REGGIO CALABRIA Vere e proprie manipolazioni del voto. Un sistema «tanto spregiudicato, quanto rodato e ramificato, di brogli finalizzati a condizionare il libero esercizio del voto e alterare i risultati elettorali» in occasione delle consultazioni regionali e comunali 2020. Lo stratega dei brogli elettorali a Reggio Calabria, per la Dda, era Daniel Barillà, genero del boss Domenico Araniti e «regista – per conto della ‘ndrina – di un serrato controllo, volto a monitorare ed orientare il voto dei residenti nel comprensorio di competenza della cosca. L’obiettivo era favorire i candidati prescelti, come emerge dall’inchiesta “Ducale”, si tratta del consigliere regionale di Fratelli d’Italia Giuseppe Neri e del consigliere comunale in quota Pd Giuseppe Francesco Sera, candidato nella compagine a sostegno del sindaco Giuseppe Falcomatà. Tutti e tre risultano indagati. Come emerge dalle intercettazioni Neri, Sera e Falcomatà dialogavano con Barillà, con lui si confrontavano sui possibili risultati elettorali e a lui chiedevano «una mano» per prevalere sugli avversari politici.
Influenza e condizionamento del voto, ma non solo. Barillà era stato in grado di studiare un sistema per mettere in atto veri e propri brogli, attraverso l’aiuto di complici all’interno dei seggi. Brogli – è la ricostruzione della Dda – che erano attuati grazie «all’autorevolezza che Barillà si era conquistato sul territorio, proprio in quanto appartenente al casato mafioso diretto dal proprio suocero. Era gioco facile per lui – in un contesto caratterizzato dall’ossequiosa riverenza verso la famiglia Araniti – trovare compiacenti componenti dei seggi elettorali, individuare rappresentanti di lista utili alla causa e fare incetta di certificati elettorali per modificare artatamente l’esito del voto».
«Dal novero delle intercettazioni – scrive la polizia giudiziaria – affiorava un apparente immotivato interesse, da parte di Daniel Barillà, per la “Sezione 88” ovvero quella che insiste all’interno dell’edificio scolastico che sorge nella via Mario Cagliostro di Sambatello e che quindi raccoglie le espressioni di voto dei residenti del suddetto comprensorio». Attraverso una attenta analisi e un accurato monitoraggio dei componenti del seggio si arriva al nome di Martina Giustra, considerata «pedina fondamentale per i brogli elettorali funzionali alla vittoria dei candidati scelti dalla cosca». Secondo la Procura gli altri complici per mettere a segno il colpo dei brogli sono, oltre a Barillà e Giustra, Natale Corsaro, Antonio Dascola e Caterina Iannò, tutti indagati e destinatari di misure cautelari.
Barillà si premurava di collocare rappresentanti di lista di sua fiducia, nelle sezioni comprese tra le frazioni di Gallico e Sambatello. «Questo per due ordini di ragioni: – si legge nell’ordinanza – in primis perché il rappresentante di lista ha la possibilità, pur essendo appartenente ad un’altra sezione, di esprimere la propria preferenza all’interno del seggio cui è assegnato; in secundis perché la presenza di rappresentanti di fiducia è funzionale al progetto di alterazione delle operazioni di voto, avendo questi ultimi la possibilità di spostarsi tra l’interno e l’esterno del seggio stesso».
I componenti del gruppo, secondo l’accusa, «facevano incetta ed indebito uso di tessere elettorali di terzi soggetti, al fine di votare senza averne diritto o comunque di votare più di una volta, quindi formavano falsamente, in tutto o in parte, e comunque contraffacevano e/o alteravano le schede e gli altri atti destinati alle operazioni elettorali».
Barillà, Corsaro e Dascola, d’intesa con Giustra, si procuravano tessere elettorali di soggetti che non potevano o non intendevano esprimere legittimamente il loro voto, recandosi presso il seggio elettorale; compilavano le schede esprimendo il voto in favore di candidati di loro gradimento (Neri e Sera) e le consegnavano, clandestinamente, alla scrutatrice compiacente, unitamente alle tessere elettorali e ai documenti di riconoscimento degli elettori assenti. La Giustra inseriva le schede nell’urna e annotava (falsamente) l’avvenuta manifestazione del voto (con l’indicazione del numero delle tessere elettorali e dei documenti di riconoscimento) nei registri e nelle liste elettorali così determinando anche la falsa indicazione – operata dal presidente e dal segretario dell’ufficio elettorale, indotti in errore. Caterina Iannò, scrive l’accusa, nella qualità di scrutatrice del seggio della Sezione 88, dava supporto operativo a Giustra, le «forniva informazioni sugli spostamenti e le assenze del Presidente del Seggio (al fine di eluderne la sorveglianza), ometteva di intervenire — pur avendone il dovere — per evitare la consumazione dei falsi e delle contraffazioni degli atti elettorali di cui condivideva la responsabilità».
«Noi prendiamo e facciamo tutto, capisci? Però tu invece di darmi … quella… questa qua, guarda… senza che tu mi lasci questa qua che è più seria giustamente… noi scriviamo questo qua… il numerino… capisci? Così poi quella… questa è una cazzata voglio dire no», spiegava Barillà a un tale al quale domandava «tua sorella e company … che fanno», dicendosi sicuro del fatto che «secondo me neanche vanno, no? può essere». Il riferimento ovviamente era all’esercizio o meno del voto, e la spiegazione riguardava il sistema per votare con schede elettorali di persone che altrimenti non sarebbero andate. Barillà chiedeva al suo interlocutore di essere eventualmente allertato nel caso in cui i soggetti di suo interesse, decidessero di recarsi alle urne: «informati solo se vanno, se ma vanno giustamente… ma se non vanno… ». (m.ripolo@corrierecal.it)
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