COSENZA Dopo Celestino Abbruzzese e Daniele Lamanna, tocca ad un altro collaboratore di giustizia Franco Bruzzese tornare indietro con la memoria e raccontare quanto a sua conoscenza in merito alla mala cosentina. Il pentito, tra i fondatori del gruppo degli “Zingari” di Cosenza, rende testimonianza nel corso di una nuova udienza del processo scaturito dall’inchiesta “Reset” contro la ‘ndrangheta cosentina. Collaboratore di giustizia dal 26 febbraio 2013, da ragazzino è sempre stato vicino agli ambienti criminali partendo dalle rapine ai portavalori fino ad arrivare allo spaccio di droga. Nel 2000 gli vengono conferite la “prima”, la “seconda” e la “terza” doti di ‘ndrangheta nel carcere di Cosenza. Nel 2004, «a casa di Attanasio con Michele Bruni sono venuti gli Arena di Isola Capo Rizzuto e mi hanno dato la “quarta” e la “quinta”» e poi nel 2013 «nel carcere di Cosenza, Francesco Patitucci e Mario Gatto mi hanno conferito le doti di “Padrino”». Bruzzese ricorda della fusione, avvenuta nel 2003, del suo gruppo criminale con il gruppo Bruni. «Mio fratello mi manda una ‘mbasciata e mi dice che mandava Carlo Lamanna per inserirlo nel nostro gruppo, anche se lui era vicino ai Bruni. Dopo un anno, Michele Bruni ha iniziato a parlare di fusione, io ero contrario mentre mio fratello e Carlo Lamanna erano convinti e poi si fece». Perché era contrario? Chiede il pm Corrado Cubellotti e il pentito risponde: «Io ritenevo che non erano affidabili, perché usavano stupefacenti e quella dei Bruni era una famiglia sfortunata. Lamanna mi disse “stanno uccidendo tutti, mettiamoceli vicino”. E così facemmo». Che rapporti c’erano con gli altri gruppi, ad esempio con gli “Italiani”? «Un quieto vivere, quanto facevamo rapine ai furgoni blindati volevano una parte delle rapine, è nata qualche scaramuccia ma col tempo tutto si è messo a posto».
Dal 2005 Bruzzese finisce in carcere, dove rimane fino al 2011. Quando esce incontra Francesco Patitucci, boss a capo del clan Lanzino-Patitucci-Ruà e da lì nasce l’idea della fusione anche con gli “Italiani“. «Ho incontrato Lanzino, Umberto Di Puppo, Roberto Porcaro, Francesco Patitucci, Alberto Superbo insieme a Maurizio Rango. Ci incontrammo vicino al campo sportivo di Rende e fu stabilito che tutti i proventi che entravano da estorsioni e droga venivano messi nella stesa “bacinella” per poi suddividerli tra il nostro gruppo e quello di Lanzino». Inizialmente la suddivisione era al 50% e 50%, poi si è stabilito a 60% gli Italiani e 40% noi. I soldi venivano utilizzati per sostenere i detenuti in carcere, per acquistare droga e armi. «Tutta la bacinella era nelle mani di Ettore Sottile», la droga quando arrivava veniva suddivisa tra noi e gli “Italiani” e per noi c’era chi si occupava di smerciarla e chi pensava alle estorsioni». Sa se dopo l’accordo originario sulla bacinella è cambiato qualcosa? Dopo la fusione, sottolinea Bruzzese, «è iniziata una stagione di omicidi».
Quando esce dal carcere nel 2011, Bruzzese si attiva per fare arrivare fumo da Napoli «perché avevo un’amicizia con una persona che poi ci portava anche della cocaina». Poi viene decisa la fusione con gli “Italiani” e «la droga andavano a prenderla a Cetraro Umberto Di Puppo, Ettore Sottile, Maurizio Rango dal clan Muto». La sostanza stupefacente veniva divisa e spacciata dai vari gruppi, i proventi finivano nella bacinella. «Avevo rapporti diretti con Francesco Patitucci. Vado a casa sua e mi diede una lista con coloro che pagavano l’estorsione al suo gruppo». Le estorsioni erano roba di «Maurizio Rango, Ettore Sottile, Gennaro Presta e Luciano Impieri. Tutti facevano un po’ di tutto dottò», riferisce il pentito al pm della Dda.
