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inchiesta “arangea”

‘Ndrangheta a Reggio, la pressione dei clan e le “autorizzazioni” alle imprese per i lavori. «Prima di iniziare me lo dovete dire»

Anche semplici lavori di pulizia e di scarso valore economico dovevano essere comunicati. «Voi venite quando siete già là con le ruspe a dirmelo?»

Pubblicato il: 05/06/2024 – 10:25
di Mariateresa Ripolo
‘Ndrangheta a Reggio, la pressione dei clan e le “autorizzazioni” alle imprese per i lavori. «Prima di iniziare me lo dovete dire»

REGGIO CALABRIA Semplici lavori di pulizia «(…) erba stanno togliendo», e di scarso valore economico, che comunque nelle logiche di ‘ndrangheta dovevano avere “autorizzazione” da parte della cosca di riferimento. Il modus operandi è sempre lo stesso ed è quello che tante inchieste hanno documentato. Questa volta il quadro viene delineato dalla Dda di Reggio Calabria che con l’inchiesta “Arangea” ha ricostruito dinamiche, assetti delle ‘ndrine nel quartiere nella periferia sud di Reggio Calabria e il controllo asfissiante sulle attività commerciali della città. Controllo che, ha spiegato in conferenza stampa il procuratore della Repubblica Giovanni Bombardieri, riguardava «addirittura le opere di pulizia degli esercizi commerciali e ogni attività edilizia, un controllo soffocante di ogni attività economica su questi territori». «C’è veramente – ha rimarcato il procuratore Walter Ignazitto, titolare dell’indagine – un controllo asfissiante persino quando si devono ricostituire le facciate, quindi un intervento di minimale importanza, su cui doveva intervenire la cosca. Qualunque tipo di attività economica doveva essere sottoposta al preventivo controllo, al preventivo nulla osta». 


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La richiesta di “autorizzazioni” dalle cosche

«Come si confà alle solite metodologie mafiose di controllo asfissiante del territorio, – si legge nelle pagine dell’ordinanza – anche nel caso di specie l’attività di indagine ha consentito di accertare l’ennesimo condizionamento stringente delle attività imprenditoriali, specie nel settore dell’edilizia, messo a punto dai sodali». Tanto è emerso da alcune intercettazioni sull’effettuazione di lavori non preventivamente “autorizzati” dal capocosca Demetrio detto “Mico” Palumbo, che in una conversazione captata il 3 novembre 2019, parlando con Vincenzo Autolitano, chiedeva conto di alcuni lavori di pulizia in corso presso un esercizio commerciale, al fine di verificare se la relativa “autorizzazione” fosse stata data da lui e per comprendere la natura dei lavori in questione e il relativo valore «Ma è assai? (…) Pulizia, sì». Lavori di poco conto, assicura Autolitano «No, pulizia. (. .. )Erba stanno togliendo», ma il cui “permesso” era stato concesso da esponenti della cosca Serraino, si giustifica con il capocosca: «(…) li hanno mandati i Serraino, non io…». Autolitano – ricostruiscono gli investigatori – ne era venuto a conoscenza solamente in occasione di un acquisto effettuato presso il suo negozio dall’imprenditore incaricato dei lavori» e aveva «redarguito l’imprenditore in quanto riteneva che si fosse presentato da lui solo a lavori iniziati, in violazione di un’inderogabile regola di ‘ndrangheta».

L’avvertimento

«Gli ho detto: ma voi con chi avete parlato, che avete incominciato i lavori, che siete entrati? Voi venite quando siete già con le ruspe là a dirmelo? Dice – no mi hanno mandato i Serraino -. Ah, se vi hanno mandato i Serraino si prendono la responsabilità i Serraino. È diverso». In perfetto stile mafioso, – si legge – Autolitano aveva richiamato l’imprenditore al rispetto di un modus procedendi da tempo radicato in terra di ‘ndrangheta. Ed è così che lancia un vero e proprio avvertimento: «Gli ho detto io – non funziona così. Prima di iniziare me lo dovete dire, io vado da chi devo andare, metto a conoscenza e poi…». (m.ripolo@corrierecal.it)

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