filosofia di vita erano gli elementi che si coglievano in “Karate Kid”, centrato sull’acquisizione di tecniche, metodo ed equilibrio nella specifica arte marziale: un bagaglio di conoscenze da utilizzare pure al di fuori, nella propria quotidianità. Da qui il ruolo centrale di Miyagi, dunque la scelta di un attore, come Morita, che traducesse al meglio lo spirito, lo stile e lo stigma del personaggio: un saggio e karateka giapponese.
Se quel film non avesse avuto tanto séguito, probabilmente il karate sarebbe stato poco noto per alcuni lustri e oggi meno presente nell’immaginario collettivo, che i racconti penetranti costruiscono o alimentano.
Passiamo dal karate al taekwondo, che è tutt’altra disciplina, tutt’altro sport. Il maestro Park Young Ghil ha una storia da scrivere, su cui varrebbe la pena realizzare un film. Figura di spicco del taekwondo e presidente onorario della Fita, la Federazione di questo sport, Park è stato in Calabria, lo scorso 11 maggio, per tenere una lezione a un centinaio di atleti della Taekwondo in Fiore fra i cinque e i 53 anni, tra cui una quarantina di bambini. È impressionante vedere quest’uomo all’opera. A quasi 84 anni, per il maestro il tempo sembra essersi fermato: non ha rughe in viso né capelli brizzolati, il che potrebbe dipendere dalla genetica asiatica, mentre sguardo, arti e muscoli gli lavorano con la velocità, il vigore e la resistenza dei giovani, con l’esperienza e la perizia degli anziani. Park sembra perfino avere degli occhi sopra la nuca: osserva gli allenamenti e in un attimo focalizza e corregge tutti gli errori fisici, tecnici e mentali dei suoi discenti.
Coreano di Seoul, il maestro venne in Italia negli anni Sessanta, con l’obiettivo di divulgare il taekwondo, nato nel suo Paese appena prima, seppure con origini più remote. «I miei fratelli – precisa – studiavano a Roma, all’Università La Sapienza. Venivamo da una famiglia molto facoltosa, che poteva permettersi di mandare i propri figli all’estero. Perciò cominciai a insegnare il taekwondo, a viaggiare lungo lo Stivale italiano al fine di trasmettere la passione per la nostra disciplina, che in Corea era ed è considerata patrimonio identitario, al punto che la Samsung sponsorizza la squadra nazionale».
Così, con impegno, fatica ed enorme forza di volontà, Park trascorse tanti anni a spiegare il taekwondo in luoghi periferici, «soprattutto nel Sud Italia, prima in Campania, poi in Puglia e in Calabria»; a cercare, stimolare e formare talenti che potessero dedicarsi all’agonismo o aprire palestre, narra, «per accendere speranze, educare i ragazzi alle regole, farli crescere in ambienti sani e solidali». A volte capitavano allievi particolari, che poi assumevano ruoli di primo piano anche nelle istituzioni europee, oppure che ora stanno ai vertici del taekwondo italiano; come Angelo Cito, l’attuale presidente della Fita, e Claudio Nolano, direttore tecnico della squadra nazionale.
Spesso in Calabria il maestro dormiva in spiaggia, in tenda, «quando la sabbia ancora bruciava», «perché ci si arrangiava – argomenta – e poi si doveva ripartire per andare altrove». «Un giorno – ci racconta – misi a posto degli scugnizzi, che alla periferia di Napoli mi aspettavano con la sigaretta in bocca. In Corea era vietato, per i figli, fumare davanti ai genitori. Allora intervenni, quelle persone oggi non fumano più e rammentano la mia dimostrazione di taekwondo».
Park, che è cintura nera 9° Dan, non ha mai smesso di fare il maestro. Durante la lezione dell’11 maggio scorso, agli atleti della Taekwondo in Fiore brillavano gli occhi, a partire dai più piccoli. Per esempio, a Luigi, che la domenica precedente aveva stupito gli spettatori del PalaGallo di Catanzaro, ai campionati regionali, con colpi eseguiti alla perfezione, nonostante i suoi cinque anni di età. E Leonardo, Salvatore e gli altri ragazzini dello stesso gruppo, affiatati e responsabili, ricorderanno uno scambio di nomi, voluto dal maestro Park per creare un legame di memoria duraturo. «Si ritiene più facilmente ciò che ci ha fatto ridere o sorridere», chiosa il presidente onorario della Fita, che detiene altre cariche prestigiose, in ambito internazionale.
