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UN GIALLO ARCHEOLOGICO

Dai tombaroli al Getty Museum: storia della “papera” di Pitagora venduta per 10 milioni di lire e una mucca

Rinvenuto negli anni ’80 a Strongoli e finito nel mercato illegale, l’unguentario è tornato a Crotone. Premiato il documentario sulla Sirena

Pubblicato il: 02/06/2024 – 13:04
di Eugenio Furia
Dai tombaroli al Getty Museum: storia della “papera” di Pitagora venduta per 10 milioni di lire e una mucca

Nella Calabria dei tombaroli, giacimento infinito di reperti archeologici, non c’è solo la scure di San Sosti. O meglio ci sono vicende simili, ma a lieto fine: è il caso dell’askòs di Strongoli, l’otre in bronzo a forma di sirena che appena dopo il ritrovamento, negli anni Ottanta, nell’antica Petelia fu ribattezzata «la papera» per la sua forma particolare. Il reperto funerario magno-greco risalente al V-IV secolo a. C. era in realtà uno dei simboli del pitagorismo la cui culla fu come noto la vicina Kroton: nella filosofia pitagorica la sirena (arpia) è legata al canto che accompagna i morti nell’aldilà, e dall’aldilà questo reperto unico in un certo senso riemerse durante dei lavori agricoli: un trattore trovò sulla sua strada – ma come spesso accade in questi casi le ricostruzioni sono poco chiare – tegole e reperti funerari, poi spuntò quello strano unguentario in bronzo verde, che non era come gli altri tanto che nei presenti suscitò un certo senso di paura.
L’oggetto fu venduto illegalmente a un ricettatore di Bari per 10 milioni di lire e una mucca: come in un film di Totò si muove sulla scena un macellaio coinvolto nella trattativa, mentre i tombaroli non ne capiscono il vero valore tranne qualche amatore come il compianto Elio Malena che già ai tempi parlava di mezzo miliardo di lire («come: l’avete venduta?» sbottò).
Subito dopo viene portata in Svizzera e acquistata da un gruppo di multinazionali del farmaco per 400 milioni di lire. La “papera” che papera non era finisce dunque nei meandri del mercato clandestino e infine riappare anni dopo nel catalogo di uno dei musei più famosi al mondo, il Getty di Malibù, in California: acquistato per 600mila dollari, ma dal valore inestimabile.

Questa storia è raccontata in “Askòs – Il canto della sirena”, documentario prodotto da Alessandro Gordano per Lago Film in collaborazione con Solaria Film e finanziato nel 2021 dalla Calabria Film Commission (il regista Antonio Martino ne firma il soggetto con Francesco Mollo): qualche giorno fa il documentario ha ricevuto una menzione speciale per la sceneggiatura durante la XII edizione dell’Agon Festival di Atene («for the passion of the amateur archaeologist of Calabria»).

Anni 60: un sesterzio ripagato con un gelato

Orfano a 13 anni, non ha potuto studiare archeologia per come gli sarebbe piaciuto: Luigi Mazza trova i primi sesterzi romani giocando a pallone, gli vengono ripagati con qualche spicciolo per il gelato. Oggi ha un fiuto infallibile e un occhio allenato a leggere strutture murarie ipogee. Più che passione è una «febbre» confessa nel documentario, raccontando di quella volta che nei pressi di uno smottamento sotto le pendici del castello s’imbatté in una tomba a volta stuccata di rosso porpora, senza scassare fece un tunnel di lato per entrare nelle viscere del suo stesso passato: «Questo territorio è una scatola chiusa, possiamo trovare qualcosa di più maestoso dell’askòs».

Luigi Mazza durante una campagna di scavi negli anni Novanta

La zona del Crotonese fu interessato dai lavori del consorzio di bonifica e fu quella una delle attività che restituirono reperti e statuine che la gente portava a casa e poi magari gettava, non capendone il valore storico oltre che economico. Altro momento di cancellazione e rimozione furono la speculazione edilizia e i lavori pubblici nel dopo-boom, lo scempio dell’industrializzazione selvaggia, il sogno (tradito) del riscatto nella “Milano del Sud”. Per decenni l’archeologia era vista come un impedimento alla modernità. Nel frattempo – queste le testimonianze raccolte nel documentario – già dagli anni Trenta centinaia di reperti sono finiti in scatole di legno o nel mercato clandestino.

