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Petrolmafie, l’ex consigliere comunale di Vibo e le pressioni «per favorire la ditta espressione della cosca Anello»

Nelle motivazioni dei giudici «nessun dubbio» sulla responsabilità penale di Francescantonio Tedesco, condannato a 10 anni di carcere

Pubblicato il: 01/06/2024 – 15:07
Petrolmafie, l’ex consigliere comunale di Vibo e le pressioni «per favorire la ditta espressione della cosca Anello»

VIBO VALENTIA «Nessun dubbio» sulla responsabilità penale dell’ex consigliere comunale di Vibo Francescantonio Tedesco, condannato a 10 anni di carcere per tentata estorsione aggravata dalle modalità mafiose. Lo scrive il tribunale collegiale composto dai giudici Gianfranco Grillone, Laerte Conti e Alessio Maccarone nelle motivazioni, rese pubbliche ieri, del processo Petrolmafie contro le cosche vibonesi e i vari interessi criminali nel settore petrolifero. In particolare, l’accusa contro l’architetto sarebbe quella di aver fatto pressioni alla cooperativa impegnata nei lavori del centro parrocchiale di Pizzo, il tutto per favorire una particolare ditta «espressione della cosca Anello di Filadelfia».

I lavori al centro parrocchiale di Pizzo

I lavori del centro parrocchiale di Pizzo sarebbero finiti nel mirino, secondo gli inquirenti, di numerose consorterie criminali della provincia vibonese: dai Mancuso di Limbadi ai Bonavota di Sant’Onofrio, passando per gli Anello di Filadelfia. Una situazione che avrebbe creato anche leggere tensioni tra le varie ‘ndrine interessate alla spartizione dei lavori. Da una parte le pressioni dei D’Amico, dall’altra quelle di Tedesco per la ditta vicino alla cosca Anello. Il coinvolgimento dell’ex consigliere comunale, secondo i giudici, emerge da alcune conversazioni captate tra D’Amico e un soggetto rimasto anonimo, il quale afferma: «Franco Tedesco? E li arma». La risposta di D’Amico sarebbe ancora più eloquente: «Si li arma, perché lui ha impicci con il figlio di Rocco (Anello, ndr)». E ancora, sempre D’Amico, insiste: «Aspetta un po’, perché tu il lavoro
lo devi fare tranquillo, perché la c’è sto scemo di Franco Tedesco che li carica».


LEGGI ANCHE: ‘Ndrangheta a Vibo, il gruppo dei fratelli D’Amico e gli «interessi comuni» con i Mancuso di Limbadi


L’imposizione della ditta

La richiesta da parte della Procura era di 15 anni, ridimensionata dai giudici secondo i quali c’è stata la tentata estorsione ai danni della cooperativa impegnata nella costruzione del centro parrocchiale. Gli interessi della ‘ndrangheta nel cantiere sarebbero comprovate da alcune intercettazioni tra esponenti quali Giuseppe D’Amico (condannato a 30 anni) e il rappresentante della ditta: «Fai una cosa, senti a me, tu devi lavorare tranquillo? Sì, ed è giusto che sia così, prima di cominciare vai e ti fai una rinfrescata per non sbagliare le ditte». Ma a questa “gestione” delle ditte, come ricostruito dagli inquirenti, si scontravano interessi simili di ‘ndrine diverse. Tedesco, in qualità di direttore dei lavori del cantiere, «avrebbe agito per favorire» una ditta vicino agli Anello, «di fatto imponendola, tanto per la fornitura del cemento, quanto per l’affidamento delle opere di sbancamento».

Il “compromesso” per salvare gli interessi

Uno “scontro” di pressioni che sarebbe stato risolto, scrivono i giudici, dall’intervento di Pasquale Gallone e Luigi Mancuso «quali garanti di un compromesso che salvaguardasse gli interessi di tutti i soggetti coinvolti». La soluzione trovata era: la ditta “suggerita” da Tedesco e vicina alla cosca Anello «avrebbe fornito metà del calcestruzzo», mentre l’altra restante sarebbe stata fornita da una ditta «legata al clan di Sant’Onofrio». Infine, le opere di sbancamento sarebbero state eseguite dai D’Amico. Proprio le pressioni esercitate dall’ex consigliere comunale di Vibo, scrivono i giudici, «suscitavano l’intervento di Gallone e Mancuso, la cui mediazione si rivelerà determinante per la ricomposizione degli interessi in gioco». (Ma.Ru.)

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