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‘Ndrangheta, la guida carismatica di Luigi Mancuso: «garante delle ‘ndrine vibonesi» davanti al “Crimine di Polsi”

La figura del boss «più carismatico di tutta la ‘ndrangheta vibonese». Ripercorsa la storica “federazione” con Pino Piromalli e Antonino Pesce

Pubblicato il: 20/05/2024 – 18:41
di Giorgio Curcio
‘Ndrangheta, la guida carismatica di Luigi Mancuso: «garante delle ‘ndrine vibonesi» davanti al “Crimine di Polsi”

VIBO VALENTIA Un ritorno alla libertà atteso per ben 19 anni, nel 2012, dopo aver scontato la condanna in carcere emessa nei processi “Tirreno” e “Count down”, nel corso dei quali era stato riconosciuto «capo della cosca Mancuso egemone nel territorio di Vibo Valentia». C’è anche Luigi Mancuso tra le migliaia di pagine delle motivazioni del processo ordinario “Rinascita-Scott”.  
La figura di Luigi Mancuso, all’esito della complessa attività investigativa svolta dal Reparto Anticrimine di Catanzaro e delle parallele indagini del servizio Centrale del R.O.S. di Roma e del Nucleo Investigativo di Vibo Valentia, viene descritta come quella di un «soggetto capace di comporre le spaccature e le frizioni presenti all’interno della famiglia Mancuso», attraverso la condivisione, da parte di tutti i Mancuso e soprattutto del nipote Giuseppe Mancuso alias “‘Mbrogghia” di «un nuovo progetto criminale, che non facesse ricorso a metodi violenti e volto alla ricerca dell’assoggettamento “spontaneo” della popolazione e del consenso generalizzato».

La “strategia della pacificazione”

Mancuso, una volta scarcerato, verrà sottoposto agli obblighi della sorveglianza speciale mentre il 26 giugno 2014 si renderà irreperibile. Come ricostruito in fase investigativa e durante il processo, il boss anche sfruttando il suo stato di irreperibilità e potendo contare su una vasta rete di fiancheggiatori, «ha messo a punto il suo piano di riorganizzazione del territorio», dando vita ad una nuova fase per l’associazione criminale del vibonese e per la famiglia Mancuso in generate, mettendo in atto la “strategia di pacificazione”. Un progetto la cui strada è stata spianata anche dalla cattura, avvenuta a marzo del 2013, di Pantaleone “Scarpuni” Mancuso, considerato il «personaggio più sanguinario». Luigi Mancuso, dunque, «ha ristabilito un sostanziale equilibrio anche con le altre ‘ndrine e con gli altri locali attivi nella provincia di Vibo Valentia», scrivono i giudici nelle motivazioni, e grazie al suo indubbio carisma, alle sue qualità personali e alla sua propensione al dialogo e ad intessere relazioni, diventava non solo il capo promotore della cosca Mancuso di Limbadi, ma una sorta di “garante” della struttura criminale di ‘ndrangheta operante sul territorio di Vibo Valentia.

Locali e ‘ndrine federati

Come spiegato dettagliatamente dai giudici, inoltre, la compagine associativa ricostruita nella provincia vibonese «non deve essere intesa come gerarchicamente subordinala a Luigi Mancuso» perché articolata, a livello territoriale, in diversi locali e ‘ndrine autonome. Per i giudici, insomma, si parla di una «sorta di “federazione” che agisce sotto un coordinamento unitario» ma che si riconosce nel “Crimine di Polsi”, nel rispetto di forme, rituali e regole condivisi. È dunque in questo scenario che emerge la figura di Luigi Mancuso, il capo più carismatico di tutta la ‘ndrangheta vibonese e, sicuramente, il più autorevole agli occhi del Crimine di Polsi. La sua leadership è avvertita dalle cosche vibonesi che, sebbene non avessero nei suoi confronti una subordinazione gerarchica, ne riconoscevano comunque un ruolo sovraordinato e di garante di quella ritrovata “pax mafiosa”.

La mafie delle «tre province»

I riferimenti al ruolo di spicco di Luigi Mancuso, insieme a quello di Peppe “’mbrogghia” Mancuso si trovano già nel processo “Tirreno”, nel cui ambito veniva rilevata «l’operatività delle cosche del vibonese, “federate” a quelle della Piana di Gioia Tauro e, in particolare, ai Piromalli», scrivono i giudici nelle motivazioni. Negli atti, inoltre, venivano riportati dati processuali della sentenza nata dall’operazione denominata “Mafia delle tre province” e, da questi procedimenti, «emergeva quasi un rapporto simbiotico fra Luigi Mancuso, Pino Piromalli e Antonino Pesce». Dunque, già in questi processi venivano descritte le alleanze strutturate tra le cosche ed emergeva che i Mancuso e, soprattutto Luigi, «erano inseriti in un contesto unico con le maggiori cosche del reggino». A fare maggiore luce sui Mancuso sarà, poi, il processo “Dinasty” all’esito del quale veniva ricostruita l’operatività dal 2001 al 2003, di un sodalizio criminoso denominato “famiglia Mancuso”, operante nel territorio della Provincia di Vibo Valentia, con sentenza definitiva emessa ad aprile del 2023.
Nell’ambito del processo emergevano le spaccature che esistevano in quel periodo all’interno della cosca Mancuso tra almeno due fazioni contrapposte che, tuttavia, non impedivano il riconoscimento di una cosca di ‘ndrangheta strutturata proprio su base familiare, «elemento che ne costituiva un punto di forza anche in termini di percezione esterna», annotano i giudici, perché è proprio la forza intimidatrice che promana dalla “famiglia Mancuso” a rendere questa cosca «così potente sul territorio vibonese, indipendentemente da eventuali divisioni interne, possibili in alcuni momenti storici». (g.curcio@corrierecal.it)

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