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‘Ndrangheta, Pasquale Bonavota «erede del clan di Sant’Onofrio». Dalla “mentalità malandrina” alla lunga latitanza

Condannato a 28 anni di carcere e catturato lo scorso anno, è il rampollo della cosca. «Ci vuole mentalità, diplomazia» diceva in carcere nel 2005

Pubblicato il: 21/05/2024 – 6:57
di Giorgio Curcio
‘Ndrangheta, Pasquale Bonavota «erede del clan di Sant’Onofrio». Dalla “mentalità malandrina” alla lunga latitanza

VIBO VALENTIA «Mio papà ha detto una parola, e all’epoca io non capivo che era un ragazzo, ed oggi dico la verità. Se uno vuole fare il malandrino… mentalità…  con il cervello, con diplomazia…». È ormai una delle intercettazioni più simboliche emerse prima dell’inchiesta e poi dal processo “Rinascita-Scott” contro la ‘ndrangheta vibonese. Ed è importante perché a pronunciarla è stato Pasquale Bonavota: non un soggetto qualunque negli scenari criminali, ma il rampollo ed erede designato dalla ‘ndrina di Sant’Onofrio. L’ex latitante, catturato a Genova solo ad aprile dello scorso anno, è stato condannato a 28 anni mentre i pm della Dda di Catanzaro avevano chiesto trent’anni.

La “mentalità malandrina”

La conversazione, captata nella casa circondariale di Vibo Valentia, esposta in dibattimento dal Tenente Colonnello Palmieri durante l’udienza del 31 maggio 2022, risale al 2005, ed è lo stesso Pasquale Bonavota a parlare apertamente di ‘ndrangheta, facendo espresso riferimento alla figura del “malandrino” e alla “mentalità malandrina” mentre parla con Bruno Di Leo, al quale spiega di non aver afferrato subito il valore di quell’insegnamento. Al momento del dialogo, invece, Pasquale Bonavota «dimostra di condividerlo» annotano i giudici nelle motivazioni «e dice che se uno vuole fare il “malandrino” deve avere anche la mentalità malandrina, precisando che il malandrino ormai si fa “con il cervello, con la diplomazia”». È lo stesso Bonavota, poi, a lamentarsi dell’assenza di “mentalità malandrina” e di “mentalità mafiosa”. Secondo i giudici, poi, sebbene la conversazione «si collochi temporalmente in un periodo coperto dal giudicato assolutorio nel 2005», «assume, tuttavia, rilievo ai fini della corretta e compiuta valutazione degli elementi temporalmente successivi, che devono essere letti e inquadrati anche alla luce delle risultanze precedenti, secondo l’approccio organico».


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La successione al padre e allo zio

Pasquale Bonavota, dunque, è un elemento di vertice della consorteria, insieme ai fratelli Domenico “Mimmo” e Nicola Bonavota, nonché allo zio Domenico Cugliari (cl. ’59). Sulla figura di Pasquale Bonavota sono numerosissimi gli elementi emersi nel corso delle udienze dibattimentali. Sul conto dell’imputato hanno reso dichiarazioni, pienamente convergenti, i collaboratori di giustizia, che hanno attribuito in maniera univoca a Pasquale Bonavota «un ruolo apicale all’interno della struttura del sodalizio», annotano i giudici nelle motivazioni. Tra gli altri, Andrea Mantella, che ha fatto parte del gruppo di fuoco dei Bonavota e si è autoaccusato di numerose azioni criminose compiute insieme alla cosca e nell’interesse di quest’ultima, ha indicato Pasquale Bonavota come “Capo società”. In tale carica, Pasquale Bonavota Pasquale è subentrato allo zio Micu i ‘Mela Cugliari che, in precedenza, aveva assunto la direzione della cosca alla morte del “capo bastone” Vincenzo Bonavota, padre di Pasquale, Domenico e Nicola, in quanto all’epoca questi ultimi ancora troppo giovani.

