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Le pecore sui banchi di scuola

«Accade davvero: in Mosella, regione del nord-est francese, i genitori per evitare la chiusura di una scuola, vittima degli accorpamenti senza frontiere dei plessi d’istruzione, hanno iscritto all…

Pubblicato il: 20/05/2024 – 7:15
di Gioacchino Criaco

«Accade davvero: in Mosella, regione del nord-est francese, i genitori per evitare la chiusura di una scuola, vittima degli accorpamenti senza frontiere dei plessi d’istruzione, hanno iscritto alle lezioni quattro pecore, con tanto di nomi e cognomi. Ora attendono la risposta del Ministero. Soluzione provocazione originale che fa il paio con lo stratagemma proposto nella commedia “un mondo a parte” girata in Abruzzo dei ragazzini stranieri. Per umanità e non per raggiro tante scuole sono sopravvissute in Calabria nei paesini che accogliendo i profughi se ne ritrovavano i figli bisognosi d’istruzione. Successe anche in Aspromonte nel 2018 che a Roccaforte del Greco la scuola chiudesse per esiguità di alunni. Le madri chiesero aiuto, si appellarono agli intellettuali. Non ci furono le frotte ma un po’ di gente rispose. Si fece quella che era la cosa più ovvia: si lesse la Legge e stante l’autonomia si chiese alla Regione di adeguarla. Accaddero due cose: la Regione Calabria modificò la regola consentendo l’apertura della scuola anche con presenze singole. Di più, leggendo, si capì che nei luoghi a rischio criminale le norme del ministero dell’interno consentivano, imponevano, l’apertura delle scuole anche senza studenti: presidio di legalità. Successe che si vinse, come puo’ accadere quando si lotti. Ma il tempo era trascorso, i ragazzi si erano abituati alle nuove allocazioni e non tornarono indietro. E nonostante le buone leggi, una ad una le scuole delle aree interne chiudono perché le presenze esigue si trasformano in alunni e alunne di età differenti che sfociano in un insegnamento da pluriclasse. Le pluriclassi sono uno spauracchio per i genitori, convinti che sia uno strumento educativo di efficacia minore che rischia di preparare meno e peggio i ragazzi, svantaggiandoli poi nel futuro inserimento sociale. All’osso, ormai, al sorgere della pluriclasse i genitori spostano i figli prima delle soppressioni. Li avvicinano al centro perché è al centro, sono convinti, che si dovranno realizzare. E se la convinzione è che la scuola prima che strumento di formazione sia mezzo di affermazione, rivalsa e riscatto, allora è inutile battersi. Ma è pure inutile battersi per la sopravvivenza delle aree interne se in esse si vogliano portare tutti i servizi e le facilitazioni presenti in ambito urbano. Se l’idea è avere una modernità cittadina in aperta campagna tanto vale fare le valigie. Servono, è vero, una serie di servizi essenziali, basici, perché il piccolo e periferico sopravviva. Però l’essenziale ormai tende a scarseggiare pure nelle aree esterne. Al Sud lo spopolamento morde le città, i capoluoghi. Allora, il voler rimanere nei luoghi di nascita assume due opzioni: un’urbanizzazione, e una modernità, attenuata. Meno strade, treni, servizi. Un vivere differente: scegliere cosa non possa assolutamente mancare e sostituire i bisogni. Chiedere al modello attuale, che vive di concentrazione umana, di sostenerne la dispersione è una sciocchezza. Si può solo lottare per creare un modello alternativo che non scimmiotti schemi e prebende del modello che sta spopolando il mondo che si vorrebbe far sopravvivere».

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