REGGIO CALABRIA «Io sono un purosangue». Non c’erano “babbani” nel suo albero genealogico. La battuta sorge spontanea leggendo le conversazioni tra Vincenzo Autolitano e i suoi interlocutori, contenuti nell’ordinanza dell’inchiesta “Arangea” della Dda di Reggio Calabria che ha portato all’arresto di dodici persone (11 in carcere e una ai domiciliari) e permesso di ricostruire dinamiche, assetti della cosca di ‘ndrangheta nel quartiere nella periferia sud di Reggio Calabria e il controllo asfissiante alle attività commerciali della città. Autolitano «utilizzava espressioni tipiche della saga di Harry Potter», il commento in conferenza stampa del procuratore aggiunto Walter Ignazitto, titolare dell’inchiesta. E un purosangue Autolitano ci si sentiva fino in fondo, mentre rivendicava la sua appartenenza a una «blasonata famiglia di ‘ndrangheta».
«In qualità di partecipe del sodalizio, deputato, tra l’altro, a rappresentare la cosca nella gestione dei rapporti con le altre articolazioni territoriali della medesima organizzazione, collaborava sinergicamente con il capocosca Demetrio Palumbo e con il padre Antonio Autolitano (cl. 53), consigliando loro le strategie da adottare nelle questioni di ‘ndrangheta, dando pedissequa esecuzione alle loro direttive, veicolando le richieste estorsive e, più in generale, fungendo da tramite, per conto dei predetti, con imprenditori e commercianti, vittime di estorsione, nonché portando imbasciate, anche per conto degli altri capi del sodalizio, agli altri affiliati; suggeriva ai sodali strumenti di comunicazioni sicuri, così da sottrarsi ad attività di indagine». Questo il ruolo – delineato nell’ordinanza – di Vincenzo Autolitano, che comunque nel corso delle conversazioni captate si presentava da solo. «Io sono il figlio di Totò Autolitano, il genero di Pasquale Latella e sono Enzo Autolitano… Io sinceramente non sono il postino di nessuno e non sono il giovanotto di nessuno. Se c’è una cosa che mi interessa, alzo il culo dalla poltrona e vado a me la sbrigo, non ho bisogno di nessuno. A chi gli piacciono i soldi, a chi gli piacciono certe cose… – che alzino il culo dalle poltrone e che vadano a sbrigarsele».
In una conversazione captata Autolitano affermava con forza la propria caratura criminale e nel ribadiva il proprio ruolo all’interno del contesto mafioso, che gli permetteva di agire in prima persona senza servirsi di altri e senza esporsi a pericolose attenzioni e di essere un “Purosangue”, così come era stato definito nel corso di un’altra conversazione. «Poi mi ha raccontato un po’ di cose, mi ha detto che io sono un “purosangue” … (ride)(. .. ) Ha detto – Enzino, tu sei un purosangue per questo ragioni in questa maniera … e basta! Sono cose che si hanno..». Del resto, – si legge ancora nell’ordinanza – «Vincenzo Autolitano si dimostrava convinto sostenitore dei precetti del passato, quando cioè l’omertà costituiva una regola rispettata diffusamente dalla ‘ndrangheta senza che il denaro potesse sortire indebiti appetiti che invece adesso stavano alimentando pericolose degenerazioni». «I tempi di una volta dove c’erano sani principi, oggi il “dio denaro” … comanda(. . .) n “dio denaro” comanda!»; e parimenti dimostrava di conoscere bene le dinamiche criminali del territorio, quando affermava come questo fosse diviso tra la cosca Serraino e la cosca Ficara-Latella verso la quale il giovane Autolitano esprimeva la convinta vicinanza. «Gli ho detto io: “Tonino parliamoci chiaro è così, non ti posso dire che non è così, le famiglie sono state due, quelle del bar e loro! Poi chi si è messo con loro e chi con quell’altri!” Lui però che viene e mi dice, che si sbilancia così … gli ho detto io: “Nino gli altri possono dire quello che vogliono, io posso parlare bene, oggi sono miei parenti, di quello che ho bisogno onestamente … si sono messi sempre a disposizione e non ho niente da dire … contro di loro, poi con gli altri, ognuno può dire quello che vuole, io non posso!». (m.r.)
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