La Cattedrale di Genova dove è stato catturato Pasquale Bonavota

Il periodo a Roma

Anche nel periodo in cui Pasquale Bonavota si stabiliva a Roma, comune nel quale aveva l’obbligo di dimora, non veniva meno il suo ruolo apicale all’interno del sodalizio, continuando comunque a «partecipare alle decisioni più importanti, quali gli omicidi che non si realizzavano se l’imputato non rilasciava il proprio nullaosta», scrivono i giudici. Generalmente era Nicola Bonavota ad andare a Roma per verificare le determinazioni del fratello Pasquale. Il collaboratore Andrea Mantella, poi, ha specificato che, fino al 2011, ha avuto percezione diretta di tali assetti, precisando di aver «continuato a ricevere sostegno e notizie dalla cosca anche dopo il 2011 mentre si trovava detenuto, e fino al momento della collaborazione nel 2016». Inoltre, i collaboratori attribuiscono in particolare a Pasquale Bonavota la gestione dell’attività di traffico di stupefacente e in particolare di cocaina.

Mantella e il “mito” di Vincenzo Bonavota

«(…) la cosca di Sant’Onofrio parte da Vincenzo Bonavota, che praticamente era il pupillo di “Gambazza”, di Antonio Pelle, e non solo, aveva altre amicizie pure nella Locride, insomma, Vincenzo Bonavota era amatissimo da tutti gli ‘ndranghetisti. Vincenzo Bonavota ha fatto un doppio locale di ‘ndrangheta, uno a Sant’Onofrio e un altro a Toronto, in Canada, e poi successivamente i figli ne hanno fatto… hanno proseguito su questa situazione e hanno fatto un doppio… un triplo clan, uno a Sant’Onofrio, un altro a Carmagnola, ed è rimasto sempre quello di Toronto, Canada». Questo ha dichiarato l’imputato e collaboratore di giustizia Andrea Mantella in fase dibattimentale, interrogato dal pm della Distrettuale antimafia di Catanzaro, Antonio De Bernardo. «(…) mi attraeva in modo particolare il padre dei Bonavota, era una persona abbastanza sobria, una persona, un Capo, un Capo ‘Ndrangheta, con i comportamenti ‘ndranghetistici, con il foulard, con le camicie di seta come si usavano ai tempi, insomma una figura da boss, ecco. Io purtroppo ho seguito questo falso mito, non per il signor Bonavota, ci mancherebbe altro, falso mito intendo dire la ‘Ndrangheta in generale, voglio dire…».

Il “covo” di Pasquale Bonavota a Genova

Gli affari a Roma

Quanto ai rapporti tra Bonavota Pasquale e Razionale Saverio, elemento di riscontro è costituito dalla conversazione captata presso il gazebo del “Plaza Hotel” a Roma, il 22 gennaio del 2017. «I conversanti fanno riferimento al fatto che Nicola è andato in Canada e commentano anche la circostanza che in Canada i paesani stanno tranquilli e si riuniscono “tutti in un posto” perché “non hanno problemi di associazione là”, “non c’è l’associazione”, cioè non esiste la fattispecie di reato dell’associazione di tipo mafioso», si legge nelle motivazioni. A riscontro delle dichiarazioni dei collaboratori sulla gestione degli investimenti a Roma da parte di Pasquale Bonavota, con riferimento al campo delle sale giochi e scommesse, nonché in un “tabacchino”, c’è la lunga conversazione captata nei pressi dell’Hotel 501, a Vibo, il 27 agosto 2011. A parlare sono Giorgio Gigantino e Nicola Bonavota.


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La lunga latitanza

Infine, elemento cruciale sottolineato dai giudici nelle motivazioni, c’è la latitanza di Pasquale Bonavota. Il rampollo della cosca di Sant’Onofrio, infatti, prima di essere catturato il 27 aprile del 2023, era ricercato da quattro anni, ed era stato inserito nell’elenco dei latitanti di massima pericolosità facenti parte del “programma speciale di ricerca” del Ministero dell’Interno. L’arresto è scattato al termine di articolate indagini condotte dal Ros e dai Comandi provinciali Carabinieri di Vibo Valentia e Genova. Per i giudici «la possibilità di mantenere uno stato di latitanza, sfuggendo abilmente alle ricerche, e per un così significativo lasso di tempo, è indice dell’esistenza di una rete di protezione e di omertà tipica dell’associazione di stampo mafioso» e dunque ancora secondo i giudici «nel caso di specie, e ancora una volta, della persistente operatività, fino ai nostri giorni, della cosca Bonavota, la quale, mentre il presente procedimento era già prossimo alle battute finali del giudizio di primo grado, mostrava ancora la piena capacità di assicurare protezione e assistenza al proprio capo Pasquale Bonavota». (g.curcio@corrierecal.it)

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