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Sclerosi multipla, ogni tre ore una nuova diagnosi

A oggi, nonostante i notevoli progressi scientifici, non è ancora stata trovata una cura definitiva

Pubblicato il: 30/05/2024 – 19:18
Sclerosi multipla, ogni tre ore una nuova diagnosi

Ogni tre ore nel nostro Paese si registra una diagnosi di Sclerosi multipla, malattia cronica neurodegenerativa demielinizzante del sistema nervoso centrale (cervello e midollo spinale), che è la causa più comune di disabilità neurologica nei giovani adulti. Si stima – scrive il Corriere della Sera – che ne soffrano quasi tre milioni di persone nel mondo, circa 140 mila in Italia. La patologia, causata da una risposta abnorme del sistema immunitario che provoca l’infiammazione e danneggia la mielina e i neuroni, nella maggior parte dei casi colpisce in giovane età, soprattutto donne. A oggi, nonostante i notevoli progressi scientifici, non è ancora stata trovata una cura definitiva. Il punto sulle prospettive della ricerca è stato fatto nel corso del congresso annuale di Fism, Fondazione dell’Associazione italiana sclerosi multipla, «Salute del cervello: ripensare la diagnosi della sclerosi multipla e delle patologie correlate» svoltosi a Roma in occasione della giornata mondiale della Sclerosi multipla, che ricorre il 30 maggio.

Negli ultimi anni, grazie ai progressi della ricerca, sono state rese disponibili diverse terapie – scrive ancor il Corsera – in grado di rallentare la progressione della malattia e gestire i sintomi. Ma che cosa riserva il futuro? Le cosiddette terapie avanzate possono rappresentare una speranza di cura per la Sclerosi multipla? Nel corso del congresso si sono confrontati i massimi esperti di terapie con cellule staminali e salute del cervello. Spiega Paolo Muraro, professore di neurologia, neuroimmunologia e immunoterapia all’Imperial College of Medicine di Londra: «Per i pazienti che non hanno una buona risposta con i trattamenti disponibili o hanno un percorso di malattia estremamente aggressivo, per cui la prognosi può essere sfavorevole anche con le terapie standard, il trapianto autologo di cellule emolinfopoietiche – effettuato presso Centri accreditati e specializzati – può offrire un’opportunità di trattamento. Il paziente ha diritto ad avere informazioni su benefici e rischi del trapianto e, se può beneficiarne perché adatto alle sue necessità, di potervi accedere».

Una prospettiva di cura, per le persone con forme progressive di malattia, potrebbe essere – scrive ancora il Corriere – il trapianto di cellule staminali cerebrali: prima che il nuovo trattamento possa essere davvero disponibile per i pazienti deve superare le tre fasi di sperimentazione e poi essere autorizzato per l’immissione in commercio dagli enti regolatori. Dice il professor Gianvito Martino, neuroscienziato e direttore scientifico dell’Ospedale San Raffaele di Milano, che l’anno scorso ha pubblicato uno studio sulla rivista Nature Medicine che dimostra la sicurezza del trapianto di cellule staminali neurali in persone con Sclerosi multipla progressiva, aprendo così la strada alla fase 2 della ricerca: «Le cellule staminali sono un’opportunità ma non ancora una certezza, vuol dire che necessitano di studi e approfondimenti prima di diventare una vera e propria terapia. Si tratta di terapie complesse per una serie di ragioni che vanno dalla produzione, al trattamento e al follow up. Se non si decide, tutti insieme, di fare un passo verso il futuro – prosegue il professor Martino – difficilmente queste terapie saranno realmente un’opportunità. L’idea è di fare “comunità” tra persone malate, ricercatori, mondo accademico, governo, aziende farmaceutiche. E, in questo modo, andare verso il futuro, poiché queste sono indubbiamente le terapie del futuro». La sperimentazione clinica delle terapie avanzate, però, non può essere un percorso ad ostacoli, concordano gli esperti. «Prima di arrivare all’approvazione di un trattamento, il percorso è lungo e a volte accidentato – chiarisce il direttore scientifico dell’Ospedale San Raffaele – . Se poi ci sono anche ostacoli burocratici e non, diventa ancora più complicato. Ma a rimetterci sono le persone malate» conclude il professor Martino.

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