Il 3 gennaio 2012 viene ucciso Bruni. E’ un episodio spartiacque. «Mentre ero in carcere ad Avellino, mi arriva una lettera di Carlo Lamanna e mi dice che sia Luca che Michele Bruni si comportavano male e avevano intenzione di collaborare con la giustizia», confessa Bruzzese. «Rispondo ricordando le perplessità sulla fusione». Da lì nasce il progetto omicidiario. «Quando esco dal carcere, a settembre 2011, torno a casa e incontro Daniele Lamanna». Sarà Carlo Lamanna a dire al fratello Daniele che Luca Bruni doveva essere ucciso «ma ho dovuto organizzare tutto io». «Abbiamo fatto più riunioni. C’erano, oltre a me, i fratelli Luigi e Marco Abbruzzese, Ettore Sottile, Maurizio Rango, Daniele Lamanna. Ci siamo visti con Lanzino, era latitante, c’erano anche Patitucci e Superbo e tutti avevano dato l’assenso all’omicidio». Dopo il delitto Bruni, la bacinella come è stata gestita? Chiede il pm. «Si gestiva sempre alla stessa maniera».
C’è un altro delitto di cui il pentito parla con riferimento alla famiglia Abbruzzese “Banana” di Cosenza. Bruzzese riferisce dei fratelli «Luigi e Marco Abbruzzese e di Claudio e Franco Abbruzzese alias “Brezza“. Con quest’ultimo, il collaboratore di giustizia asserisce di non aver avuto rapporti, ma aggiunge un dettaglio rilevante. «So a che ha portato Massimo Speranza a Cassano allo Jonio e poi è stato ucciso».
Il pm Corrado Cubellotti pone una serie di domande al teste, in riferimento alla conoscenza di alcuni soggetti gravitanti negli ambienti criminali bruzi. «Con Adolfo D’ambrosio non ho avuto rapporti, Patitucci mi disse che faceva parte del gruppo Lanzino-Ruà-Patitucci e si occupava di estorsioni». Il racconto prosegue. «Mario Piromallo si occupava di cocaina, roba di stupefacenti», mentre «Massimo D’Ambrosio è stato in cella con me a Cosenza, ma non ho avuto nessun rapporto». La famiglia “Banana”, invece, «si occupava dell’eroina» e la «prendevano nel Reggino». Con «Oscar Fuoco ho avuto rapporti diretti, a mio cugino Tonino Abbruzzese “Strusciatappine” ha fatto avere l’appalto per i lavori delle ristrutturazioni delle case popolari e indicava a Rango gli alloggi e garage liberi per farli occupare». Ed ancora, conosco «Sasà Ariello, da quando eravamo ragazzini».
Il pentito ricorda un particolare episodio. «Nel 2013, ero in carcere con Umberto Di Puppo, Salvatore Ariello, Roberto Porcaro e mi dicevano che Maurizio Rango voleva prendere dei soldi ad una sala scommessa in via Popilia di Francesco De Cicco, ma là non si potevano prendere. Loro avevano investito nella ricevitoria. So che De Cicco si occupava di roba di politica ma non ho avuto niente a che fare, neanche lo conosco se lo vedo».
L’attenzione del pubblico ministero della Distrettuale di Catanzaro si sposta sul capitolo delle estorsioni. Ha avuto rapporti con Mario Perri? «Si occupava delle estorsioni alla fiera di San Giuseppe con Sergio Del Popolo per conto mio e di Maurizio Rango, anche se io ero latitante». «Del Popolo conosceva tutti e li faceva pagare, si raccoglievano 13-14mila euro dalla fiera e dopo lui si prendeva qualcosa e se aveva un problema nella criminalità poteva contare sul nostro appoggio».
