Anche in Calabria sono esplose nuovamente le questioni connesse alla cosiddetta “direttiva Bolkestein”, che impone la riassegnazione delle concessioni per l’uso delle spiagge tramite gare pubbliche, ponendo fine alle posizioni dominanti e di rendita, durate a volte anche 90 anni, degli attuali gestori delle concessioni demaniali marittime. La giunta regionale ed il presidente Roberto Occhiuto, infatti, hanno assunto la decisione di non applicare in Calabria la direttiva Bolkestein, per l’insussistenza di scarsità della risorsa spiaggia, suscitando consensi nel mondo dell’imprenditoria e della politica.
Legambiente Calabria manifesta la propria netta contrarietà rispetto alla decisione regionale, perché viola le norme europee e gli orientamenti giurisprudenziali in materia di concessioni demaniali marittime, tutela della concorrenza, diritti dei consumatori e tutela dell’ambiente, aprendo, di fatto, ad una ulteriore, insostenibile, sostanziale privatizzazione delle aree pubbliche.
Oltretutto, con una recentissima sentenza del 20 maggio 2024 n. 4481, il Consiglio di Stato è tornato nuovamente sulla tematica delle proroghe automatiche affermando che tutte le concessioni balneari devono essere affidate mediante procedura comparativa che gli Enti sono obbligati ad avviare.
Relativamente alla questione della scarsità delle risorse, il Consiglio di Stato ha ribadito il carattere self-executing della direttiva e l’impossibilità di disporre proroghe automatiche nelle more di atti – allo stato inesistenti- che stabiliscano i criteri uniformi per la definizione del carattere di scarsità delle risorse che dovranno essere adottati dagli Stati membri, combinando un approccio generale ed astratto ed un approccio casistico legato alle specificità del territorio di riferimento. Non solo: anche nel caso di risorse non scarse può sussistere un obbligo di disporre una procedura comparativa, perché l’onere di effettuazione di tale procedura per la concessione di beni demaniali non trova quale sua unica fonte soltanto la direttiva Bolkestein, ma anche l’art. 49 del TFUE e la libertà di stabilimento, dovendo l’assegnazione essere effettuata secondo criteri di trasparenza e imparzialità. La Regione Calabria, con la decisione assunta, sta quindi entrando nel vicolo cieco del rischio di una nuova infrazione comunitaria con i relativi costi in termini di sanzioni e sta ipotizzando una inaccettabile sottrazione di spiagge attualmente fruite in maniera libera e gratuita dai calabresi e dai turisti.
«Consideriamo insensata – afferma Anna Parretta, presidente di Legambiente Calabria – la possibilità di mettere a gara in Calabria ulteriori spiagge libere limitando i diritti della collettività perché le aree demaniali appartengono a tutti i cittadini. L’idea che ci siano enormi spazi lungo le coste calabresi su cui si può ulteriormente investire ed aprire nuovi stabilimenti balneari è collegata ad una logica di sfruttamento delle risorse naturali, considerate inesauribili, che è antistorica e scientificamente errata». «La Regione Calabria dovrebbe, invece – prosegue Parretta – limitare l’occupazione delle spiagge e le concessioni demaniali esistenti dovrebbero essere assegnate in base a rigorosi criteri di sostenibilità ambientale e sociale, per salvaguardare gli arenili e le acque marine da ogni causa di inquinamento e degrado. Il futuro del turismo calabrese passa dalla tutela dell’ambiente».
La direttiva Bolkestein ( 2006/123/CE) è una norma approvata nel lontano 2006 dall’Unione europea: gli Stati hanno avuto tempo fino al 28 dicembre 2009 per dare attuazione al suo contenuto; attuazione che in Italia è avvenuta concretamente con l’emanazione del d.lgs 59/2010. L’obiettivo della direttiva è di promuovere la parità di professionisti e imprese nell’accesso ai mercati dell’Unione europea, per cui concessioni e servizi pubblici possono essere affidati a privati solo con gare pubbliche aperte a tutti gli operatori presenti in Europa al momento della scadenza della concessione. A dicembre 2020, vista la mancata ottemperanza da parte dell’Italia, la Commissione europea ha aperto una nuova procedura di infrazione contro il nostro Paese per violazione della direttiva Bolkestein con il rischio di gravi sanzioni economiche. Ricordiamo, infatti, che la durata delle concessioni demaniali marittime è stata disciplinata dall’articolo 1 commi 682 e 683 della legge n. 145/2018, che aveva disposto la proroga di quindici anni per quelle vigenti. Proroga ritenuta dalla Commissione europea in contrasto con la direttiva e con gli articoli 49 e 56 del Trattato europeo. Successivamente, il Consiglio di Stato nel novembre 2021 ha dichiarato la proroga nulla, differendo tuttavia gli effetti della sentenza fino al 31 dicembre 2023 «al fine di evitare il significativo impatto socio-economico che sarebbe derivato da una decadenza immediata e generalizzata di tutte le concessioni in essere», senza alcuna possibilità di proroghe ulteriori. L’Europa chiede, quindi, da molto tempo – almeno 15 anni- a Roma di bloccare i rinnovi automatici delle concessioni agli operatori storici e di aprire il mercato a nuove imprese attraverso dei bandi di gara, così come previsto dalla cosiddetta direttiva Bolkestein. Il governo italiano non si è adeguato alla richiesta, nonostante la procedura d’infrazione aperta da Bruxelles, e dopo aver rinnovato ancora le concessioni fino al 31 dicembre 2024 sta ipotizzando di ampliare le spiagge da assegnare ai balneari, in maniera tale da “salvare” i gestori degli stabilimenti esistenti.
