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sette giorni di calabresi pensieri

Reggio Calabria città dolente

Dove ancora si ringraziano i boss per i voti ricevuti e per i servigi che i consigliori offrono. Il silenzio della politica nazionale

Pubblicato il: 15/06/2024 – 7:00
di Paride Leporace
Reggio Calabria città dolente

L’ultima inchiesta della Procura di Reggio Calabria sui rapporti tra mafia e partiti locali merita delle riflessioni tutte politiche. Con un’eccezione, quella di segnalare che la magistratura bene ha fatto a muoversi a urne chiuse per le Europee senza condizionare la campagna elettorale. Riflessioni solo politiche di buon senso tralasciando le questioni, pur importanti, sul se sia giusto o sbagliato indagare, chiedere arresti e tralasciando le contese tra gip e pm. Cerchiamo di stare sui fatti oggettivi.
Qualcuno si è chiesto, molto retoricamente, nel senso più positivo del termine, se il sindaco di Reggio Calabria, Giuseppe Falcomatà, sapesse che Daniel Barillà, genero di Domenico Araniti, detto “Il Duca” e non credo per similitudini con David Bowie, era uno spicciafaccende tra la politica di Palazzo e l’elettorato di Sambatello e Catona dove almeno 1.000 voti possono essere destinati a questo o quel candidato.
In una città dalle dimensioni medie come Reggio Calabria tutto si conosce, soprattutto di certe araldiche. Araniti di cognome era Pietro Carmelo, due volte consigliere regionale del Pri negli anni Ottanta, cinque volte assessore, indipendente di sinistra poi, per convenienza, candidato non eletto del Psdi di Paolo Romeo, poi passato a Forza Italia e mandato via da Scajola per il suo burbero politicare. Pietro Araniti è morto ucciso a 59 anni sull’Aspromonte nei pressi di un villaggio che aveva costruito con la sua azienda che stava nel ciclo del cemento e dell’Urbanistica che pur aveva amministrato. Era Pietro cugino di primo grado di Santo, condannato all’ergastolo per l’omicidio di Vico Ligato, democristiano illustre ucciso in casa a Bocale una volta tornato in città per far carte sugli appalti del Decreto Reggio negli anni Ottanta, e presto dimenticato dal suo partito come cadavere eccellente.



In questa vicenda ha un ruolo rilevante Daniel Barillà, appellato Danielino dal sindaco di Reggio Calabria. Cercatore di voti per le ultime Comunali e attivo anche nelle Regionali a favore a quanto pare di Giuseppe Neri, capogruppo di Fdi all’Astronave, e di Peppe Sera, esponente del Pd reggino e conosciuto anche per essere stato un valido caposcout che a Reggio Calabria è attività di meritoria tradizione.
Fuori dalla prosa giudiziaria, chi è Daniel Barillà? Uno che ha guidato la sezione del Pd di Sambatello inciampando in una vicenda di tesseramenti gonfiati uguali a quelli della Dc di Prima Repubblica. E qui sorge la prima domanda banale. Ma era opportuno che il genero del Duca Araniti ricoprisse un ruolo di partito così delicato? A chi si distrasse la risposta.
Ma Danielino ha avuto anche ruoli pubblici. Doveva essere ricompensato per quel sostegno chiesto dal sindaco Falcomatà all’ultimo minuto come accerterebbe un’intercettazione ormai a tutti nota. Il consigliere Sera sarebbe andato a casa Araniti il 6 settembre 2020 e la promessa sarebbe stata quella di nominare Danielino liquidatore della Leonia spa, società sciolta, ironia della sorte, per mafia. La nomina non sarebbe avvenuta, per incompatibilità con il ruolo di Barillà nell’organismo di valutazione comunale del Municipio, uno dei primi atti decisi dal sindaco alla sua seconda elezione. Era opportuna questo tipo di nomina legata ai rifiuti per il genero del boss Araniti? Aspettiamo risposte, pur non essendo sede competente d’indagine.