«Se la Calabria è avanti nel taekwondo – chiarisce Giancarlo Mascaro, presidente del comitato calabrese della Fita –, lo si deve al lavoro costante del maestro Park, che ha formato diversi atleti, poi diventati maestri. Nella nostra regione non c’era niente, lui ha seminato e la terra ha dato buoni frutti. Del resto, è il cammino della storia che funziona così: ciò che siamo dipende dalle opere di chi ci ha preceduto, anche se in quest’epoca immemore si tende a dimenticare il passato, a cassarlo per via di una cultura dominante del sapere, che si vuole sbrigativo, superficiale, funzionale alle esigenze del momento».
Il collegamento tra passato, presente e futuro è reso a modo dallo stesso Park, il quale riassume il proverbio che citò quando in tv gli chiesero della vittoria della Corea del Sud contro l’Italia del calcio: «Durante una gara di corsa si guarda avanti, non indietro». Ciò per significare che «bisogna avere una prospettiva di lungo periodo e costruire un successo a partire dalla sconfitta». E poi: «Sijagi ban-ida». L’espressione, che significa «l’inizio è la meta», sarebbe l’attuazione della potenza inquadrata da Aristotele e, in termini contemporanei, l’avvio di un percorso che darà risultati, ove seguito nella maniera giusta. Parlare con Park vuol dire discutere della categoria dell’impegno personale, che oggi rimane piuttosto in ombra, nell’era digitale, anche nei plessi dell’istruzione. «Il taekwondo – precisa il maestro coreano, che vive a Roma da decenni – è una disciplina completa, che educa in primo luogo la mente. Noi dobbiamo azionare le forze mentali e fisiche degli allievi, costruire i campioni della vita sociale». Si tratta di un tema altissimo, di un obiettivo ardito, in un tempo di arrendevolezza generale, di debolezza delle istituzioni educative, rassegnate alla sregolatezza e all’insoddisfazione indotte dalle logiche, dalle dinamiche, dalle seduzioni del mercato globale. Ed è un punto su cui insistono i maestri Zeno Mancina e Jessica Talarico, della Taekwondo in Fiore, la prima società calabrese e tra le più quotate d’Italia per i risultati sportivi. Con il taekwondo, il maestro Roberto Baglivo, ex allievo di Park e fondatore della New Marzial, ha nel tempo indirizzato numerosi giovani di Mesagne (Brindisi), che ha tolto dai pericoli della strada e portato sui podi italiani e internazionali. Come Vito dell’Aquila, campione olimpico e mondiale e vincitore di due titoli europei, uno da poco a Belgrado.
Park Young Ghil se ne va ancora in giro, alla sua età, perché ha un sogno fisso, vivo: avvicinare i più giovani al taekwondo. Grazie a lui, l’Italia è cresciuta moltissimo in questo sport, dandosi un’organizzazione precisa e grandi obiettivi, tra i quali la vittoria alle Olimpiadi di Parigi, ormai prossime. Il maestro promette di ritornare in Calabria, perché si sente «abbastanza un uomo del Sud», che ha conosciuto più a fondo e in cui ha visto negli anni le migliori risposte a livello tecnico e sportivo.
Park è ora a metà strada fra Occidente e Oriente, due mondi ancora distanti, soprattutto a livello gnoseologico, culturale, geopolitico. Prima di lasciare la Calabria, il maestro raccomanda ai ragazzi di «osare, combattere e impaurire l’avversario mentalmente», come per molti versi riusciva a fare Geremia Di Costanzo, taekwondoka italiano che, riassume Park, «conquistò cinque medaglie d’oro agli Europei: nel ’78, nel 1980, nel 1982, 1984 e 1988».
L’incontro con il maestro Park dei ragazzi calabresi della Taekwondo in Fiore, favorito dal comitato Fita della Calabria e dalla Fita stessa, è stato «intenso e indimenticabile», dicono due genitori e atleti: Marco Biafora e Salvatore Mazza. In una Calabria ancora colpita e impoverita dalla ’ndrangheta, peraltro al centro della recente operazione “Recovery”, non è poco che vi siano occasioni del genere, che i bambini e gli adolescenti acquisiscano, come il Daniel LaRusso di “Karate Kid”, un bagaglio di conoscenze da utilizzare pure al di fuori della palestra, per disputare, parafrasando Park, il campionato, l’olimpiade della vita sociale. Nella speranza che se ne accorgano gli istituti scolastici, le imprese, le fondazioni del territorio.
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