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Diario di uno scrutatore

«Si disse che era un omicidio a scopo di rapina quando lo trovarono in casa legato sulla sedia. Ma del fatto che fosse morto nessuno si convinse se non dopo che si furono celebrati i funerali e pa…

Pubblicato il: 14/06/2024 – 8:07
di Gioacchino Criaco

«Si disse che era un omicidio a scopo di rapina quando lo trovarono in casa legato sulla sedia. Ma del fatto che fosse morto nessuno si convinse se non dopo che si furono celebrati i funerali e passò una settimana dalla sepoltura in terra cruda. Lo chiamavano Gesù, all’anagrafe Giosefatto Barranco, 70 anni di professione pittore. Di fatto scrutatore elettorale, che fu da sempre il suo lavoro vero, fonte dei suoi guadagni e causa della vendita cospicua delle nature morte e dei ritrattini che dipingeva o diceva di dipingere. La rapina apparve a tutti strana: perché cose di valore non si sapeva ne possedesse, i soldi li aveva nel conto alle poste e i quadri sembravano avere valore solo per i suoi acquirenti, sul mercato non vi era una loro quotazione. E strano fu il fatto che la morte sopravvenne a una sua misteriosa convocazione in procura qualche giorno prima del fatto. Gesù lo chiamavano perché dicevano che tenesse in vita i morti, giacché nella sua sezione elettorale andava regolarmente a votare gente sparita dalla circolazione da quarant’anni, straliani e mericani migrati già ai tempi dei bastimenti. In verità, Barranco, ci era sempre stato attento, i morti li aveva sempre scansati, aveva pescato fra tutti, emigrati, malati, moribondi, carcerati, ma i morti mai. Quelli dei morti, voti, non si possono giustificare, uno, due al massimo possono passare da errori, se scoperti, ma i morti a iosa no, errori da dilettanti. A giro governava una delle cinque sezioni del suo seggio, ognuna da 1200 elettori, con mai meno di 500 assenti per motivi vari da gestire a piacimento. I suoi traffici valevano meno nelle elezioni nazionali, erano oro nelle regionali, platino nelle provinciali, diamante nelle comunali. Con cento voti si determina il sindaco, con duecento il consigliere provinciale, con cinquecento si manda uno al palazzo della regione.Giosefatto pur non essendo Gesù era un mago, negli anni aveva imparato ogni trucco, anzi i trucchi se li era inventati: Vito Sergi, comunista convinto era riuscito a entrare in Russia, non ne era più uscito, ma pure se nessuno l’aveva visto in paese aveva assolto il dovere del voto ad ogni tornata elettorale, pure per il referendum sulla caccia aveva imbucato nell’urna la propria scheda. Giosefatto conosceva ogni segreto dell’urna, indovinava il voto da uno sguardo fugace a chi, da un finto non saluto, da un’occhiata alle liste appese, dal tempo passato in cabina, osservava le posture, a volte fingeva di imbucare le schede le metteva da parte e le sbirciava. Poteva dire chi era amante di chi, cosa e come si mangiava a casa del votante, come e quanto ci si lavava. Sapeva tutto di tutti e prossimo a non poter esercitare più la professione per il raggiungimento dei limiti d’età s’era messo ad appuntare su un quadernetto tutti i suoi ricordi. Nemmeno dipingeva più, raccattava croste nei mercatini, nei viaggi che faceva in città, ultimi bagliori di una dote che presto nessuno avrebbe più apprezzato. Il possedere una sua opera, a funerale fatto e a mancata resurrezione avvenuta, divenne la prova di un peccato, e pure che era maggio inoltrato quando morì si accesero camini e stufe in molti posti, dal paese alla città, per ridurre in cenere l’arte dello scrutatore, nei posti lontani si provvide in modo diverso».

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