Tre fattori per la mancata tutela del tesoro archeologico

Eppure c’è un terzo “agente” che non ha permesso di tutelare e valorizzare un tesoro archeologico che forse oggi avrebbe potuto rappresentare un’occasione di sviluppo per una provincia tra le più depresse del territorio nazionale, interessata com’è da disoccupazione giovanile, ‘ndrangheta e spopolamento: la politica. Nel documentario, Armando Taliano Grasso (docente Unical che nel 1996 aveva scavato a Strongoli) senza mezzi termini paragona proprio al disinteresse istituzionale la spoliazione di Strongoli tra anni 70 e 80 legata agli scavi clandestini: basti pensare che nell’area del presunto Foro romano di Petelia sono stati costruiti il palazzo comunale e la scuola…

Tra le notizie raccolte durante la sua campagna di scavi, Taliano Grasso apprende che uno dei mancati acquirenti dell’Askòs aveva delle fotografie pur non essendo coinvolto direttamente nello scavo clandestino, così lo mette in contatto con Raffaele Giovinazzo – allora al comando dei carabinieri Nucleo Tutela patrimonio culturale di Cosenza – per consegnare quella documentazione iconografica ma anche scientifica. Fu un passaggio importante, anzi decisivo. «Dopo tanti anni si capì il valore di quell’oggetto indebitamente portato all’estero e il danno arrecato alla comunità. Un danno da riparare».

Raffaele Giovinazzo ha guidato per anni il nucleo Tutela patrimonio patrimonio culturale di Cosenza

Giovinazzo, che era passato dalla cattura dei latitanti in Sicilia in forza al Ros alla caccia ai tombaroli che lo porterà negli anni a continui successi investigativi, nel doc parla di «curiosità quasi morbosa dei tombaroli calabresi, alla ricerca del metal detector più potente per il recupero di qualcosa di unico e irripetibile da portare come trofeo nel proprio palmares criminale, una curiosità quasi scientifica pur senza le basi: i calabresi a differenza dei tombaroli pugliesi e campani sono meno interessati al lato economico. Fanno sacrifici incredibili, sono figure dal valore quasi mitologico».

Il recupero dei carabinieri e il ritorno in Calabria

Secondo Giovinazzo proprio dopo il caso dell’Askòs delle Murgie di Strongoli «è aumentata nei calabresi la consapevolezza e la voglia di riscatto attraverso la tutela del patrimonio culturale». Il documentario raccoglie anche la testimonianza del colonnello Giacomo Geloso (comandante del nucleo TPC Cosenza) e racconta, attraverso la storia dell’askòs, la parabola di un intero distretto: dall’industrializzazione all’inquinamento e al compromesso in nome del benessere, agli anni Settanta coi primi interventi della Sovrintendenza, dagli Ottanta con una grande campagna di scavi ai Novanta, quando finisce il sogno dell’industria a Crotone.
E la “paperella” di Pitagora? Dopo l’interessamento del Getty Museum di Malibu (che nel 1992 lo acquista per 600mila dollari) il nucleo TPC di Cosenza è incaricato di fare le verifiche: fino al 2000 si susseguono richieste di rogatorie internazionali senza effetto, mentre si lavora anche all’identificazione dei tombaroli di fine anni 80. Poi, tra 2007 e 2009, arriva la svolta grazie ai documenti che dimostrano la genesi del ritrovamento: acquisita quella documentazione i carabinieri vanno in California e possono rivendicare l’askòs: «È nostro». Il rientro in Italia risale al novembre del 2007, poi l’unguentario viene esposto nelle scuderie del Quirinale e in Grecia. Oggi si trova nel museo di Crotone.

Il produttore Alessandro Gordano (Lago Film) durante la premiazione ad Atene a fine maggio

La divulgazione e il documentario premiato

 Il documentario diretto da Martino aveva già incassato un’ottima accoglienza da parte del pubblico del festival di Atene che aveva assistito alla proiezione del documentario giovedì 23 maggio, nel Greek Film Archive della capitale greca. Dopo questo premio, Askòs è tornato a Cosenza come parte della rassegna Primavera Mediterranea, nella sua seconda edizione organizzata dall’associazione culturale Meraki e dal Museo dei Brettii e degli Enotri. Ieri pomeriggio la proiezione preceduta da alcuni interventi degli ospiti: ad aprire l’incontro il presidente dell’associazione culturale “Meraki” Giulio Rizzuto, seguito poi da Maria Cerzoso, direttrice del Museo dei Brettii e degli Enotri, dal capitano Geloso e dal regista Antonio Martino.
Il documentario nel 2023 aveva già vinto il premio “ArcheoVisiva” per miglior film alla XIII edizione del Festival della comunicazione e del cinema Archeologico, nel 2024 il premio “Università di Firenze” alla VI edizione del Firenze Archeofilm, infine la menzione speciale alla sceneggiatura alla XII edizione dell’Agon Festival di Atene.

La locandina del documentario di Antonio Martino

Tutte le foto sono tratte dal documentario “Askòs – Il canto della sirena”, prodotto da Alessandro Gordano per Lago Film in collaborazione con Solaria Film (regista Antonio Martino)

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