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l’inchiesta della dda

‘Ndrangheta reggina e la faida per il controllo di Calanna: gli agguati incrociati tra Peppe Greco e lo “Sceriffo” Princi

Nell’ordinanza di “Ducale” il gip riporta i fatti risalenti al 2016 quando il defunto boss fu quasi fatto fuori dall’uomo scelto dagli Araniti «più giovane e affidabile»

Pubblicato il: 15/06/2024 – 18:00
di Giorgio Curcio
‘Ndrangheta reggina e la faida per il controllo di Calanna: gli agguati incrociati tra Peppe Greco e lo “Sceriffo” Princi

REGGIO CALABRIA Nell’ultima inchiesta della Distrettuale antimafia di Reggio Calabria, culminata con l’arresto di 11 persone (7 in carcere e 4 ai domiciliari) è saltato fuori un nome ampiamente noto alle cronache giudiziarie e quelle del territorio di Reggio Calabria. Si tratta di Antonino Princi (classe 1971) noto come lo “Sceriffo”, raggiunto da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere.  
Il suo nome si ricollega a quello del defunto boss Giuseppe Greco e ai gravi episodi risalenti al 2016, quando i due sono stati protagonisti di una faida – breve – che ha scosso il territorio di Calanna, nella frazione di Sambatello, nel Reggino: prima il tentato omicidio dello “Sceriffo” avvenuto il 9 febbraio, poi, il 3 aprile 2016, il tentato omicidio di Greco e l’omicidio di Domenico Polimeni.

La faida del 2016

Dopo l’attività investigativa e le fase processuale, secondo il gup c’è stato un episodio più emblematico di altri ovvero che «Antonino Princi, sebbene vittima di tale agguato omicidiario, non ha sporto alcuna denuncia per il grave fatto subito e non ha fornito indicazioni per l’individuazione degli autori della condotta illecita…». Dalle indagini, infatti, è emerso che in quei territori, di fatto, fosse scoppiata una faida interna alla famiglia mafiosa egemone proprio nel territorio di Calanna, scaturita dall’ascesa al potere criminale proprio di Antonino Princi. Come ricostruito, infatti, approfittando dell’assenza dalla Calabria di Giuseppe Greco, aveva provato ad accaparrarsi il controllo delle attività illecite insistenti nell’area calannese. Nell’ordinanza il gip riporta gli esiti dell’inchiesta “Kalanè” dalla quale era emerso che il defunto Peppe Greco, «avvertendo di essere stato esautorato dalle funzioni di vertice della consorteria criminale ricevute in eredità dal padre “don Ciccio”, storico boss di Calanna, avesse organizzato, avvalendosi di alcuni suoi sodali, l’eliminazione del nuovo reggente della cosca, senza però riuscirci». E così, come rappresaglia, il nuovo gruppo nato attorno alla figura dello “Sceriffo”, aveva organizzato il raid di contrada Sotira di Sambatello, nel corso del quale fu ucciso Polimeni considerato il factotum di Greco che, proprio come accaduto con il “rivale”, riusciva a salvarsi. 



«Siamo uno a uno!»

«Eh… ma io pure! Hai capito no?!! Uno a uno! Siamo uno a uno per adesso!!». Questo il tenore di una conversazione, captata dopo l’agguato del 3 aprile 2016, in cui proprio Greco «attribuiva la responsabilità al gruppo di Princi», scrive il gip e «al contempo specificava che la guerra mafiosa era appena iniziata». E ancora, rammaricato per aver fallito il colpo grosso, diceva ancora: «(…) l’ho sbagliato! Io l’ho sbagliato!». Come riporta ancora il gip nell’ordinanza, proseguendo la sua filippica contro Princi e il suo gruppo, Greco si mostrava particolarmente adirato, consapevole che l’esigenza di ucciderlo nascesse dalla volontà dei rivali di scalzarlo definitivamente dai ruoli di vertice della ndrangheta locale. «No… dice… quando ci cacciamo a lui comandiamo in tutti i posti, hai capito? Dice… suo padre non c’è… i suoi nipoti sono “babbi”…». E rincara la dose: «Eh… miserabile… miserabile traditore…».

La fuga dello “Sceriffo” protetta dai Serraino

Con sentenza del 10 giugno 2020 – divenuta irrevocabile – la Corte di Assise di Appello di Reggio Calabria ha rigettato l’appello del Procuratore Generale contro l’assoluzione dei coimputati di Greco mentre quest’ultimo, nel 2018, è deceduto. Nel corpo di quella motivazione i giudici hanno comunque ribadito la causale mafiosa dei drammatici episodi che avevano scosso la comunità di Calanna nel 2016 e, al contempo, hanno delineato il ruolo acquisito in quel contesto proprio da Princi. Nell’ordinanza, inoltre, il gip riporta anche che, in seguito all’emissione dell’ordinanza di custodia cautelare dell’1 agosto 2016, Princi si dava alla latitanza, rendendosi irreperibile per più di 6 mesi. Solo il 25 febbraio 2017 i Carabinieri sono riusciti a scovarlo in un’abitazione in contrada Pantano di Cardeto e protetto da Saverio Arfuso, soggetto «intraneo alla cosca Serraino» scrive il gip, segno di come lo “Sceriffo” potesse continuare a dimorare nel territorio reggino, avvalendosi di una sicura e consolidata rete di sostegno ed omertà, grazia al suo prestigio criminale.

Antonino Princi lo “Sceriffo”

Princi il “prescelto” dagli Araniti

A fornire importanti elementi e spunti investigativi è stato il collaboratore di giustizia Mario Chindemi, secondo il quale la cosca Araniti aveva manifestato grande irritazione per l’accaduto per due motivi: primo perché era stata censurata la scelta del luogo dove Greco aveva attentato alla vita del rivale, territorio di loro competenza, secondo perché la cosca aveva stretto un’alleanza con Princi, «preferito a Greco perché più giovane e dinamico nella gestione degli affari condivisi tra i due “locali” limitrofi», annota il gip nell’ordinanza. «(…) Pasquale mi ha detto che gli Araniti non l’hanno presa tanto bene perché se Peppe aveva intenzione di volere sparare a Nino Princi se lo doveva fare su Calanna», aveva riferito Chindemi. «(…) agli Araniti interessava avere una persona giovane pure voglio dire… e diversa da Peppe Greco (…) in pratica hanno voluto portare avanti Nino Princi…». Secondo il pentito, inoltre, per gli Araniti era stato più semplice raggiungere un accordo con Princi per la spartizione dei proventi della discarica di Sambatello dal momento che Peppe Greco aveva preteso, invece, una quota del 50%, mentre con lo “Sceriffo” «era stata realizzata una mediazione al ribasso, con la possibilità per lo stesso Princi ed alcuni dei suoi uomini di lavorare all’interno dell’impianto». (g.curcio@corrierecal.it)

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