LAMEZIA TERME Una posizione apicale all’interno della cosca, ruolo ricoperto e condiviso insieme ai nipoti. Perché alla morte del capo indiscusso, Vincenzo Bonavota, avvenuta nel 1998, c’era bisogno di un successore pronto a tenere le redini di una famiglia segnata, ma comunque in ascesa nel panorama criminale del territorio vibonese. Domenico Cugliari, classe ’59, noto come “Micu ‘i Mela”, è infatti lo zio di Nicola, Domenico e Pasquale Bonavota, e al termine del processo Rinascita-Scott, i giudici lo hanno condannato a 28 anni di carcere, proprio insieme ai nipoti rampolli del clan di ‘ndrangheta di Sant’Onofrio.
Come riportato nelle centinaia di pagine delle motivazioni, Cugliari si «era trasferito in Piemonte, a Carmagnola, luogo in cui era già emersa l’esistenza di un locale di ‘ndrangheta costituita dalla famiglia Bonavota» e dove lo stesso Cugliari aveva fatto diversi investimenti in varie attività economiche, scampando anche all’inchiesta “Uova del drago” dove inizialmente era stato raggiunto da un’ordinanza di custodia cautelare, senza però essere rinviato a giudizio.
Sul conto di “Micu ‘i Mela” hanno riferito numerosi collaboratori, rendendo dichiarazioni convergenti e ulteriormente corroborate da ulteriori dati, anche intercettivi. Come, ad esempio, quelle di Loredana Patania, risalenti al 2013, acquisite in udienza nel 2022. «Il “burattinaio” o referente della famiglia Bonavota è tale Domenico Cugliari detto “Micu i Mela”, in sostanza è lui che prende le decisioni che riguardano tutta la famiglia come ad esempio gli omicidi. Dico ciò in quanto mio marito e Bartolotta ne parlavano in mia presenza, ad esempio, ha deciso l’omicidio di Antonino Lopreiato e che aveva detto a mio marito ed a Bartolotta che si sarebbe occupato lui stesso della vendetta dell’omicidio di Salvatore Foti». «Cugliari è zio dei Bonavota e tra questi io conosco bene Nicola Bonavota che aveva il bar a Sant’Onofrio dove io facevo colazione senza mai pagare». Anche un collaboratore eccellente come Raffaele Moscato ha inserito Domenico Cugliari tra i vertici della consorteria, precisando che, «nel periodo in cui era in corso la faida Piscopisani-Patania, nel corso della quale i Bonavota appoggiavano i primi, e, in particolare, nel contesto del l’organizzazione dell’omicidio ai danni di uno dei fratelli Patania» “Micu i Mela” avrebbe «fornito un’arma e, in particolare, una “357 Magnum”. Andrea Mantella, invece, altro collaboratore di giustizia di spicco, ha spiegato che «Micu i’ Mela, alla morte di Vincenzo Bonavota, aveva assunto la direzione dell’associazione, in quanto i figli erano troppo giovani». Dal 2003 in poi, è Pasquale Bonavota a subentrare come “Capo Società” mentre Domenico Cugliari era un “sotto-capo”. Il capo militare era, invece, Domenico Bonavota».
«(…) un giorno prima di collaborare con la giustizia io ero a tutti gli effetti con i Bonavota… insomma, mi hanno sempre tenuto in considerazione in tutto e per tutto… per me la parte più dolorosa della mia collaborazione, perché io gli volevo bene, li stimavo, però purtroppo le cose sono cambiate. Fino al giorno prima di collaborare io li ho sempre amati, non li ho mai traditi, non ho mai parlato male, però poi tecnicamente le cose si separano… è come un intervento chirurgico, o va bene o va male. Purtroppo, è andata così, oggi è così. Mi dispiace per loro…». Questo il racconto dell’imputato Andrea Mantella nel corso del dibattimento in aula bunker, rispondendo alle domande del pm della Dda di Catanzaro, Antonio De Bernardo.
«(…) Lì la baracca tu lo sai chi la tiene? Lo vuoi sapere chi la tiene la baracca? Bruno Giuè e Micu i Mela che sono cinquant’anni che la tengono… Gli hanno fatto mai qualcosa? (…) I figli li ha salvati Micu i Mela…». Questa è una delle frasi più significative captate dagli inquirente e finite agli atti della maxinchiesta, risalente al 19 maggio 2017, presso il Gazebo Esso di Pizzo. A pronunciarle, mentre parla con il nonno, è Luca Belsito (cl. ’90) «risultato pienamente inserito nell’articolazione dì Pizzo e condannato in primo grado in abbreviato per il delitto associativo», annotano i giudici delle motivazioni. «… che gli prendono, a nonno, che questi lo sai quanti ne hanno soldi, una tonnellata (…) in ogni buco hanno soldi (…) Ce li hanno nei fusti (…) Noi stiamo parlando e loro stanno incassando, ma incassano venti mila euro al mese. La forza… è il potere economico (…) Il potere economico è la forza delle persone». Per i giudici, dunque, Domenico Cugliari (cl. ’59), «riveste un ruolo di vertice nella struttura della consorteria, ruolo riconosciutogli in maniera incontrastata anche dagli appartenenti alle altre articolazioni di ‘ndrangheta». (g.curcio@corrierecal.it)
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