VIBO VALENTIA «Questo mese partiranno i lavori per la struttura dell’ospedale di Vibo». L’annuncio è arrivato alcuni giorni fa direttamente dal presidente Roberto Occhiuto durante l’incontro di presentazione del candidato del centrodestra alle comunali di Vibo, Roberto Cosentino. «Gli altri o sono in malafede o sono ignoranti» ha rincarato dal palco il vicepresidente di Forza Italia, con un neanche troppo velato riferimento al sit in del centrosinistra che si stava tenendo in contemporanea di fronte allo Jazzolino. Dal fronte progressista forti lamentele sulla «lentezza» del cantiere, i cui lavori sono stati consegnati esattamente un anno fa, il 17 maggio 2023. Ad oggi gli operai avrebbero quasi completato i “preparativi” alla struttura vera e proprio, lavorando sulle fondamenta per poi proseguire il secondo stralcio del progetto che prevede la costruzione dell’edificio. L’obiettivo, spiegano dalla Regione, è completarlo entro il 2026, quando saranno passati ormai oltre 20 anni dalla stesura del progetto e dalla posa della prima pietra: una simbolica “cerimonia” che da allora si è ripetuta diverse volte. Un tema, quello del nuovo ospedale vibonese, che continua imperterrito ad alimentare polemiche politiche tra chi sottolinea il ritardo dei lavori e chi, dalla Regione, evidenzia la “svolta” dell’ultimo periodo.
Un progetto da quasi 144 milioni di euro, arenatosi per l’inerzia politica, per il commissariamento della sanità calabrese che ha ulteriormente rallentato la macchina burocratica e per i tanti rischi di infrazione mafiosa nei lavori. E che ora, sperano i cittadini, potrebbe vedere la luce. Quella del nuovo ospedale vibonese è una lunga storia ventennale: nel mezzo decine di casi di malasanità, medici costretti a lavorare in condizioni vetuste e la triste e rappresentativa storia di Federica Monteleone, la 16enne morta in sala operatoria nel 2010. «Se fosse stata operata in una struttura adeguata forse sarebbe ancora viva» ha detto la madre Mary Sorrentino a Telesuonano. Dal 2004 diverse ditte si sono succedute per i lavori: un “caos” politico e burocratico del quale la ‘ndrangheta ha cercato più volte di approfittarne. E sulle cui mire, sempre attuali, vigilano con attenzione le forze dell’ordine per prevenire un nuovo brusco stop al cantiere.
Il primo sequestro arriva nel 2005, a un anno solo dalla prima pietra posata in una fastosa cerimonia. L’operazione “Ricatto” della Guardia di Finanza accende i primi riflettori sugli interessi della criminalità sulla nuova opera, contornata da accuse di corruzione e tangenti. L’inchiesta si concluderà con assoluzioni e prescrizioni, ma i lavori del nuovo ospedale vibonese faticano a riprendere. Ulteriori elementi sull’interesse criminale nei confronti del nuovo nosocomio emergono soprattutto dalle inchieste degli ultimi anni, tra cui Rinascita Scott e Maestrale Carthago. In particolare, è un’operazione della Dda 2022, in cui finirono in arresto cinque esponenti della mala vibonese, che racconta di alcune estorsioni perpetrate ad alcune ditte da parte dei Pardea-Ranisi. In particolare, i titolari sarebbero stati raggiunti da richieste e minacce fin dentro il cantiere. «Che dobbiamo fare, dobbiamo sparare?» sarebbe stata la frase rivolta a un dipendente in uno degli episodi raccontati alla procura dalle stesse vittime. Tentativi di estorsione respinti dagli stessi imprenditori e “bloccati” dall’intervento della procura antimafia, che già in passato aveva denunciato rischi di infiltrazione mafiosa negli appalti e nella gestione dei lavori.
Ad avere avuto interessi nei lavori di costruzione sarebbero stati anche Luigi Mancuso e Pasquale Gallone, ritenuti dagli inquirenti i «vertici provinciali della struttura di ‘ndrangheta» vibonese. Il dettaglio emerge da una particolare conversazione intercettata e trascritta nell’inchiesta Maestrale Carthago tra Domenico Cracolici, Michele Galati e una terza persona. Tema del dibattito i proventi che secondo Cracolici avrebbero dovuto destinare a lui per «portargli il rispetto che merita». «Lo devono prendere… vengono da me e dicono “Oh Mimmo tieni che questi sono i tuoi!“». I soldi, derivanti dall’appalto dell’ospedale, secondo gli intercettati, dovrebbero essere spartiti quasi automaticamente, senza che nessuno vada dai vertici a “pretendere” la propria quota. Una questione più di “potere” che economica. «E se pensano che ci rispettano, allora prendono i soldi e ce li portano! Se rispetto non ce n’è… soldi non ne portano!”… Ed io non ne ho bisogno!». Dell’interesse dei Mancuso ne scrissero anche i magistrati in Rinascita Scott, riportando le parole di un imprenditore vibonese, il quale asseriva che Luigi Mancuso «gli prometteva di inserirlo nei lavori che sarebbero dovuti iniziare per la costruzione del nuovo ospedale di Vibo Valentia». Lavori che, specificano gli inquirenti, non sono poi iniziati, di fatto come se la lentezza della macchina burocratica abbia “ingolfato” persino le mire ‘ndranghetiste. (Ma.Ru.)
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