In questo quadro la Regione Calabria, prima fra le Regioni italiane, afferma che non applicherà la direttiva Bolkenstein, sostenendo che non vi è scarsità della risorsa spiaggia, in maniera tale che gli attuali concessionari possano continuare ad operare e contestualmente possano essere messe a bando porzioni delle attuali spiagge libere calabresi. Al contrario la citata sentenza del Consiglio di Stato n. 4481/2024 dovrebbe rappresentare una linea di sbarramento chiara per tutti i tentativi, giudiziari e legislativi, di mantenere in capo ai concessionari uscenti, il cui contratto è in scadenza, la gestione delle zone balneari sinora assegnate senza alcuna procedura selettiva comparativa. Secondo il “Rapporto Spiagge 2023” pubblicato da Legambiente, la Calabria si colloca tra le regioni più a rischio. La ricerca, che analizza sei indicatori, dalla crisi climatica al rischio di inondazioni, dalle spiagge inaccessibili al mare inquinato, rivela un quadro di fragilità per i territori costieri calabresi poco tranquillizzante. Per consumo di suolo costiero collegato anche al grave fenomeno dell’abusivismo edilizio, la Calabria segna il quarto valore per crescita a livello nazionale (+6,26 % tra il 2006 ed il 2021) e il terzo nel rapporto tra consumo di suolo litoraneo e superficie regionale.
A causa del grave fenomeno dell’erosione delle aree costiere destinato ad aggravarsi per effetto dei cambiamenti climatici, anche la Calabria sta perdendo parte delle proprie spiagge: nel complesso oltre il 26% della costa bassa regionale è in erosione. Sempre a livello regionale il rapporto di Legambiente segnala il valore particolarmente elevato – in rapporto alle altre regioni – delle concessioni balneari, che corrispondono al 13,8 per cento del totale italiano. In Calabria – dove ci sono 614 km di spiagge – il totale di concessioni di demanio marittimo è di 4.665, delle quali 1.677 per stabilimenti balneari, per un totale del 29,4 % di costa sabbiosa occupata.
Tutte queste ragioni dovrebbero indurre la Regione Calabria a limitare l’occupazione delle spiagge, alzando il relativo limite regionale, attualmente solo del 30% a fronte del 60% di altre regioni come Puglia e Sardegna. Sarebbe necessario in questa situazione un rigoroso controllo ambientale sulle concessioni, che al momento durano da decenni, con il pagamento di canoni molto bassi e con stabilimenti balneari che spesso si trasformano in veri e propri locali che occupano il demanio in maniera stabile. La prospettiva verso cui occorre andare, insomma, è ben altra rispetto a quella prospettata dalla giunta regionale.
La Direttiva Bolkestein prevede, peraltro, che gli Stati membri possono tenere conto, nello stabilire le regole della procedura di selezione, di considerazioni di salute pubblica, di obiettivi di politica sociale della salute e sicurezza dei lavoratori dipendenti ed autonomi, della protezione dell’ambiente, della salvaguardia del patrimonio culturale e di altri motivi imperativi di interesse generale conformi al diritto comunitario. Gli stabilimenti balneari ed i titolari delle attuali concessioni che hanno ben lavorato ed investito nella giusta direzione non devono avere timore delle gare europee.
Il modello da seguire deve essere costituito da investimenti, sostenibilità e qualità per creare occupazione reale ed al contempo proteggere l’ambiente in base a criteri posti alla base, ad esempio, della prassi UNI per gli stabilimenti accessibili e sostenibili definita da Legambiente. In sostanza si devono tutelare gli imprenditori seri, onesti ed attenti all’ambiente ed alla legalità.
«La soluzione non può e non deve certamente essere quella di cedere ulteriore spiaggia – conclude Legambiente – sottraendola all’uso libero e gratuito della collettività per metterla a bando».
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