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L’evoluzione della ‘Ndrangheta, il monito del pm Lombardo: «Del sistema che ci hanno raccontato è rimasto ben poco»

A Trame il procuratore aggiunto della Dda di Reggio. Il direttore Paola Militano: «Si tratta di una ragionata e organizzata alternativa criminale allo Stato». Badolati: «Con i tradimenti, qualcosa …

Pubblicato il: 20/06/2024 – 20:17
di Giorgio Curcio
L’evoluzione della ‘Ndrangheta, il monito del pm Lombardo: «Del sistema che ci hanno raccontato è rimasto ben poco»

LAMEZIA TERME «La ‘ndrangheta non è solo un cancro ma una ragionata, organizzata, alternativa criminale allo Stato. Si è fatto un nome, ha una sua reputazione nel mondo, è stata capace di cambiare, passando da un’era di violenza sanguinaria ad un’epoca di potere economico, mentre un’ondata di indifferenza e assuefazione rischia di sovvertire qualsiasi politica di soppressione e contrasto. Ecco perché non si può tacere, ecco perché bisogna parlarne. Non è affatto un capitolo chiuso, anzi». Lo ha detto Paola Militano, direttore del Corriere della Calabria, in apertura dell’evento organizzato da “Trame” a Lamezia Terme in occasione della presentazione dell’ultimo libro del giornalista Arcangelo Badolati, insieme al procuratore aggiunto della Distrettuale antimafia di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo.

Badolati: «Con i tradimenti interni la ‘ndrangheta sta cambiando»

Chi ha rotto il silenzio e chi ha “tradito” sono stati i figli della ‘ndrangheta. E lo racconta bene, nel suo libro “Figli traditori. i rampolli dei boss in fuga dalla ’ndrangheta, Arcangelo Badolati. «Rispetto alle altre organizzazioni, la ‘ndrangheta si è mossa in questi anni in modo silente, strisciante, stringendo accordi. Chi avrebbe mai immaginato che Emanuele Mancuso, figlio di Pantaleone Mancuso decidesse di collaborare? Chi avrebbe mai immaginato che Giuseppe Giampà, figlio di Francesco Giampà e protagonista di tante storie che hanno insanguinato Lamezia Terme, decidesse di collaborare? Così come Francesco Farao o Dante Mannolo? Sono tanti, non più un caso isolato, segno che qualcosa sta cambiando. Chi avrebbe mai immaginato che Domenico Agresta, nipote del fondatore della ‘ndrangheta in Piemonte, nipote dei Marando, che un giorno potesse fare una scelta di questo tipo?».
«Per questo ho sentito l’esigenza di raccontarlo in un libro perché effettivamente qualcosa nella ‘ndrangheta sta cambiando».

«Le voce “interna” della ‘ndrangheta è fondamentale»

A proposito di cambiamenti e di pentiti, è stato il pm Lombardo a chiarirne i contorni. «La nostra è una esperienza che è fatta di passaggi complessi, di rapporti che si creano tra il magistrato e colui il quale si trova ad essere indagato, raggiunto da un ordine di custodia e poi dopo, in caso, condannato». «Ma – secondo Lombardo – non si può immaginare la ricostruzione della ‘ndrangheta senza ascoltare la voce di chi ha vissuto certe dinamiche, di chi ha frequentato quel mondo e generato una profonda distorsione rispetto alla vita che si conduce nella realtà difficile della Calabria, dove allo Stato si sostituisce l’anti-Stato». «È un modo di vivere che, dall’esterno, noi facciamo fatica a ricostruire. E quando si racconta che è arrivato il momento di sfruttare le nuove tecnologie, le intercettazioni ecc. ecc., si dimentica che la voce dal di dentro è qualcosa di diverso».

«Basta osservare la ‘ndrangheta solo dalla Calabria»

Secondo il procuratore aggiunto, poi, «per comprendere meglio la ‘ndrangheta, non dobbiamo osservarla solo dalla Calabria. Sono molto più capaci di parlarne soggetti non calabresi rispetto a chi l’ha vissuta dal di dentro per molti anni», ha ricordato. «Abbiamo sperimentato che le più importanti ricostruzioni degli ultimi anni sulla ‘ndrangheta derivano da contributi di soggetti che con la ‘ndrangheta hanno avuto rapporti, e hanno avuto la capacità di comprendere come è strutturata, come funziona, quali sono i circuiti che la compongono, insomma tutti aspetti che troppo spesso il collaboratore di giustizia dà per scontato».
«Parliamo di ‘ndrangheta in Calabria ma – è questo il monito di Lombardo – osserviamola con occhi diversi perché della ‘ndrangheta che ci hanno raccontato finora è rimasto ben poco. Parliamo di una struttura criminale enorme e che opera quotidianamente per muovere capitali ingentissimi. Un sistema che non è più legato alle logiche predatorie di un tempo, ma che è perfettamente consapevole della sua forza dal momento in cui, sulle nostre vite, sgancia bombe finanziarie. L’evoluzione che ha avuto la ‘ndrangheta in questi anni la rende ancora più temibile e pericolosa».

Servono «sistemi evoluti»

C’è bisogno di sistemi evoluti, magari anche l’impiego dell’intelligenza artificiale. «Siamo sempre stati molto avanti – ha spiegato ancora Lombardo – non solo nel comprendere i sistemi criminali evoluti, e per questo abbiamo esportato modelli investigativi che sono diventati sistemi affidabili all’estero e per i sistemi giudiziari di altri Paesi. Ad un certo punto, però, abbiamo pensato che fosse possibile prescindere da investimenti pesanti legati allo sfruttamento delle tecnologie, creando un ritardo che solo ora stiamo cercando di recuperare». Secondo il pm Lombardo, infatti, «oggi non si più pensare di fare indagini su sistemi criminali evoluti, e la ‘ndrangheta è una componente che va inserita all’interno di una lettura più ampia rispetto al singolo fenomeno insieme a organizzazioni che hanno origine diversa ma che vivono delle stesse logiche. Pensare, oggi, che la ‘ndrangheta, ad esempio, possa gestire il narcotraffico internazionale prescindendo dalle relazioni con altre componenti criminali, è assolutamente non aderente ai dati che tutte le indagini ci stanno restituendo. La ‘ndrangheta è comunque il “player principale” perché all’interno di questo sistema è un interlocutore indispensabile. Come siamo arrivati a tutto questo ce lo dobbiamo chiedere facendo autocritica perché i segnali erano chiari negli anni ’60 e più evidenti a cominciare dagli anni ’70 quando, cioè, le famiglie calabresi hanno capito che non potevano far affidamento solo sulla nostra regione, ma dovevano espandere i propri interessi nelle regioni storicamente più ricche come la Lombardia, poi il Piemonte e all’estero. Oggi mi preoccupa che ancora ci si stupisca di questo». «Se lo stato di conoscenza è ancora questo – ha spiegato ancora Lombardo – allora c’è un deficit iniziale che ci tiene ben distanti dal risultato finale che vogliamo raggiungere». «Ci siamo resi conto tra il 2007 e il 2008 che qualcosa stava cambiando nelle più grandi famiglie di ‘ndrangheta – ha raccontato infine Lombardo – in quegli anni, soprattutto la procura di Reggio, si stava muovendo per la cattura di grandi latitanti. In 15 anni siamo riusciti a catturare tutti i più grandi latitanti della ‘ndrangheta reggina». (g.curcio@corrierecal.it)

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