Ultimo aggiornamento alle 8:01
Corriere della Calabria - Home

I nostri canali


Si legge in: 7 minuti
Cambia colore:
 

La testimonianza

La traiettoria di speranza di quei ragazzi strappati a un destino di ‘ndrangheta

In un’audizione in Commissione parlamentare antimafia il giudice Di Bella spiega genesi, motivi e finalità del progetto “Liberi di scegliere”

Pubblicato il: 09/06/2024 – 10:32
La traiettoria di speranza di quei ragazzi strappati a un destino di ‘ndrangheta

LAMEZIA TERME «Cambiare i destini e le traiettorie di vita che apparentemente sono ineluttabili». La “rivoluzione” è al tempo stesso sociale e culturale, è la “rivoluzione” nata con il progetto “Liberi di scegliere”, un progetto che punta a strappare i ragazzi dai contesti familiari di ‘ndrangheta e di mafia. Un progetto che ha ormai preso piede e sta diventando sempre più un protocollo antimafia a livello governativo, sull’onda dell’esperienza avviata dal magistrato Roberto Di Bella quand’era presidente del Tribunale dei minori di Reggio Calabria, e ormai lanciata dopo aver vinto resistenze e diffidenze, e incrostazioni anche ambientali pesantissime. Quelle che lo stesso Di Bella, oggi presidente del Tribunale dei minori di Catania, descrive in una audizione in Commissione parlamentare antimafia. Un’audizione che è un viaggio in una realtà complicata ma non irrecuperabile, anzi il progetto “Liberi di Scegliere” getta un fascio di speranza e di luce in fondo al tunnel.

Roberto Di Bella

La nascita del progetto

«In 25 anni a Reggio Calabria – spiega Di Bella ai commissari di Palazzo San Macuto – mi sono trovato, assieme ai colleghi del Tribunale per i minorenni, a processare tanti minorenni appartenenti ai contesti di criminalità organizzata. Addirittura, nell’arco di 25 anni, mi sono passati davanti prima i padri e poi i figli. È la conferma che, a certe latitudini, la cultura di mafia e di ‘ndrangheta si eredita all’interno della famiglia o comunque si assorbe nel contesto locale in cui si cresce. Insieme ai colleghi, di fronte all’orrore di tante vicende che hanno visto protagonisti o vittime minorenni, abbiamo pensato che bisognava fare qualcosa in più. Non limitarsi ad aspettare il momento penale, che magari arriva troppo tardi, ma di anticipare gli interventi a tutela, quindi i livelli di protezione. Lo abbiamo fatto provando a censurare il modello educativo mafioso, così come si censurano le condotte dei genitori maltrattanti. Nelle situazioni di concreto pregiudizio abbiamo iniziato, per evitare progressioni criminali altrimenti inarrestabili o situazioni di pregiudizio per il regolare sviluppo psicofisico di questi bambini, di questi ragazzi, ad allontanarli momentaneamente dal loro contesto, inserendoli in strutture comunitarie, anche in famiglie di volontari antimafia».  Di Bella tiene anzitutto a precisare che «sono provvedimenti che vengono adottati nell’ambito di una cornice costituzionale ben precisa. Ripeto, non siamo degli avventurieri del diritto, ma ci muoviamo sulla base di norme ben precise, caso per caso, in presenza di situazioni estreme di pregiudizio che ci impongono di non voltarci dall’altra parte e di intervenire. L’obiettivo – sottolinea il magistrato – è quindi assicurare immediate tutele per una regolare crescita psicofisica. Nel contempo, nelle situazioni estreme, allontanando i ragazzi dal loro contesto, cerchiamo di ampliare i loro orizzonti culturali proprio per consentire di operare quelle infiltrazioni di cultura che possano renderli liberi di scegliere. Diciamocelo chiaramente se un ragazzo proviene da un quartiere o da una famiglia disagiata, penso a città come San Luca, Bovalino, Africo, Archi o da quartieri di Catania come Librino o San Cristoforo, dallo Zen di Palermo, da Scampia di Napoli e se tutti i familiari sono intrisi di cultura mafiosa e magari non ti mandano a scuola, la devianza è una strada sostanzialmente già predestinata. Ci siamo prefissi di provare a cambiare i destini e le traiettorie di vita che apparentemente sono ineluttabili. Abbiamo iniziato nel 2012. Stiamo aiutando veramente tanti ragazzi».

