«È una riforma che vuole umiliare la magistratura. Al contrario di quello che la premier che, con excusatio non petita, ha detto non trattarsi di vendetta, somiglia proprio a una vendetta. Sfido chiunque a dire quale dei problemi che la giustizia ha e che molti cittadini hanno riscontrato, possa essere risolta con queste riforme. Glielo dicono io: neanche una. È una riforma pensate per altro: non per migliorare la giustizia ma per indebolire la magistratura», così il magistrato Stefano Musolino, segretario di Magistratura Democratica, ai microfoni di Radio Cusano Campus. «Introducendo il sorteggio come forma di selezione dei componenti del Consiglio Superiore della Magistratura (che è l’organo di autogoverno immaginato dalla Costituzione per garantirne l’autonomia e l’indipendenza) presuppone che tra i magistrati non ci siano differenze di sensibilità, cultura, attitudini, che tutti sono uguali e i magistrati non sono capaci di scegliere chi sono le persone più adatte a rappresentarle al Csm. È così svilisce anche il ruolo e il senso del Csm e la sua capacità difendere in futuro l’indipendenza e l’autonomia della magistratura. Non è una cosa che incide in alcun modo sull’efficienza e l’efficacia della giustizia. Indebolisce semplicemente l’autonomia e l’indipendenza della magistratura. In un momento in cui l’autonomia e l’indipendenza si esprime anche attraverso indagini e accertamenti urticanti per tutta la politica, perché da destra a sinistra c’è poca differenza (basti guardare alla Liguria e alla Puglia per restare ai fatti più recenti)”, spiega Musolino nel corso dell’intervista ad Aurora Vena e Lorenzo Capezzuoli Ranchi nella trasmissione Base Luna Chiama Terra.
«Mi pare – continua il magistrato – che sia un tentativo di utilizzare i noti scandali emersi nell’indagine perugina, che hanno rappresentato in realtà un qualcosa di diverso da quello che viene descritto adesso. Quello che l’indagine perugina ha dimostrato è che alcuni gruppi di potere si erano impossessati dei gruppi associativi per strumentalizzarli per la loro finalità. Questo è stato lo scandalo. È stato uno scandalo a cui la magistratura ha reagito. Poteva reagire forse in maniera ancora più incidente proponendo una sorta di autoriforma. Abbiamo un problema che è il carrierismo. Il carrierismo è un veleno molto pericoloso introiettato con la magistratura rispetto al quale dobbiamo trovare dei rimedi adeguati. Quello che invece è accaduto è che è stato riconosciuto, all’esito di una serie di riforme che in vari Parlamenti che si sono succeduti hanno portato, un ruolo particolarmente rilevante in particolare per i procuratori della Repubblica. I posti di procuratore della Repubblica sono contesi e ambiti, sono posti che interessano molto la politica come dimostrano molte indagini e su questo noi stiamo molto attenti ma non sarà questa riforma a risolvere questo problema, neanche un poco. Questa riforma farà sì che gente meno competente, meno adatta, meno adeguata possa giungere invece a gestire, senza averne le capacità e le attitudini perché semplicemente corteggiata, situazione molto complesse e delicata. Senza avere alcun tipo di protezione culturale. Evidentemente oggi questa maggioranza vuole una magistratura più debole».
«Lo diciamo da tempo e lo diciamo da magistrati che conoscono come funzionano alcune dinamiche, anche culturali, dentro la magistratura. C’è già la separazione delle funzioni. I passaggi, ahimè io dico, da pubblico ministero a giudice e da giudice a pubblico ministero sono pochissimi, poche decine nel corso di un anno. Noi da tempo invece sosteniamo che per fare bene il pm, all’inizio tutti i pm dovrebbero fare almeno due-tre anni di giudice. Perché soltanto se fai bene il giudice poi puoi fare bene il pm perché comprendi la logica del giudicare: capisci bene cosa è necessario per dimostrare la colpevolezza di qualcuno. Noi vogliamo un pm legato alla giurisdizione perché soltanto questo garantisce i diritti durante le indagini. Vogliamo che il pm continui ad essere il controllore dell’attività della polizia giudiziaria. Perché la polizia giudiziaria dipende dai ministeri. Ha obiettivi di sicurezza, legati al raggiungimento di obiettivi statistici e si muove in una logica che a volte può trascurare i diritti delle persone coinvolte. Il pubblico ministero è chiamato invece a tutelarli. Tanto più lo sganciamo dal rapporto col giudice e la giurisdizione, tanto più rischiamo che si appiattisca nella logica culturale della polizia giudiziaria e questa pregiudicherà i diritti dei cittadini coinvolti nelle indagini», conclude il segretario di Magistratura Democratica.
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