COSENZA A chiedere sensibilità e attenzione alla Regione Calabria non è soltanto la società che eroga il servizio, ma anche i pazienti e l’equipe multidisciplinare che li assiste. Il rischio, concreto, è quello di sempre: emigrazione sanitaria soltanto per chi può permetterselo. A lanciare l’allarme è la società Biolife di Cosenza, dal 2008 erogatore di prestazioni sanitarie di riabilitazione extra-ospedaliera per pazienti con problemi neurologici e muscolo-scheletrici. È accreditata dal 2009 e dallo stesso anno è contrattualizzata con l’Asp di Cosenza.
Nel 2016 ha deciso di erogare prestazioni riabilitative per pazienti affetti da Disturbi del Comportamento Alimentare, anche in questo caso con la volontà di assimilarsi alle strutture pubbliche attraverso l’istituto dell’accreditamento e del contratto con l’Asp in modo che i pazienti abbiano garantita l’assistenza dall’Asp. Ultimamente però è sorto un grave problema.
Ma andiamo per ordine e cerchiamo di capire di cosa stiamo parlando. I Disturbi della Nutrizione e dell’Alimentazione oggi colpiscono nel mondo oltre 55 milioni di persone, mentre in Italia si arriva a 3 milioni, pari a circa il 5% della popolazione: l’8-10% delle ragazze e lo 0,5-1% dei ragazzi soffrono di anoressia o bulimia (dati Osservatorio Aba e Istat). Una patologia ancora sottovalutata, in forte aumento e con un esordio sempre più precoce soprattutto tra i giovanissimi, le ragazze in particolare, tra i 12 e i 17 anni, e in alcuni casi, anche prima, verso gli 8-9 anni. Dai dati dell’Istituto Superiore di Sanità, sui Centri in Italia del Servizio Sanitario Nazionale dedicati ai disturbi del comportamento alimentare, su oltre 8000 utenti, il 90% è di genere femminile rispetto al 10% di maschi; il 59% dei casi ha tra i 13 e 25 anni di età, il 6% ha meno di 12 anni. Tra le diagnosi più frequenti, spicca l’anoressia nervosa (42,3% dei casi), seguita dalla bulimia nervosa nel 18,2% e il disturbo di binge eating nel 14,6%. Patologie che mettono costantemente a rischio la vita di chi ne soffre e che, come evidenziato più volte dagli esperti della materia, richiedono necessariamente, nella fase del trattamento, un approccio multidisciplinare di professionisti appartenenti a discipline medico-interniste e psichiatrico-riabilitative.
Come rivelato in una mozione presentata lo scorso gennaio dai consiglieri regionali Alecci, Bruni, Bevacqua, Iacucci, Mammoliti e Muraca, «la mancanza di strutture adeguate fa sì che molto spesso le famiglie vengano lasciate sole ad affrontare le prime fasi di questo dramma, innescando di fatto un peregrinare in cerca di luoghi di cura per l’Italia e solo successivamente, quando la situazione il più delle volte è ormai compromessa, si arriva ad una presa in carico della persona e del suo nucleo familiare». In quella circostanza era stato chiesto alla giunta regionale di esprimersi formalmente nei confronti del Governo affinché si provvedesse «nel più breve tempo possibile al rifinanziamento del Fondo per il contrasto dei Disturbi della Nutrizione e dell’Alimentazione e all’emanazione dei decreti attuativi necessari per l’inserimento dei disturbi alimentari nei Livelli Essenziali di Assistenza (Lea)».
Soltanto nel 2024, senza che sia finito il primo semestre, l’Asp di Cosenza ha speso oltre 270 mila euro in favore dei centri fuori regione per la cura dei Disturbi Alimentari. Si tratta di una cifra ingente che però rappresenta solo la “punta dell’iceberg”. A molti pazienti, infatti, non viene mai diagnosticato questa patologia, proprio per la mancanza dei servizi. La Calabria è priva anche di dati epidemiologici. I pazienti che ricevono l’autorizzazione al trattamento presso centri fuori regione sono, di prassi, solo quelli molto gravi e che si possono permettere di sostenere le spese. Essendo cure che si estendono per periodi molto lunghi, è necessario abbandonare gli studi e il lavoro, insomma, allontanarsi dalla propria vita e dai propri affetti che, come sostenuto dagli esperti della materia, è assolutamente disfunzionale al processo di cura. Questa migrazione sanitaria non ha le fattezze dei classici “viaggi della speranza” alla fine dei quali c’è un rapido intervento chirurgico ma, data la durata del processo di cura, è un vero e proprio sradicamento affettivo.
«Nonostante sia stato emanato l’accreditamento con DCA 300 del 05.12.2023, in nostro favore, da sette mesi – spiega al Corriere della Calabria l’amministratore unico di Biolife Ettore Caroselli – l’Asp di Cosenza, anche se senza colpe, non propone il contratto per acquistare queste prestazioni. Vista la perdurante mancanza di contrattualizzazione per le nuove prestazioni accreditate in favore dei pazienti affetti da disturbi del Comportamento Alimentare e della Nutrizione, saranno sospese fino a nuova comunicazione». Caroselli evidenzia come «dietro questa impersonale comunicazione» ci sia «tanta fatica, tanta sofferenza per i lavoratori, ma soprattutto per pazienti e loro famiglie».
