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sette giorni di calabresi pensieri

Quando la ‘ndrangheta era di sinistra nel nuovo libro di Santo Gioffrè

Racconti utili anche a capire la nonna che strangola il nascituro della figlia bambina e i giovinastri d’oggi che massacrano un clochard

Pubblicato il: 01/06/2024 – 6:50
di Paride Leporace
Quando la ‘ndrangheta era di sinistra nel nuovo libro di Santo Gioffrè

Cesare Pavese, che pur essendo delle Langhe di Calabria sapeva per essere stato confinato a Brancaleone, ci ha insegnato che un paese ci vuole. Per quel gusto di andarsene via, perché il paese, che non è l’artificiale borgo, non ti fa mai stare solo: perché nelle piante, nella gente, e pur che non ci sei quel tuo luogo ideale ti aspetta sempre.
Lo scrittore calabrese è legato al suo paese dai tempi di Corrado Alvaro. E anche la letteratura contemporanea diventata nazionale continua su questo tornante: Criaco con Africo, Dara con Girifalco, Gangemi con S. Cristina d’Aspromonte, Abate con Carfizzi. Non si sottrae al paradigma Santo Gioffrè tornato in libreria con cinque perle di racconti riuniti nella raccolta “Evasioni d’amore” edito dall’antagonista casa editrice “Castelvecchi”. Non è un caso che un autore che è stato nel catalogo Mondadori per il suo “Artemisia Sanchez” (tradotto in una serie tv di successo per la Rai) si sia accasato da quella parte del torto. Gioffrè non è solo scrittore, ma medico militante di grandi capacità, ha affrontato le malefatte delle sanità pubblica calabrese in aule di Giustizia e in libri inchiesta, ex amministratore pubblico, motivatore della sua comunità ne ha rievocato pieghe dimenticate della sua Storia con ricostruzione in costume che da tempo è evento storicizzato, militante degli anni Settanta pensando di condurre l’assalto al cielo rivoluzionario.
Il suo paese è Seminara. Terra di ceramiche, di latifondisti, di barbare faide, di onorata società e di umiliati e offesi. E le evasioni d’amore di Gioffrè tornano alla terra, alla campagna, ai contadini, sorta di comune denominatore della letteratura calabrese del nostro tempo che oltre ad avere sempre un paese ha anche un mondo di riferimento. Come molti della sua generazione, Gioffrè ha letto molto Hemingway (il “sentirsi nuovi” chiosa Guccini) e se ne riscontra l’influenza nel suo scrivere essenziale, le frasi brevi; tradendo però il celebre Ernest nella posizione del narratore, che in questi 5 racconti sta quasi sempre sulla scena evidenziando l’Io ipertrofico di Santo Gioffrè con il risultato di aumentare pathos e piacere di lettura.
Onora il padre e la madre, Gioffrè, nei suoi racconti, come fece con la sua biografia quando laureato a Messina si apprestava ad andare per il mondo e invece rimase a Seminara nella sua selvaggia terra. Nato al tempo delle cicale, quando “la danza intermittente delle lucciole illuminava ogni cuore alla ricerca della pace”, mentre oggi, come aveva puntualmente osservato Pasolini, “non vi sono più lucciole tra le strade buie”. Ma non è Arcadia perché l’autore declina il suo attaccamento a Barlaam l’eretico, Leonzio Pilato, Tommaso Campanella, Bernardino Telesio che contrastarono “i massacri portati da popoli venuti da molto lontano”. I conquistatori e gli oppressi nelle storie umane di povera gente.
C’è anche Lucio Dalla in uno dei racconti, che di Santo è stato amico e sodale, complice la sua lettaratura, che si mette nella scena tra uno zio che insegna al nipote studente come non perdersi nel bosco riconoscendo “le quattro stelle del Carro grande” in una società molto povera che aveva i mezzi per non vivere la tristezza della solitudine.
Sono storie delle nostre famiglie, di figli spuri non riconosciuti e nel magnifico intreccio il medico narrante a Buenos Aires per un convegno incontra una figura familiare del suo paese che ricorda tra le poche cose il soprannome del suo ceppo “a ‘ngiuria”, e lo scrittore chiosa a voce introspettiva “perché sono i luoghi in cui si vive e non le verità che danno legittimità alla storia degli uomini”.
Oltre emigrazione a contorno delle vicende d’amore non mancano terremoti, malaria, ferite e malanni descritti con la tecnicalità del medico. E non manca neanche la ‘ndrangheta. Ne va alla radici Gioffrè mostrandoci il suo saper ordire intrighi e costruire federalismi territoriali. Narra lo scrittore con autenticità e sporcandosi le mani con altri aspetti rimossi. Il racconto “Il furto della Sacre vacche” ha un andamento epico da film western alla John Ford che meriterebbe un adattamento contemporaneo da girare in Calabria. Non c’è solo intensità narrativa tra le pagine ma anche richiamo storico e di contenuto. Con Fausto Gullo e il caposocietà che si ritrovano confinati dal fascismo a Ponza e si intendono e poi si ritroveranno nel dopoguerra. Era il tempo che l’autodifesa dei poveri mescolava ideologia e bisogni, un tempo rimosso dal luogo comune e che fu discrimine di alcune zone che andarono in modo differente rispetto a chi era guardia scelta di agrari e latifondisti. Trame spesse dove l’autore sa infilare anche l’ufficiale medico tedesco che di quel luogo conosce miti e storia come quella di Leonzio Pilato che aveva tradotto Iliade e Odissea e che invece di portare la guerra nazista salva un ragazzo dalla malaria ricevendo per gratitudine da massaru Carmine per lui e i suoi soldati gustosissimi fichi e freschissime ricotte.
Santo Gioffrè nel corso della sua vita ha studiato e ritrovato documenti sui feudatari di Seminara. Ne ha ricavato intreccio per restituire qui l’amore tra Anna Maria Spinelli e il musicista Giovan Battista Pergolesi, intensa vicenda di passione galeotta a Napoli che tra Stabat Mater e rievocazione di massacri di poveri Valdesi avvince con diletto. Come diverte il racconto giudiziario di un delitto che scruta con profondità le pieghe della società “che era padrona, persino, della miseria morale” degli uomini e delle donne. E che tutto questo non sia solo retaggio di quello che eravamo, purtroppo lo rivediamo nella cronaca di questi giorni con una nonna che a Villa San Giovanni strangola il nipote nascituro della figlia tredicenne, nei rapinatori che attirano sul web un omosessuale a Reggio Calabria per depredarlo, nei sei ragazzi che hanno picchiato brutalmente un clochard nel Vibonese riprendendolo con il cellulare. Al tempo delle lucciole sparite. Le evasioni d’amore di Santo Gioffrè fanno molto riflettere su quello che eravamo e su quello che siamo diventati.

