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‘Ndrangheta in Lombardia, quel giorno del 1990 in cui la «ferocia» dei clan esplose per strada

Le fasi dell’omicidio violento e brutale di Umberto Mormile, l’educatore carcerario, crivellato l’11 aprile di 34 anni fa. Le verità processuali e il disegno “alternativo” ora credibile

Pubblicato il: 14/06/2024 – 18:19
di Giorgio Curcio
‘Ndrangheta in Lombardia, quel giorno del 1990 in cui la «ferocia» dei clan esplose per strada

LAMEZIA TERME Accadde tutto in pochi istanti quella mattina dell’11 aprile del 1990. Chi stava percorrendo la strada provinciale SP 40 Melegnano-Binasco, a Carpiano, infatti, tutto immaginava tranne che assistere ad una esecuzione di matrice ‘ndranghetista proprio davanti ai propri occhi.
Le auto sono ancora in coda a quell’ora di punta, sono da poco scattate le ore 9, ed è in quei momenti che un’auto, un’Alfa Romeo 33, viene affiancata da una moto di grossa cilindrata di colore rosso e bianco. A bordo di quella Honda 600 ci sono due persone, ma sarà uno di loro ad esplodere almeno sei colpi di pistola, una 357 magnum, diretti al conducente, prima di fuggire a tutto gas, oltre l’incrocio semaforico con la SS 412. Pochi istanti, dunque, quelli utili per stroncare la vita di Umberto Mormile, educatore presso la Casa di Reclusione di Milano Opera.

Un’azione violenta e fulminea

Alla sua identità risaliranno i Carabinieri della Stazione di Melegnano giunti sul posto: saranno loro a rinvenire Mormile all’interno dell’abitacolo, privo di vita, con le cinture di sicurezza allacciate, e fori di entrata di proiettile nel collo. I passanti non saranno in grado di dire molto: alcuni dicono di aver sentito dei rumori, altri transitare una moto a forte velocità, ma nessuno fornirà elementi decisivi agli inquirenti. Mentre i militari non avevano dubbi: doveva trattarsi di un’azione violenta e fulminea e, vista l’assenza dei bossoli, compiuta utilizzando un revolver.

(Foto: IlCittadino.it)

I killer a bordo della Honda non potevano immaginare che in fila, a qualche decina di metri da loro, c’era un carabiniere fuori servizio. Sarà lui, infatti, a ricollegare la moto che gli era sfrecciata accanto al luogo dell’omicidio, annotando il numero di targa. Dal successivo controllo è emerso che la Honda 600 in realtà era stata rubata a Milano il 16 marzo del 1990, poi verrà ritrovata da altra pattuglia di carabinieri alle 16.20 dello stesso 11 aprile 1990, parcheggiata in via Buozzi nel comune di Locate Triulzi, non molto lontano dal luogo dell’omicidio. Una signora riferirà, poi, di aver notato quella mattina proprio attorno alle 9 «un giovane sui 30/35 anni vicino alla motocicletta e che poi si allontanava salendo a bordo di una autovettura di colore chiaro» una Renault con a bordo altre due persone, prima di allontanarsi in tranquillità.

I processi e le condanne

I fatti processuali, hanno poi consentito – ai provvedimenti giudiziari – di affermare con sentenze ormai passate in giudicato la responsabilità penale sia degli esecutori materiali dell’omicidio di Umberto Mormile, Antonio Schettini e Antonino Cuzzola, il primo individuato come killer che ha materialmente sparato i colpi di revolver, il secondo quale conducente della moto, sia dei mandanti e ideatori: Franco Coco Trovato, Antonio Papalia, tutti e quattro già condannati nel 2005 e Domenico Papalia, quest’ultimo solo nel 2011. A marzo di quest’anno e a quasi trentaquattro anni di distanza dal delitto, il gup di Milano, Marta Pollicino, ha inflitto 7 anni ai pentiti Vittorio Foschini e Salvatore Pace, colpevoli di «essersi messi a disposizione dei mandanti dell’omicidio fornendo armi e mezzi».

Le verità giudiziarie

Nelle motivazioni – oltre 170 pagine – secondo i giudici la ricostruzione dell’omicidio, nella sua programmazione, ideazione ed esecuzione materiale, costituisce «un fatto ormai definitivamente accertato» non ci sono più profili in contestazione, così come l’individuazione dei mandanti e ideatori dell’omicidio, e neanche l’individuazione degli esecutori materiali, «essendo intervenuti in relazione ad entrambi gli aspetti, altrettanti provvedimenti giudiziali, divenuti ormai irrevocabili». Data l’epoca “storica” in cui fu commesso il fatto omicidiario e la incontestabile connessione tra lo stesso e il fenomeno associativo di matrice ndranghetista e data anche la figura “istituzionale” della vittima, trattandosi di un educatore del carcere di Milano Opera, si sono sviluppate una pletora di ipotesi investigative sul punto, indotte da rivendicazioni di carattere politico o terroristico, o da dichiarazioni di “collaboratori di giustizia”. Per i giudici, infatti, le fonti di prova sono «plurime e molteplici» ed hanno varia natura, «documentale e dichiarativa». E i giudici richiamano, ad esempio, i provvedimenti giudiziali, le sentenze irrevocabili che hanno definito i maxiprocessi degli anni ’90, “Wall Street”, “Nord-sud” e “Countdown”, ma anche le sentenze irrevocabili degli anni 2000 che si sono occupate direttamente della vicenda omicidiaria, infliggendo pesanti condanne agli esecutori materiali e ai mandanti. (g.curcio@corrierecal.it)

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