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Petrolmafie, per i giudici Solano «consapevole delle modalità» con cui D’Amico procacciava i voti

Le motivazioni della condanna per corruzione elettorale (senza aggravante mafiosa) per il sindaco di Stefanaconi. «Pressioni illecite sugli elettori»

Pubblicato il: 30/05/2024 – 19:09
Petrolmafie, per i giudici Solano «consapevole delle modalità» con cui D’Amico procacciava i voti

VIBO VALENTIA Un anno con pena sospesa. È questo la sentenza, emessa l’1 dicembre scorso nel processo Petrolmafie, nei confronti del sindaco di Stefanaconi ed ex presidente della provincia Salvatore Solano. Per i giudici Gianfranco Grillone, Laerte Conti e Alessio Maccarone Solano sarebbe colpevole di corruzione elettorale, tramite suo cugino e imprenditore condannato a 30 anni nel medesimo processo, ma ne viene esclusa l’aggravante mafiosa. Nelle motivazioni della sentenza, depositate ieri presso il Tribunale di Vibo Valentia, si legge che «l’istruttoria dibattimentale non ha dimostrato che l’azione di Solano Salvatore fosse connotata dalla finalità agevolatrice dell’associazione», di fatto escludendo l’aggravante e determinando la condanna in appena un anno di carcere.

Il «procacciamento di voti»

Secondo l’accusa D’Amico avrebbe esercitato pressioni «per agevolare l’elezione del cugino a Presidente della Provincia di Vibo Valentia». Si parla, in questo caso, delle elezioni 2018, poi effettivamente vinte dal sindaco di Stefanaconi. A supporto dell’accusa una serie di intercettazioni tra D’Amico e diversi consiglieri comunali, elettori in quella tornata. «Ti volevo solo dire che il candidato alla Provincia è mio cugino di sangue». A risposta ironica dell’interlocutore, D’Amico avrebbe alzato i toni: «Eh ma sì, senza di te che auguri a lui? Auguri al cazzo. Che facciamo coglioneggiamo?». A conversazioni come queste si aggiungono quelle avvenute con lo stesso Solano, il quale commentando le elezioni conferma il voto ricevuto da un sindaco in quanto «mi ha mandato la foto». Un fatto che per i giudici rappresenta «prova indiretta delle pressioni illecite esercitate» sui votanti.

Solano «consapevole delle modalità»

Partono da queste conversazioni i giudici per testimoniare le pressioni illecite condotte dagli imputati nei confronti dei consiglieri elettori. In particolare, nonostante «non esprimano contenuti esplicitamente minacciosi» per i giudici queste assumono «valore esplicativo delle pressioni illecite esercitate dall’odierno imputato», ovvero da D’Amico. Per Solano, invece, scrivono i giudici, non ci sono «riscontri in ordine a minacce o pressioni esercitate direttamente» dal sindaco di Stefanaconi. Se non c’è «nessun dubbio» sul ruolo di D’Amico nel supporto all’elezione del sindaco, quest’ultimo, riportano i giudici, «può ritenersi che il futuro Presidente dell’ente provinciale fosse consapevole delle modalità attraverso cui il cugino avrebbe procacciato i voti».

«Affinità emotiva tra imputato e ambienti della criminalità»

Di particolare interesse sarebbe la conversazione avvenuta tra Solano e D’Amico, con il sindaco che dubbioso chiede: «intanto io come ti pago a te, che ci arrestano il giorno dopo?». Dall’imprenditore la risposta di mandare «cinquemila euro ai carcerati, anonimo, che non ne voglio soldi io». Uno scambio particolare che, secondo i giudici, dimostrerebbe «l’affinità emotiva tra l’odierno imputato e gli ambienti della criminalità organizzata, oltre a certificarne la piena consapevolezza in ordine alla caratura criminale di D’Amico Giuseppe e alle modalità con cui avrebbe procacciato i voti». (Ma.Ru.)

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