Gianluca Maestri recentemente si è pentito, iniziando a collaborare con la giustizia. Il pm Cubellotti chiede quali siano i rapporti tra lui e Bruzzese? «Lo conosco da sempre, ha fatto parte della nostra associazione e nel 2002-2003 ha avuto modo di fare rapine portavalori poi dopo si è occupato anche di droga ed estorsioni. Per un periodo, quando si è fidanzato, si è tirato fuori dal crimine salvo poi tornare».
Prende la parola l’avvocato Gianpiero Calabrese per la posizione di Mario Perri. Chi gli disse dell’attività di Perri? «Maurizio Rango e poi non ho avuto più notizie». Ricorda il periodo della sua latitanza? «Quei mesi da latitante ho usufruito di tanti posti, per dieci giorni sono rimasto in un luogo vicino a Rango». Ricorda quando le fu applicata la misura cautelare nel procedimento “Rango-Zingari”? «Fine 2012».
L’avvocato Mariarosa Bugliari per la posizione di Antonio Abbruzzese detto “Struscitappine”. La legale fa riferimento all’episodio delle case popolari e chiede lumi sul periodo di riferimento. «Era il 2011, Rango mi diceva – quando sono uscito – che Fuoco favoriva Strusciatappine sull’appalto». Sui rapporti con Abbruzzese? «C’erano periodi in cui non erano buoni». Interviene l’avvocato Filippo Cinnante per la posizione di Oscar Fuoco. Perché Rango ha messo la pistola in bocca a Fuoco? «Rango è troppo irruento, per questo fatto mi sono arrabbiato. Perché mettere la pistola in bocca non sono modi». Che ruolo aveva Fuoco nelle case popolari? «Si occupava dei lavori di ristrutturazione. Io abitavo a via Popilia dovevo fare un balconcino e mi sono rivolto a lui e gli ho chiesto di mandarmi gli operai. Faceva per noi, per me e per Maurizio Rango almeno fino a quando non sono stato latitante il 5 gennaio 2012. Mando a chiamare Fuoco e gli dico che mi serve il materiale per il balcone e mi manda il camion con il materiale e gli operai. Il capo mastro però mi dà dei soldi da parte di Fuoco e mi avverte che era un lavoro abusivo e che loro non avrebbero potuto farlo». Il pentito poi darà i soldi ad un altro soggetto che completerà i lavori. L’avvocato Franco Locco chiede se Bruzzese abbia mai conosciuto Franco Presta. «Mai». E Antonio Presta? «L’ho visto in carcere qualche volta». Ha contezza del presunto traffico di droga nella Valle dell’Esaro? «Non sono a conoscenza di questo». L’avvocato Antonio Quintieri chiede se Bruzzese abbia commesso una rapina in località Croce di Magara nel Cosentino? «Si, ha fruttato 600 milioni di lire». Chi è Sergio Del Popolo? «Ha gravitato sempre nella malavita, ha fatto sempre usura». E’ stato sottoposto ad usura? «Gestiva soldi anche miei e di mio fratello, ma non era sotto usura». Sa se Celestino Abbruzzese detto “Micetto” ha prestato soldi ad usura a Del Popolo? «Non lo so». Del Popolo era un ambulante? «So che vendeva i fuochi a Natale ed aveva una bancarella di giocattoli». Ha subito attentati alla sue bancarelle? «Non sono a conoscenza». Ha visto Del Popolo raccogliere soldi alle bancarelle? «No». Prima della chiusura dell’udienza, Bruzzese ha avuto modo di riferire di presunte minacce che sarebbero state rivolte ai suoi familiari.
(f.benincasa@corrierecal.it)
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