VICENZA Frammenti dell’impronta di un pollice (sul silenziatore di una pistola), e vecchie tracce di Dna rimaste su un guanto in pelle, riportate ‘in vita’ degli esperti di genetica forense. Questi gli elementi che hanno permesso di riaprire un “cold case” di 33 anni fa, il duplice omicidio a Vicenza dell’avvocato Pierangelo Fioretto e della moglie Mafalda Begnozzi, ed individuare uno dei presunti autori materiali, Umberto Pietrolungo, 58 anni, di Cetraro (Cosenza) affiliato alla cosca ‘ndranghetista dei Muto. Manca ancora il movente, ha spiegato il Procuratore di Vicenza Giorgio Bruno, ma le indagini proseguono per assicurare alla giustizia un complice di Pietrolungo ed i mandanti.
Il 58enne è stato raggiunto dall’ordinanza di custodia per omicidio nel carcere di Cosenza, dov’è detenuto per altri reati. La svolta, a distanza di così tanto tempo, ha detto in conferenza stampa Bruno, è arrivata grazie all’evoluzione delle tecniche di comparazione del Dna e delle tracce papillari. Trattandosi di omicidio, il caso non poteva cadere in prescrizione. L’inchiesta nel frattempo era stata archiviata, ma continuava ad essere seguita in fase peritale, con periodici esami sul materiale raccolto dalla Polizia scientifica. Fino a che la Procura ha avuto gli elementi necessari per chiudere l’indagine. I faldoni erano stati già ripresi in mano nel 2012, quando il Ministero dell’Interno creò la squadra speciale per i delitti irrisolti, e grazie all’impiego di nuove tecnologie forensi. Il dna dell’uomo sospettato di aver sparato in Contrà Santa Lucia a Vicenza era stato isolato in un laboratorio romano, dopo che l’ex capo della ‘mobile’ vicentina aveva ritrovato nei sotterranei del Tribunale i reperti risalenti al 1991: tra questi, gli abiti indossati da Fioretto, le scarpe della moglie, le pistole (con silenziatori relativi) trovate lungo la via di fuga usata dal killer, e tre guanti; i frammenti dei primi due, in lattice, per uso chirurgico, e il terzo un guanto in pelle, con ancora tracce di polvere da sparo. L’avvocato Pierangelo Fioretto e la moglie, Mafalda Begnozzi, furono freddati la sera del 25 febbraio 1991, nel cortile della loro casa. Fioretto stava rientrando a casa dallo studio legale, dopo aver lavorato tutto il giorno. Trovò due uomini che lo stavano aspettando armati di pistole: fu una esecuzione in piena regola, quattro colpi di pistola, l’ultimo alla nuca. Sentendo gridare, Mafalda Begnozzi uscì di casa per soccorrere il marito, ma fu uccisa a sua volta, sempre con un ultimo proiettile alla nuca. Movente e mandanti non furono mai individuati. E pressoché certo, ha sottolineato Giorgio Bruno, Pietrolungo – all’epoca 25enne – non abbia agito per interesse personale nell’omicidio di Fioretto. «Sullo sfondo – ha detto il procuratore – resta sicuramente un mandante, e l’impegno, a distanza di oltre 30 anni, sarà quello di individuare altre persone coinvolte nella vicenda”. Ovvero, capire perché, chi voleva uccidere Fioretto, si sia rivolto ad un killer dell’ndrangheta. (ANSA)
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