L’evoluzione del progetto

E l’evoluzione del progetto “Liberi di scegliere” è nei fatti, aggiunge Di Bella all’Antimafia: «Quello che è accaduto di molto interessante è che ci siamo imbattuti nella sofferenza. Abbiamo il contatto con le famiglie e vediamo che le mafie provocano sofferenza non soltanto alle vittime dei reati ma anche all’interno delle famiglie, anzi, le prime vittime delle mafie sono proprio i bambini e le donne di mafia. Ci siamo imbattuti nelle richieste di aiuto di molte madri. Superata magari una prima fase di contrapposizione anche aspra verso i provvedimenti, quando queste donne si sono rese conto che non sono punitivi ma hanno come un unico obiettivo quello di tutelare i loro figli, queste donne non si sono più opposte, anzi hanno assecondato i percorsi di accompagnamento. Molte di loro ci hanno chiesto di andare via dai contesti di mafia, dalla Calabria e anche da Catania…. Questo progettosta alimentando speranze laddove – evidenzia il magistrato – sembrava che non potesse esservi speranza. Dico sempre che l’amore per i figli e la consapevolezza che c’è uno Stato pronto a tendere la mano, ha consentito a molte donne di “varcare il Rubicone”, di fare delle scelte impensabili nei loro contesti… Al momento, pensate, più di 150 minori sono tutelati, 30 donne sono andate via da quei contesti, 7 di loro sono diventate collaboratrici o testimoni di giustizia, ma è accaduto anche di più. I provvedimenti sulla responsabilità genitoriale hanno toccato le corde emotive anche di importanti boss detenuti. Abbiamo avuto delle collaborazioni in Calabria, e di recente anche a Catania, agevolate proprio dai nostri provvedimenti, hanno fatto riflettere queste persone che hanno deciso per i loro figli, ma addirittura per i loro nipoti».

Una scena della fiction Rai ispirata a “Liberi di scegliere”

Le sinergie non solo istituzionali

«E’ bene che tutti siano sensibilizzati su questi temi», rimarca poi Di Bella in Antimafia. «A scuola – afferma – dobbiamo parlare di mafie non lasciando questi compiti agli insegnanti che non sempre hanno la formazione professionale, ma occorrono programmi e progetti ben strutturati. Dobbiamo demistificare il modello e il mito mafioso che affascina tanti ragazzi. In Calabria, in Sicilia, ma anche in Campania i ragazzi sono affascinati dal mito del boss… Dal punto di vista strettamente operativo il progetto vuole la presenza dello Stato importante, ma anche uno stretto collegamento con le realtà associative antimafia che possono muoversi in maniera più agile rispetto a quella che è a volte la lentezza dello Stato. Lo Stato deve esserci, deve avere la regia, ma serve una sinergia tra pubblico e privato sociale qualificato». Questo perché per Di Bella «la lotta alle mafie passa anche dalla prevenzione. Se, a distanza di un secolo, imperversano nel Mezzogiorno d’Italia, e non solo, le stesse organizzazioni criminali e questo nonostante lo Stato abbia affinato le sue armi, vuol dire che qualcosa è mancato, è mancato il livello di prevenzione. Bisogna aggredire questo fenomeno alla sua genesi e la genesi è la questione culturale e la questione minorile. Se andiamo ad analizzare la storia italiana degli ultimi 40-50 anni, tutti i grandi boss siciliani, calabresi, campani, in Sicilia Brusca, Provenzano, Riina, in Calabria De Stefano, Piromalli, Molé, in Campania Giugliano, sono stati ragazzi di un quartiere difficile, di un contesto familiare disagiato che, nella disattenzione delle istituzioni, hanno compiuto la loro ascesa criminale. Questi ragazzi, che prima ancora di essere boss erano ragazzi come tutti gli altri, hanno trovato nelle mafie un welfare, un appagamento identitario, condizioni di riscatto economico e sociale. Questo non dimentichiamocelo mai. Questo tema credo sia di fondamentale importanza e non sempre è stato all’attenzione del dibattito politico». «Per questo sollecito qui la vostra attenzione, è l’esortazione di Di Bella all’Antimafia non prima di aver puntualizzato che comunque servono anche i finanziamenti giusti «se vogliamo programmare e progettare bene, affinare, come si suol dire, le armi». Infine, Di Bella individua anche il ruolo delle Regioni, che – sostiene – «sono molto importanti. Devono aiutare gli enti locali nella programmazione, ma anche sostenerli da un punto di vista economico. Le eventuali fonti di finanziamento al progetto potrebbero quindi arrivare dalla legge nazionale, ma anche dal coinvolgimento delle regioni, quantomeno quelle del Mezzogiorno d’Italia che sono più coinvolte in questi fenomeni deteriori. La regione Calabria ha approvato una legge che prevede proprio lo studio in tutte le scuole di ogni ordine e grado calabresi del progetto “Liberi di scegliere”, facendo leva sul film, una bella fiction della Rai e, bontà loro, anche sul mio libro omonimo. Stiamo toccando le corde emotive di tantissimi adolescenti in Calabria». (c. a.)

Il Corriere della Calabria è anche su WhatsApp. Basta cliccare qui per iscriverti al canale ed essere sempre aggiornato

Argomenti
Categorie collegate

Corriere della Calabria - Notizie calabresi
Corriere delle Calabria è una testata giornalistica di News&Com S.r.l ©2012-. Tutti i diritti riservati.
P.IVA. 03199620794, Via del Mare, 65/3 S.Eufemia, Lamezia Terme (CZ)
Iscrizione tribunale di Lamezia Terme 5/2011 - Direttore responsabile Paola Militano
Effettua una ricerca sul Corriere delle Calabria
Design: cfweb

x

x