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l’inchiesta

Gli affari dell’ultimo della Magliana: il carico di coca dalla Colombia e il “canale” calabrese. «Sono i Molè di Gioia Tauro»

Nell’ordinanza il gip di Roma riporta la trattativa per il trasporto di un carico dal porto di Turbo a quello di Napoli. E i contatti con la nota cosca di ‘ndrangheta da parte di Colafigli

Pubblicato il: 04/06/2024 – 14:09
di Giorgio Curcio
Gli affari dell’ultimo della Magliana: il carico di coca dalla Colombia e il “canale” calabrese. «Sono i Molè di Gioia Tauro»

LAMEZIA TERME Gli inquirenti hanno acceso i riflettori su un’associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, a carattere transnazionale, al cui vertice ci sarebbe Marcello Colafigli, classe ’53, detto “Marcellone”, il “Bufalo” della Banda della Magliana in “Romanzo Criminale”, arrestato dai carabinieri nel corso di un’operazione che ha portato il gip a emettere ben 28 misure cautelari. Tra i destinatari delle misure, infatti, oltre a Marcello Colafigli, già detenuto in carcere per altra causa, ci sono altri 22 cittadini italiani, 2 albanesi, 1 kosovaro, 1 macedone e 1 colombiano. Secondo gli inquirenti, e come riporta il gip nell’ordinanza, lo storico boss si sarebbe occupato tuttora «dell’acquisto di stupefacente» e delle importazioni di ingenti quantitativi di narcotico dall’estero, Colombia e Spagna, «avvalendosi di fidati compartecipi e mantenendo rapporti, diretti o indiretti, con esponenti della ’ndrangheta, camorra, della criminalità della provincia foggiana nonché con albanesi inseriti in modo stabile nel traffico di stupefacenti», scrive ancora il gip.

Marcello Colafigli

La coca dalla Colombia

È l’agosto del 2020 quando gli inquirenti iniziano a monitorare una serie di conversazioni dalle quali emergeva la pianificazione da parte di Marcello Colafigli «dell’importazione di un ingente carico di cocaina dalla Colombia». I dialoghi ambientali, intercettati dalla pg, rivelano il coinvolgimento di Damato Savino (finito agli arresti domiciliari), Brunetti Alessandro – quali fidati collaboratori di Colafigli – nonché di Riccardo Tinti, Erion Hyseni, Naser Xhylani e Maurizio Fantini», riporta il gip nell’ordinanza, tutti finiti in carcere. In particolare, i protagonisti discutono della spedizione – che avrebbe impiegato circa 25 giorni – e dei contatti con quelli del porto da identificarsi con la criminalità organizzata che governa il porto di Napoli», scrive ancora il gip.
«(…) io ho il contatto con quelli di… abbiamo il contatto con quelli del porto… loro ci hanno detto così…». A parlare è Brunetti con Tinti nel pomeriggio del 3 agosto 2020. Nel prosieguo della conversazione, Brunetti continuava a spiegare che avrebbero acquistato il controvalore di cocaina pari a 200mila euro e che il loro contatto «avrebbe inviato il carico direttamente dalla località colombiana Turbo, dovendo però riconoscere il 20% del valore a chi assicurava lo scarico della merce», si legge nell’ordinanza. «(…) ci costa dai 4.400 ai 4.600… la più ci costa… è finita però eh… perché la fanno compreso delle spese fino al carico, perché noi la prendiamo a una zona che si chiama Turbo, è una zona lì della Colombia, è proprio dove la fanno…».


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La spedizione di “frutta”

È il giorno successivo – il 4 agosto 2020 – quando gli inquirenti riesco a capirne di più. Ad esempio, il carico di cocaina sarebbe giunto occultato in una spedizione ortofrutticola ed il contatto con il colombiano era tenuto direttamente dall’albanese Xhylani, quest’ultimo noto come il “Sud” al quale gli intercettati fanno più volte riferimento. Quest’ultimo, nello sviluppo della conversazione intercettata, spiega a Colafigli che “il lavoro” era pronto nel luogo di spedizione, tanto che Colafigli domandava se “la frutta”, ovvero la modalità con la quale trasportare la sostanza stupefacente, fosse già disponibile, si legge ancora nell’ordinanza. «(…) senti un attimo… la frutta è già pronta no?» chiede il boss. «… e allora io adesso, già che ci stiamo, chiamo il colombiano… viene qua e vediamo» risponde Xhylani, con Colafigli che replica: «… eh bravo bravo, organizza organizza…». Nel corso delle successive conversazioni si apprende che Naser Xhylani «vantava una significativa esperienza nel traffico di stupefacenti, potendo fare affidamento sul contatto diretto con il cartello colombiano del Gordo del quale riferiva di averne fatto parte», riporta ancora il gip. Nei giorni successivi, come ricostruito dagli inquirenti e riportato nell’ordinanza, i preparativi vanno avanti, con Colatigli che programma la partenza per Napoli, disponendo che Brunetti avvertisse Riccardo Tinti di mantenere i contatti con i finanziatori. Ma è il 18 agosto 2020 quando Damato Savino, Brunetti Alessandro ed i due albanesi Hyseni Erion e Xhylani Naser si recavano a casa di Colafigli, «affrontando esplicitamente l’argomento inerente la spedizione del carico, il prezzo dello stupefacente ed i costi per il trasporto», annota il gip nell’ordinanza.

I “calabresi”

«(…) Biondo, senti un attimo… lavoriamo, mi sono rotto le palle… te lo dico proprio… mi sono rotto le palle (…) lavoriamo, fammelo arrivare… me la guardo io… me la guardo io la cosa, hai capito?». A parlare è proprio Marcello Colafigli mentre discute con l’albanese Hyseni il “Biondo”. Ed è in questo frangente che entrano in “scena” i calabresi. «(…) no, no sentimi a me… con i cosi che dici con i calabresi? Perché i calabresi ormai… tutto, adesso ti spiego una cosa… facciamo quant’è 18?» e l’albanese replica: «No ma è buono pure quel lavoro là… lo facciamo pure noi… con i calabresi abbiamo parlato… loro già hanno i ragazzi là…». Xhylani entra nella discussione e dice: «… ma a Napoli non possiamo andare eh… è agosto…». Allora Hyseni spiega: «(…) da dove mandiamo noi il lavoro in Sud America non c’è il diretto per Gioia Tauro…allora va per Panama…». 


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I Molè di Gioia Tauro

È nel dialogo del successivo 24 agosto che gli inquirenti apprendono come Colafigli stesse curando contatti con un altro canale, quello della famiglia calabrese dei Molè di Gioia Tauro, «tramite la quale avrebbe eventualmente effettuato l’importazione del carico di cocaina dalla località colombiana», riporta il gip nell’ordinanza. «… senti e lui ce I’ha l’aggancio Zio là con la famiglia? Molè… perché io non l’ho mai sentita questa famiglia Molè…» dice il “Biondo” mentre discute con Savino Damato e Alessandro Brunetti, con quest’ultimo che risponde: «Sì Molè… è calabrese», dimostrando di conoscere la nota famiglia della ‘ndrangheta calabrese. Qualche giorno dopo è proprio Marcello Colafigli a confermare che la famiglia calabrese a cui facevano riferimento nella conversazione era proprio quella dei Molè di Gioia Tauro. «(…) è quello lì dei calabresi che hanno la merce…» «Molè di Gioia Tauro». (g.curcio@corrierecal.it)

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