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Nella vicenda politica non possiamo non scrivere di Giuseppe Neri, capogruppo regionale meloniano che vanta un passato di incarichi e ruolo di sinistra di non poco conto. Fatti da rubricare al moderno trasformismo e che induce molti a rimpiangere la sepolta Prima Repubblica dove era quasi impossibile che un socialdemocratico potesse farsi eleggere tra i missini. Per Peppe Sera cognome omen nell’apprendere che a voto acquisito si reca a casa di don Domenico per dire «era mio dovere venire per un saluto».
Per tutti questi episodi e contesti non abbiamo ascoltato nessun commento da parte di Meloni, da Schlein, o dal cazzuto Ruotolo e via declinando. Il dibattito, molto carente come si deve a quest’epoca, registra pallidi sussulti interessati e un rumoroso silenzio dei due principali partiti italiani che hanno vantaggio a non discutere della questione. Ne conosco il motivo per averlo accertato. È dalla Seconda Repubblica che le segreterie nazionali (fatto salve eccezioni come quella che si è riscontrata a Reggio in queste ore per i 5 Stelle) ragionano con il dogma: “Della Calabria si occupano i dirigenti calabresi, fanno loro”. Non importa il chi e il come, l’importante che ci siano i voti, soprattutto in questa epoca grama di partecipazione. L’altra verità oggettiva l’ha spiegata Nicola Gratteri. Un tempo i capimafia offrivano il consenso alla politica. Ora sono i candidati ad andare dal capomafia o da qualche parente.
Reggio Calabria è rimasta città dolente come l’aveva definita Aldo Varano in un libro degli anni Novanta. La città dove t’incontri al Bar Mida per trasformare il consenso in oro, un luogo in cui il politico per voti dialoga con tale Gino La belva, e in cui il galoppino e il politico maledicono e insultano i giornalisti che fanno il loro dovere a ricordarci che quel vecchio film con Humprey Bogart che si chiama “L’ultima minaccia” è ancora, per fortuna, attuale. A Reggio Calabria i sindaci indagati sono una ritualità come la Festa di Madonna a Settembre. Dai tempi di Agatino Licandro, lo chiamarono Titti dei Rolling Stones, tutti hanno avuto inchieste e processi, anche quel santo laico di Italo Falcomatà. La Giustizia non ha tempi paralleli alla politica. Questione rimossa dai progetti di riforma. La Giustizia lumaca sembra voler tenere tutto fermo. Da Reggio ancora si attende di conoscere le verità giudiziarie del Miramare bis e se il consigliere Castorina alterava l’esito delle votazioni. Ad ottobre 2025 si vota per il sindaco e il consiglio comunale. Si cerchi consenso e si scelgano candidati secondo opportunità, in modo da evitare l’ennesima inchiesta giudiziaria.

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Domenica sera su Rai 5 va in onda alle 22.10 un programma dedicato a Cosenza della pregevole serie “Di là del fiume e tra gli alberi”. Confesso un particolare coinvolgimento dell’opera per il fatto che il tutto sia stato titolato come “Cosenza, Cosangeles” avendo l’autore Alessandro Nucci preso suggestione dal titolo di un mio libro per raccontare il genius loci di una città molto identitaria. Nel documentario oltre a me prendono parola Sergio Crocco della Terra di Piero, Francesca Caruso che illustra il volontariato di Onco Med, il professore gallese John Trumper che spiega l’inesistenza di un unico dialetto calabrese, Gianluigi Greco alle prese con l’Intelligenza Artificiale, l’attore Ernesto Orrico che omaggia il genio di Marcello Walter Bruno e tante storie di persone comuni. Il documentario sarà subito disponibile su RaiPlay e in seguito trasmesso anche su Rai 3.

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La celebre famiglia dei liquori calabresi aggiunge un nuovo prestigioso esemplare. Da Altomonte, lo storico brand Giacobini varato nel 1879, lancia il suo Vermouth rosso con un packaging molto elegante che riprende in chiave contemporanea l’etichetta classica del 1904. Ancora meglio il contenuto biologico e artigianale. Ispirato all’antica ricetta mescola vino Ceraudo e zucchero d’uva, estratto di erbe e infusi, spezie e scorze di agrumi della macchia mediterranea. A mio parere profano va bene anche nei cocktail. Costo alto (tra i 32 e i 36 euro) ma l’esperienza dopo il caffè o per fare bella figura con gli ospiti li vale tutti.
Prosit. (redazione@corrierecal.it)

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