LAMEZIA TERME Dal gusto classico del boss Gioacchino Campolo, noto come il “re dei videopoker” morto a 82 anni nel 2021, a quello più moderno ed eccentrico di Gennaro Mokbel, ritenuto il «finanziere vicino alla Banda della Magliana». Insomma, non manca nulla nella mostra inaugurata oggi nel Museo di Lamezia Terme in occasione dell’apertura della tredicesima edizione di “Trame”, il festival dei libri sulle mafie, di scena fino al 23 giugno. Si tratta a tutti gli effetti di un patrimonio inestimabile, un percorso composto da quarantaquattro opere che si inserisce con forza nel fervido contesto di un festival dal grandissimo valore civile.
In esposizione è possibile ammirare le opere artistiche sequestrate al boss di ‘ndrangheta Gioacchino Campolo noto come il “re dei videopoker”, esposte abitualmente al “Palazzo Crupi” di Reggio Calabria e ora a Lamezia Terme, fino al 28 luglio 2024. Ma – fatto ancora più eccezionale – sono esposte per la prima volta in pubblico anche le opere sequestrate a Gennaro Mokbel, ritenuto il «finanziere vicino alla Banda della Magliana». Un patrimonio straordinario che include le opere di Giorgio De Chirico, Antonio Ligabue, Paul Kostabi, Michele Cascella, Michele Cassinari, Cesare Berlingeri, Massimo Catalani, Luca Dall’Olio, Marco Lodola, Max Marra, Paolo Porelli, Pietro Annigoni, Franz Borghese e Bruno Caruso. Ma anche un falso di Morandi venduto da un mediatore proprio a Gioacchino Campolo.
Le inchieste antimafia degli ultimi decenni hanno fatto emergere molto spesso il “debole” dei boss della criminalità organizzata nei confronti dell’arte. Un simbolo, l’esposizione delle opere trafugate nelle proprie abitazioni, di potere e prestigio. Il percorso espositivo comprende, così, una serie di lavori che ci parlano anche del gusto personale dei mafiosi-collezionisti o del loro desiderio di accumulare arte di artisti affermati o di autori emergenti, opere uniche o tirature di grafiche, passando dalla pittura alla scultura, fino a opere installative o polimateriche.
Politica, affari, servizi segreti, estrema destra, mafia. Così le inchieste hanno descritto Gennaro Mokbel, una sorta di «crocevia degli ambienti più chiacchierati o pericolosi d’Italia», con epicentro a Roma, era temuto per i suoi contatti con boss di grande spessore criminale come Carmine Fasciani, signore del litorale romano, e Massimo Carminati. Origini egiziane, ma nato a Roma, nel quartiere Nomentano, Mokbel e il suo gruppo sono finiti nelle cronache soprattutto per la truffa da due miliardi a Fastweb e Telecom Italia Sparkle. Processati assieme al fondatore e al top manager delle aziende, Silvio Scaglia e Stefano Mazzitelli, poi assolti dalle accuse di associazione per delinquere transnazionale pluriaggravata finalizzata al riciclaggio. Il 26 febbraio del 2010 gli fu sequestrato un primo «tesoretto» a Roma, nel quartiere Collina Fleming, dai carabinieri del Ros, a migliaia tra dipinti, serigrafie, sculture di artisti famosi frutto, secondo gli inquirenti, del riciclaggio. Il secondo «tesoretto», sempre riconducibile all’imprenditore Mokbel, era stato poi sequestrato qualche giorno più tardi, il 19 marzo. I militari, in particolare, avevano posto i sigilli a quadri e opere d’arte per un valore stimato tra i venti e i trenta milioni di euro trovati in quattro gallerie d’arte nei quartieri Parioli e Fleming. Le gallerie, insieme a un’altra che ha sede a Milano, erano gestite dalla stessa società alla quale era riconducibile il magazzino scoperto il mese scorso a Collina Fleming. Complessivamente, nelle diverse operazioni, sono state sequestrate circa 6mila opere.
Quando era il re dei videopoker, una preziosa collezione di quadri di Dalì, Sironi, Guttuso ornava le pareti della sua casa. Gioacchino Campolo ha visto però sottrarsi tutte le opere che era riuscito a collezionare nel corso degli anni. Tutto è iniziato con il ritrovamento del prezioso “Miracolo di Gesù. Guarigione del nato cieco”, dipinto di carattere religioso-chiesastico, rubato a Randazzo, in provincia di Catania, nel 2001 e ritrovato qualche tempo fa a casa di un ex dipendente di Campolo, considerato il suo braccio operativo. Proprio alla luce dei rapporti che hanno sempre legato il sessantaquattrenne al re dei videopoker, gli investigatori avevano deciso di estendere la perquisizione ad un secondo appartamento dell’uomo, a Messina. È lì che i carabinieri avevano rintracciato tre tele del patrimonio Campolo, misteriosamente sparite dopo il sequestro ordinato dal Tribunale. Si tratta di una grafica di Guttuso e di due dipinti, uno di Giuliana Cappello e uno di Mario Pinnizzotto, artisti contemporanei estremamente quotati. (g.curcio@corrierecal.it)
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