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‘Ndrangheta a Vibo, il gruppo dei fratelli D’Amico e gli «interessi comuni» con i Mancuso di Limbadi

Nelle motivazioni dei giudici, la posizione dei due fratelli Giuseppe e Antonio D’Amico: dall’affare Rompetrol (poi saltato) al ruolo di Silvana Mancuso

Pubblicato il: 31/05/2024 – 6:35
di Giorgio Curcio
‘Ndrangheta a Vibo, il gruppo dei fratelli D’Amico e gli «interessi comuni» con i Mancuso di Limbadi

VIBO VALENTIA «Un’associazione di stampo mafioso, attiva nel territorio vibonese e con ramificazioni nel settentrione, fortemente compenetrata con la famiglia Mancuso di Limbadi e particolarmente influente nel settore degli appalti e in quello degli idrocarburi». Lo scrivono i giudici del Tribunale di Vibo Valentia nelle centinaia di pagine che compongono le motivazioni della sentenza di primo grado emessa nel processo “Petrolmafie”, istruito dalla Distrettuale antimafia di Catanzaro, con la condanna emessa lo scorso 1 dicembre 2023 nei confronti di 35 imputati e l’assoluzione per altri 23.

I fratelli D’Amico

Ai vertici di questo gruppo criminale, riconosciuto legato alla ‘ndrangheta vibonese, ci sarebbe fra gli altri Giuseppe D’Amico, condannato insieme al boss Luigi Mancuso a trent’anni di carcere e il fratello Antonio, condannato invece a 18 anni e 10 mesi. Ma, secondo i giudici, «le posizioni di Giuseppe e Antonio D’Amico possono essere trattate congiuntamente» considerando il contributo che i fratelli hanno «fornito in seno al sodalizio», si legge ancora. Il coinvolgimento dei D’Amico, si apprezza «tanto negli affari concernenti il settore dell’edilizia – e segnatamente in relazione alla vicenda del centro parrocchiale di Pizzo – tanto nelle vicende afferenti al commercio di prodotti petroliferi», scrivono i giudici nelle motivazioni.

Gli affari con “gli altri” Mancuso

Come è emerso in fase dibattimentale, «i fratelli D’Amico si occupavano dei rapporti commerciali con la LP Carburanti, confrontandosi con la controparte rappresentata da Mancuso Francesco e Pugliese Rosamaria sulla contabilità relativa alle operazioni assistite da sovrafatturazione qualitativa». E viene riportato l’incontro risalente al 16 gennaio 2019 avvenuto nella sede della DR Service tra Giuseppe D’Amico, Antonio D’Amico, Silvana Mancuso e Gaetano Molino. «(…) i milanesi vogliono fare loro la società, perché passi tutto dalla… di loro e loro ti gestiscono a te…» dice Silvana Mancuso a Giuseppe D’Amico che replica: «(…) ma il milanese se vuole mettersi nella società io non è che sono… contro, ma nella società mi metto pure io…», suscitando la riposta di Antonio D’Amico: «Uno dei nostri ci deve essere sempre (…) 50, esempio 50 e 50, se in questo 50 mangiano 30 persone e qua ne mangia una, a noi non ci interessa, come non deve interessare a loro…».

L’affare Rompetrol (andato male)

Per i giudici «per quanto gli stralci afferiscano alle trattative con la Rompetrol poi naufragata, la conversazione in esame comproverebbe l’esistenza di evidenti cointeressenze economiche tra i soggetti coinvolti». Ma la compenetrazione tra la famiglia Mancuso e i fratelli D’Amico emerge con maggiore nettezza in un altro dialogo intercettato dalla pg, quando Giuseppe D’Amico spiegava a Silvana Mancuso l’opportunità di ottenere il benestare di Luigi Mancuso prima di avviare qualsiasi rapporto commerciale con la LP Carburanti. «(…) mi disse lo zio Luigi… ne voglio uno… dovete trovare uno pulito che gira… fa queste colonnine in bianco… fate un bonifico (…) quando arriva a fine settimana ha venduto 2 mila litri… 3 mila litri… e sono 500 euro… 1000 euro… 2000 euro…». Secondo i giudici, dunque, i fratelli D’Amico «possono ritenersi collusi con la cosca egemone a Limbadi, tanto da rivendicare – in più occasioni – la propria appartenenza alla “famiglia” Mancuso».

Il ruolo di Silvana Mancuso

Altro ruolo di grande rilievo è quello riconosciuto a Silvana Mancuso, condannata a 12 anni e 2 mesi di reclusione. Secondo i giudici, infatti, «l’imputata si muoveva con grande disinvoltura, tanto in relazione alle trattative con la Rompetrol, tanto in relazione ai rapporti tra D.R. Service e LP. Carburanti», si legge nelle motivazioni anche perché «la collaborazione tra le due società scaturiva proprio dall’iniziativa di Silvana Mancuso». Nella circostanza, infatti, la donna proponeva a Giuseppe D’Amico di «occuparsi dell’approvvigionamento del distributore di benzina riconducibile al “cugino Ciccio”», da intendersi in Francesco Mancuso, altro imputato nel processo e condannato a 10 anni e 2 mesi di reclusione. Nella stessa circostanza, come riportano ancora i giudici nelle motivazioni, Silvana Mancuso «rivendicava nuovamente l’appartenenza alla famiglia, esaltando – alla presenza di Rosamaria Pugliese – le capacità delle esponenti femminili», annotano i giudici, riportando una intercettazione: «(…) quando siamo a tavola… siamo le donne della famiglia. Quando siamo a tavola di lavoro, non guardare le femmine della famiglia (…) che siamo le consulenti della famiglia (…) economicamente, sulla benzina, siamo i consulenti…». (g.curcio@corrierecal.it)

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