REGGIO CALABRIA «La mia vita è, giardino, lavoro e i bergamotti con la ditta di mio suocero che ha aperto un’azienda… io operaio sono… non vedo a nessuno, non mi vedo con nessuno… non mi vedrete mai a me al bar!». Con una certa soddisfazione Carmelo “Memè” Gullì spiega al presunto capocosca, compare Mimmo Palumbo, il suo “stile di vita” lontano dai guai e, soprattutto, dai riflettori della forze dell’ordine. Secondo quanto emerso dall’inchiesta “Arangea” della Distrettuale antimafia di Reggio Calabria e come riportato nell’ordinanza dal gip, «Demetrio Palumbo si dimostrava inserito nelle dinamiche di ‘ndrangheta» costituendo di fatto «parte attiva e organizzatore per il conferimento di doti e per le affiliazioni di nuovi consociati».
Ed è per queste ragioni che si trova a discutere con Memè Gullì, nel tentativo di comprendere se avesse precedenti penali. «(…) incensurato sai che vuole dire? Se tu hai avuto a che fare con definitivi…». «Quale incensurato! Io incensurato?» risponde Gullì ridendo, come annota il gip nell’ordinanza. Come abbiamo già riportato, gli interlocutori si scambiavano consigli per sottrarsi alle investigazioni, e in questo contesto Demetrio Palumbo, «dimostrando una esperienza fuori dal comune, riteneva che, nella selezione dei soggetti da elevare ai ranghi più elevati della cosca, fosse necessaria maggiore accortezza», scrive il gip. I due, nella conversazione intercettata, parlano di un soggetto non identificato, portando Palumbo a promettere «il conferimento in suo favore di una dote e ad assicurare analogo riconoscimento per gli altri ragazzi», si legge nell’ordinanza, annunciando che si sarebbe rivolto a Sebastiano Praticò detto “Bastiano” affinché conferisse le opportune doti di ‘ndrangheta. Poi Mico Palumbo «prospettava a Memè Gullì di procedere, in modo riservato, alla successiva nomina delle due cariche di “contabile” e “capo società”» sempre preservando il ruolo di Sebastiano Praticò detto “Bastiano”.
Nei giorni successivi, è l’1 ottobre 2019, Demetrio Palumbo si incontra con Domenico Modafferi a cui dava l’incarico di organizzare un incontro tra lui e Memè Gullì «finalizzato alla pianificazione dei conferimenti di mafia», si legge nell’ordinanza. Secondo gli inquirenti, e come riportato dal gip, Modafferi «affatto ignaro di certe dinamiche, non soltanto veniva eletto quale messaggero ma veniva anche informato del contenuto dell’incontro e incaricato di occuparsi poi con Gullì delle operazioni». Passano però i mesi senza che accada nulla, tant’è che gli inquirenti riescono a captare novità solo il 25 gennaio del 2020 quando cioè Demetrio Palumbo, non avendo avuto notizie di Gullì, interpellava di nuovo Modafferi il quale, da parte sua, ammetteva di non aver avuto seguiti da riferire. «(…) gli devi dire “vedi che compare Mimmo aveva parlato con… praticamente che era deliberato”». Così Palumbo spiegava all’altro quanto avrebbe dovuto dire a Memè Gullì, ribadendo la necessità di incontrarlo. «(…) E … le cose in sospeso … non mi è piaciuto mai lasciarle! Se lui non è venuta, Memè… vuol dire che… se non gli ha detto niente … vuol dire non ha fatto un discorso completo con coso! Io non è che mi posso spostare un’altra volta per vederlo!».
«Ah Mimmo, lo vedi a Domenico? Per sabato? Venerdì… per domenica… alle 11…». A fine mese, è il 31 gennaio 2020, Palumbo ordina al nipote di organizzare un incontro con Domenico Modafferi per il 2 febbraio. L’incontro verrà poi monitorato dalle forze di polizia. Sarà poi il 3 febbraio 2020 quando Demetrio “Mico” Palumbo e il figlio “Nino” «tornavano nuovamente a discutere dell’incontro del 26 gennaio che il Palumbo aveva avuto con Memè Gullì», annota il gip nell’ordinanza. E, in quella occasione, Nino lo informava di aver appreso da un componente della Polizia di Stato che quel giorno il padre era stato fotografato con un soggetto sconosciuto alle forze dell’ordine e registrazioni che personale della Polizia di un sistema di videosorveglianza. «(…) senti… stamattina è venuto uno che conosco in Questura, dice che ti hanno fatto fotografie… là sotto e sono andati a chiedergli le telecamere a quello della macelleria…». E ancora: «Dice che forse c’era uno dice che forse non… non sanno chi è!». E il padre risponde: «Ah sì! Ero con coso, con Mimmo! Sì, l’ho vista che mi ha fatto la fotografia… ero con Memè… la femmina!». Secondo gli inquirenti, e come si legge nell’ordinanza, lo stesso Palumbo, ricordando l’occasione, «in un primo momento sembrava trascurare il pericolo di una identificazione del suo interlocutore» ma, appreso dal figlio Antonino che Gullì aveva precedenti penali, si diceva certo che, in caso di approfondimenti investigativi, avrebbe potuto giustificare quell’incontro per via di una lunga e datata conoscenza con Gullì.
«(…) mi ha fatto la fotografia mentre io andavo per là, loro sono tornati e io a lei l’ho vista a lei, la femmina che mi ha fatto la fotografia… ma non me l’ha fatta là con lui… anche se praticamente, in quel momento… si è rotta la bicicletta e si è fermato, conoscendomi, l’ho visto crescere…». Nel corso della conversazione intercettata dagli inquirenti, Nino Palumbo, a proposito della conoscenza dell’appartenente alla Polizia di Stato, «sottolineava come questo fosse un suo cliente e che lo aveva messo in guardia su quanto fosse integerrimo il collega» che aveva proceduto all’acquisizione delle registrazioni delle telecamere. «(…) questo qua, è un cliente mio, però ha detto che il suo collega, dice: “Nino, è un cane!”» «“se lo prende di faccia” mi ha detto “non guarda niente!”. Dice “ce lo guardiamo pure noi”». (g.curcio@corrierecal.it)
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