«Non è mia intenzione – afferma – spettacolarizzare le emozioni delle persone e quindi mi limito a fornire qualche data e qualche numero. Intanto iter burocratico-amministrativo che ha portato alla situazione attuale: l’istanza inziale è del 14 luglio 2016, per giungere all’accreditamento (DCA n. 300 del 5 dicembre 2023) ci sono volute sette anni e mezzo». «Invece sono due anni, dall’autorizzazione all’esercizio – aggiunge Caroselli – che il centro eroga prestazioni senza corrispettivo per le attività giornaliere, e sono sette mesi che l’ASP potrebbe comprare le prestazioni, ma non ha in fondi necessari per farlo».
«Sono consapevole del fatto – tiene a sottolineare l’amministratore unico di Biolife – che l’accreditamento è giunto successivamente all’emanazione del decreto sui fondi triennali alle strutture, di conseguenza l’Asp ha utilizzato le somme trasferite dalla Regione in favore delle strutture presenti sul suo territorio di competenza. Si trova quindi senza fondi e nell’impossibilità di adempiere al suo mandato di soddisfacimento del bisogno di salute dei cittadini. Quindi soltanto l’intervento della Regione con fondi aggiuntivi potrebbe cambiare le prospettive. Proprio in questi giorni è stata inviata una missiva a tutta la governance clinica regionale per trovare una soluzione. Tralascio come detto gli aspetti umani, perché nonostante sia l’umano al centro di tutto, si potrebbe obbiettare che non si governa con i sentimenti o con il cuore, ma con il raziocinio e la programmazione. Anche dalla prospettiva “manageriale-dirigenziale” la scelta di contrattualizzare il centro sarebbe giusta e giustificata; i dati della mobilità sanitaria per le cure in favore di pazienti affetti da DCA/DNA sono impressionanti. Da quando è partito questo lungo iter, e quindi dal 2016, l’Asp di Cosenza ha speso milioni di euro solo per le cure dei pazienti presso centro situati fuori regione». «C’è poi da considerare – conclude Caroselli – che le persone quando tornano non hanno nessuna rete, nessun appoggio, se non, nel nostro caso, l’erogatore Biolife».
All’appello di Caroselli si aggiunge l’equipe multidisciplinare per la cura dei Disturbi della Nutrizione e dell’Alimentazione (o D-NA) formati nel settore tramite corsi tenuti dalla dottoressa Dalla Ragione e vari master specifici sui D-NA. «Abbiamo iniziato più di dieci anni fa con l’associazione Adac (Associazione Disturbi del Comportamento Alimentare Cosenza, ndr) come supporto e rete di sensibilizzazione e prevenzione per poi riuscire ad aprire un reparto per i D-NA presso il centro medico Biolife che è stato accreditato. Nonostante ciò, vogliamo evidenziare la nostra incredulità per la mancata risposta da parte degli enti competenti che non hanno ancora contrattualizzato i posti per i disturbi della nutrizione e dell’alimentazione presso la struttura Biolife. Sono quasi due anni che il centro eroga i servizi in modo gratuito senza alcuna entrata, ma con tutti i costi, compresi quelli del personale. Tale situazione non è più sostenibile da parte della società. Ciò che ci preoccupa è l’imminente ed inevitabile chiusura del reparto con conseguente abbandono delle pazienti prese in carico e di quelli ancora in follow-up. Nella nostra Regione non sono presenti strutture diurne o residenziali e ricollocare i pazienti porterebbe un intervento poco efficace perché al loro ritorno tornerebbero nella loro routine giornaliera. Tutto ciò con un dispendio economico per il Sistema Sanitario Regionale. Ci sentiamo non ascoltati, abbandonati dalle istituzioni ma soprattutto stiamo male a dovere essere costretti ad “abbandonare” pazienti che hanno bisogno di un aiuto concreto nella loro terra. Qualcuno intervenga e ascolti il nostro e soprattutto il loro grido d’aiuto».
«Abbiamo molte testimonianze – evidenzia ancora l’equipe multidisciplinare – di percorsi portati a buon fine o che stanno andando bene con esiti più che positivi. Abbiamo lettere scritte dai pazienti piene di gratitudine e riconoscenza. Chi meglio di loro può riconoscere che esiste la guarigione se seguiti da professionisti formati nel settore? Ci chiediamo a questo punto se siano degni di vivere le loro vite o se sia il caso di abbandonarli a loro stessi, anzi alla loro malattia. Stiamo parlando di una vera e propria epidemia, una malattia sociale che porta purtroppo oltre che a una morte mentale, anche a una morte fisica. I numeri parlano chiaro, di D-NA si può anche morire anzi si muore e noi non vogliamo fare morire la speranza che vive nelle nostre ragazze». (f.veltri@corrierecal.it)
Foto tratte dal libro dell’Adac “La gabbia dalle sbarre d’oro” (Kerit-LC Edizioni)
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