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Marjan Jamali e Maysoon Majidi

Maysoon Majidi e Marjan Jamali sono due donne iraniane profughe politiche e ristrette in due carceri calabresi, arrestate perché ritenute “scafiste”. Grazie al garante dei detenuti, Luca Muglia, e alla rete di attivisti calabrese è emersa questa vicenda molto deleteria e che mostra tutte le contraddizioni di decreti che non guardano alla persona.
La donna, alla quale sono stati concessi gli arresti domiciliari su richiesta del suo avvocato Giancarlo Liberati, ha finalmente riabbracciato il figlio di otto anni affidato temporaneamente alle cure di una famiglia afghana in Comunità mentre la mamma è stata detenuta presso la casa circondariale di Reggio Calabria da ottobre. La donna è stata violentata dagli scafisti che poi l’hanno accusata di essere lei il comandante della barca della speranza. Maysoon Majidi, regista e attivista iraniana di 27 anni, è da cinque mesi in carcere a Castrovillari con l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, ha iniziato uno sciopero della fame. Ha perso 14 chili.
Chi l’accusava di essere una scafista ha ritrattato in tv, come cerca di provare il suo avvocato. Triste constatare che il peggiore Iran lo abbiamo in casa nostra.

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Pino Muto, fondatore della sede Avis del piccolo comune di Lago, è stato premiato per i suoi 50 anni di donazione e volontariato. Insegnante ed educatore nei convitti nazionali, molto impegnato nei Terzo settore, Pino Muto ha iniziato a diffondere la cultura del donare in una zona periferica quando era presente l’emofilia che attanagliava chi stringeva matrimoni tra consanguinei. Mezzo secolo fa per donare il sangue bisognava raggiungere Cosenza. Ora la sezione Avis di Lago, comune di 2000 anime grazie all’opera di Pino Muto, ha 150 soci donatori, e il consiglio direttivo dell’Avis comunale per due terzi e composto da giovani. Un bell’esempio di una cittadinanza attiva e che offre il ritratto di una Calabria solidale. (redazione@corrierecal.it)

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